di Niccolò Morelli – Nemmeno il tempo di scandalizzarsi per il 41esimo posto del nostro paese nel world freedom press index 2021, che ad un anno di distanza la situazione è ulteriormente e drasticamente peggiorata.
La classifica annuale, promossa da Reporters Without Borders (RSF), che misura l’indice di libertà di stampa nei 180 principali paesi del mondo ha relegato l’Italia al 58esimo posto, una caduta di 17 posizioni che attesta il giornalismo del belpaese appena sotto quello della Macedonia del Nord e della Romania e di poco sopra il Niger e il Ghana.
La metodologia utilizzata per stilare la classifica misura “l’effettiva possibilità per i giornalisti, come individui e come gruppi, di selezionare, produrre e diffondere notizie e informazioni nell’interesse pubblico, indipendentemente da ingerenze politiche, economiche, legali e sociali e senza minacce alla loro sicurezza fisica e psichica”. Entrando più nello specifico della situazione italiana, sempre secondo RSF, il nostro paese passa da una situazione ritenuta “soddisfacente” nel 2021 ad una “problematica” nel 2022. Nelle motivazioni sul posizionamento dell’Italia così in basso infatti si legge che nonostante “il panorama dei media italiani sia ben sviluppato e disponga di un’ampia gamma di mezzi di comunicazione che garantiscono una reale diversità di opinioni (….) i media nel loro insieme sono sempre più dipendenti dagli introiti pubblicitari e da eventuali sussidi statali e i giornalisti cedono troppo spesso alla tentazione di autocensurarsi per conformarsi alla linea editoriale della propria testata giornalistica o per evitare una denuncia per diffamazione”.
Tra le altre motivazioni che hanno concorso a far cadere così in basso il nostro paese ci sono anche le pericolose minacce della criminalità organizzata, specialmente nel sud, ai quali la stampa è sottoposta.
A questo vergognoso risultato hanno contribuito anche mesi e mesi di caccia alle streghe (additando come novax o putiniano chiunque osasse discostarsi dal pensiero unico) anziché avviare una profonda riflessione interna al giornalismo italiano e mettendo in discussione una volta per tutte un modo di fare informazione che, risultati alla mano, risulta antiquato e deficitario.
Hanno contribuito e stanno contribuendo le “fake news certificate”, vere e proprie bufale spacciate per verità assolute e sbattute in prima pagina senza lo straccio di una verifica ne di vergogna: per esempio il Tg2 che trasmette le immagini di un videogioco spacciandole per i bombardamenti in Ucraina, oppure tutti i quotidiani uniti nel fare il funerale a Raiola con quasi una settimana di anticipo, o ancora Repubblica che parla di un incontro segreto (con tanto di botta e risposta) tra l’ex premier Conte e il professor Orsini quando entrambi affermano di non conoscersi e di non essersi visti nemmeno in cartolina.
A contribuire al decadimento del nostro giornalismo è anche l’appartenenza dei più grandi mezzi di informazione (giornali, radio e tv) a soggetti con interessi opposti ad una libera informazione, imprenditori e lobby con le mani in pasta ovunque, dalla finanza alla politica.
Alcuni esempi: Antonio Angelucci, re delle cliniche private milanesi e deputato di Forza Italia è il proprietario di “Libero”, uno dei principali quotidiani nazionali oltre che de Il Tempo e Il corriere dell’Umbria. La famiglia Agnelli, con interessi che vanno dal calcio alle automobili fino agli armamenti (con Iveco Defence Vehicles) possiede La Stampa, La Repubblica, L’Espresso, Il Secolo XIX e 14 giornali locali. Francesco Gaetano Caltagirone, con interessi che vanno dalle assicurazioni all’edilizia, possiede Il Messaggero, Il Mattino di Napoli, Il Gazzettino e Leggo. Confindustria, la principale organizzazione rappresentativa delle imprese italiane, possiede Il Sole24 Ore; la Rai è storicamente in mano ai partiti politici e Berlusconi (di cui non occorre ripercorrere interessi e carriera) possiede le sue televisioni, con relativi telegiornali, le sue radio, con relativi radiogiornali e Il Giornale, altro importantissimo quotidiano nazionale.
Il quadro generale dell’informazione italiana è preoccupante, e quello appena descritto è solo una piccola parte di un sistema molto più grande e contorto che negli anni ha contribuito a distruggere la reputazione del nostro giornalismo. Occorre al più presto invertire questa tendenza poiché una stampa debole e soggetta a influenze esterne genera un popolo disinformato e di conseguenza meno libero.
Se non invertiamo la rotta anche di fronte a questa ennesima certificazione di decadimento, qualcuno potrebbe pensare che un popolo poco informato, alla fine, possa anche far comodo.
L’AUTORE
Niccolò Morelli, classe 1993, nasce ad Empoli ma vive tra le colline toscane di Vinci, il paese che dette i natali al genio di Leonardo. Nel 2018 si laurea in Scienze Politiche all’Università di Firenze e due anni dopo consegue il diploma di Master in Scienze del lavoro, frequentato per metà all’Université catholique de Louvain in Belgio, con una tesi dal titolo “Digitalizzazione e robotizzazione: verso un futuro senza lavoro?”.