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La Siria e gli interessi dell’Occidente – Walter Lorenzi

beppegrillo.it - Agosto 7, 2012
La Siria e gli interessi dell’Occidente
(11:30)

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“Quello che sta succedendo ad Aleppo e a Damasco è evidente. Qual è il ruolo che giocano in questo scenario le varie forze? C’è da tenere presente innanzitutto che siamo di fronte a una coalizione conflittuale composta da Unione Europea, Stati Uniti, Turchia e dai sei regimi più reazionari della penisola arabica, riuniti nel Gulf Cooperation Council: Arabia Saudita, Bahrain, Qatar, Oman, Emirati Arabi Uniti e Kuwait, che sta lavorando per arginare e mettere sotto tutela le primavere arabe utilizzando come forze di “cambiamento compatibile” l’Islam politico sunnita diviso in due principali filoni: quello dei fratelli musulmani, che ha come sponsor il Qatar dove opera Al Jaziira che è stato il megafono di quella che viene chiamata rivolta siriana, ma che è semplicemente una proiezione militare di questo Islam sunnita e, dall’altra parte, quello salafita legato all’Arabia Saudita. Le forze in campo sono queste: Unione Europea, Stati Uniti, Turchia e sei regimi della penisola arabica.” Walter Lorenzi

Intervista a Walter Lenzi di Disarmiamoli.org

La primavera araba (espandi | comprimi)
Io ringrazio il blog di Beppe Grillo che ci dà la possibilità di esprimere un punto di vista inusuale su quello che sta succedendo in Siria in questo momento. Parlo a nome della rete nazionale “Disarmiamoli“, una rete antimilitarista e contro la guerra che si è costituita nel 2006 e che continua a affermare la sua attività, pur in una situazione di difficoltà del movimento contro la guerra del nostro paese che ha fatto dei passi indietro per una situazione politica generale. Per affrontare quello che sta succedendo in Siria dovremmo innanzitutto porci una domanda: “Quali sono i motivi che hanno scatenato le primavere arabe?”. L’analisi ci porta direttamente a alla crisi economica che sta attraversando tutto il mondo, una crisi che ha messo a nudo i limiti di strutture politiche, dei rapporti sociali imposti in quei Paesi. Parlo dei Paesi investiti dalla cosiddetta primavera araba: Tunisia, Egitto, Bahrain e, in forme diverse, la Libia e la Siria. Una crisi economica che si è trasformata in crisi politica quando queste società, modificate sia dalla crescita demografica che dall’emigrazione e dallo sviluppo industriale e impoverite dalle politiche economiche imposte dal FMI, hanno visto scendere in piazza questo movimento di protesta popolare, perlopiù composto da giovani lavoratori, che rivendicava lavoro, dignità e democrazia.
La semplificazione che fa di tutta un’erba un fascio in Occidente è quello delle primavere arabe e di rivolte che dimostrano già in quest’ultimo anno le loro differenze. Il modo con il quale si è risolta, in qualche maniera, la situazione in Egitto e in Tunisia e invece la situazione in Libia, dove c’è stata una guerra civile che non è risolta, perché in questi giorni stessi continuano dei conflitti nelle varie regioni libiche, fino a arrivare alla situazione siriana, una situazione dove ormai la diplomazia è stata messa da una parte e la parola è alle armi. Quello che sta succedendo in queste ore ad Aleppo piuttosto che a Damasco è evidente. Qual è il ruolo che giocano in questo scenario le varie forze? C’è da tenere presente innanzitutto che siamo di fronte a una coalizione conflittuale composta da Unione Europea, Stati Uniti, Turchia e dai sei regimi più reazionari della penisola arabica, riuniti nel Gulf Cooperation Council: Arabia Saudita, Bahrain, Qatar, Oman, Emirati Arabi Uniti e Kuwait, che sta lavorando per arginare e mettere sotto tutela le primavere arabe, utilizzando come forze di “cambiamento compatibile” l’Islam politico sunnita diviso in due principali filoni: quello dei fratelli musulmani, che ha come sponsor il Qatar dove opera Al Jaziira che è stato il megafono di quella che viene chiamata rivolta siriana, ma che è semplicemente una proiezione militare di questo Islam sunnita e, dall’altra parte, quello salafita legato all’Arabia Saudita. Le forze in campo sono queste: Unione Europea, Stati Uniti, Turchia e sei regimi della penisola arabica.

Lo status di democrazia blindata (espandi | comprimi)
Gli Stati Uniti, al contrario dell’Unione Europea, per bocca di Obama hanno velocemente auspicato un “cambio democratico”, ma bisogna ricordare il discorso del 25 maggio dello scorso anno sul Medio Oriente e Nord Africa. Obama ha parlato di “evolution but no revolution”, indirizzare un cambiamento di dirigenza politica, utilizzando la spinta del malcontento,senza però compromettere gli interessi delle multinazionali e al tempo stesso ridisegnare equilibri e alleanze. Da questo punto di vista è illuminante l’approccio sulle primavere arabe dal thinktank anche statunitense Rend Corporation, nata nel 1946 con il sostegno del Dipartimento della difesa. Dice questo: gli arabi hanno sottolineato l’importanza della dignità e il rifiuto delle umiliazioni in corso nel regime autoritario, il solo pensiero dell’autodeterminazione è rivoluzionario, e ancora questo think tank: il cambiamento democratico offre l’opportunità di una ripartizione, di una relazione con gli Stati Uniti che possono aiutare questi nuovi regimi a incontrare, gestendo chiaramente il potere, le aspirazioni delle loro popolazioni. Questa è la posizione degli Stati Uniti, cosa differente invece la UE che non ha espresso una politica unitaria nell’approccio alle crisi a causa degli interessi diversi. La Francia e l’Italia si sono dimostrati più attente a difendere i propri spazi, rispetto a una Germania rivolta a imporre le proprie attenzioni sull’Europa dell’Est che rappresenta la sua principale periferia produttiva. Non ci dobbiamo dimenticare che la Germania, rispetto alla Libia si astenne sull’ipotesi di aggressione, mentre la Francia, l’Italia e l’Inghilterra ebbero una funzione a favore anche se l’Italia era un po’ claudicante per le posizioni ambigue di Berlusconi che in parte ha pagato le conseguenze di questa ambiguità perdendo il governo. Poi ci sono altri interessi, che sono quelli della Turchia. La Turchia è da tempo una potenza economica e militare nella regione. Lo status di democrazia blindata ha consentito di portare avanti un progetto del grande Medio Oriente gestito da una Turchia che è stata allontanata dall’ingresso nella UE e tenta di giocare di nuovo il ruolo della Sublime Porta, l’impero Ottomano dell’800, aggiornandolo al XXI Secolo. Questo sta facendo la Turchia, non a caso è un Paese di frontiera con la Siria e da questa zona di frontiera stanno passando armi, tecnici, truppe in quella che è ormai una guerra civile.
I Paesi del Golfo per finire, si tratta di una borghesia che ha un peso sovranazionale con il surplus finanziario enorme che ha investito prima nella guerra in Libia e in Bahrain. Non ci dobbiamo dimenticare che in Bahrain è intervenuto direttamente l’esercito dell’Arabia Saudita, ci sono stati centinaia di morti, di questo non si è parlato nei mass media occidentali, però è successo. Legittimamente questa coalizione pretenderà contropartite economiche e politiche. La borghesia petrolifera e finanziaria arabica da tempo reclama un adeguamento di posizione nella gerarchia internazionale, all’interno si sono sviluppate opzioni qaediste, islamiche che hanno dato vita a forme di conflitto non convenzionale.

Non si difende la libertà (espandi | comprimi)
Parliamo di Bin Laden, questo è un punto di vista differente di quello sciorinato dai mass-media occidentali, però probabilmente dietro la morte di Osama Bin Laden c’è una nuova fase di rapporti tra l’Occidente e questi Paesi. Non dobbiamo dimenticare il ruolo della famiglia Bin Laden nei rapporti con la famiglia Bush e dietro Bin Laden, si celavano interessi particolari di queste borghesie. È interessante vedere un film, “Syriana”, dove si parla di questa borghesia e di una forma di guerra che dal crollo delle Torri Gemelle ha trovato il livello più alto di rappresentazione. La morte di Bin Laden è stato il sacrificio offerto da questa coalizione per rimettersi in gioco dentro una nuova fase di conflitto in quell’area.
In Siria, il Consiglio di sicurezza dell’O.N.U. è bloccato dal niet russo e cinese di un possibile intervento internazionale. Le prospettive sono buie per il popolo siriano, prospettive di guerra ormai conclamata, dove si parla di centinaia di morti, e una situazione che si risolverà soltanto sulla base della quantità di rifornimenti e della disponibilità da parte della Cina e della Russia a sostenere quello che rimane del governo legittimo (fino a oggi governo legittimo) siriano. Da questo punto di vista c’è da auspicarsi un ritorno immediato alla diplomazia, di uno stop alle armi perché chi ci rimette è il popolo siriano.
La realtà va letta in maniera molto diversa da quella che ci propinano i nostri mass media. Lì non si difende la libertà contro le dittature perché, se si dovesse lottare contro le dittature, le prime a cadere dovrebbero essere quelle dell’Arabia Saudita, del Qatar, Paesi dove esiste la legge delle taglione, dove le donne non hanno neanche il diritto a guidare le auto, dove c’è una situazione incredibile dal punto di vista dei diritti umani. Però questi sono alleati strategici dell’Occidente, sono quelli che portano avanti una situazione di guerra aperta.
Questo è il nostro punto di vista su quello che sta avvenendo in Siria, ma più in generale su tutto il Medio Oriente.
Quello che potrebbe succedere è legato all’intensità del conflitto, ci sono pericoli per la pace in tutta l’area, perché c’è il rischio di una conflagrazione che va ben al di là della Siria, c’è il rischio del coinvolgimento sia del Libano che dell’Iran. Rischia di essere una guerra ben più pericolosa di quella in Afghanistan o di quella in Iraq. Chi sta buttando benzina? Chi ha messo in mora l’ipotesi di Kofi Annan della continuità di una trattativa diplomatica che poteva far tacere le armi, ma Kofi Annan si è dimesso, Kofi Annan ha detto “Basta, non ci danno la possibilità di continuare…”. L’unica possibilità è una trattativa diplomatica che impone il fermo del conflitto attraverso un dialogo tra le parti, ma di questo non si parla, questa è la realtà.
C’è da vedere quanta determinazione metteranno sia la Russia che la Cina a sostenere quello che rimane dell’esercito di Assad. Barack Obama intanto ha firmato una liberatoria perché la Cia intervenga direttamente dentro il conflitto, il che la dice lunga, Obama, premio Nobel per la pace, che firma una cosa di questo genere, significa che vuole la guerra.

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