di Valentina Petricciuolo – Due anni fa la fondazione non governativa European Start Up Initiative (ESI) aveva pubblicato un rapporto sulla attrattività delle città europee come sedi più o meno ambite dai fondatori di start up tecnologiche e ne erano emersi alcuni dati interessanti riguardo alle città italiane.
Dati che avevano rivelato come, nonostante la sbandierata “grande attrattività per gli investitori esteri”, la “rinascita e la qualità della vita invidiabile”, la presenza di “talenti e cervelli”, l’Italia e le città italiane si fossero collocate ben al di sotto nella classifica delle sedi più ricercate per intraprendere una attività innovativa.
Da allora, l’ESI ha pubblicato altri due rapporti, l’ultimo relativo al 2018 proprio lo scorso mese di ottobre. E’ stato confermato quanto emerso due anni fa? Vediamo meglio…
La European Start Up Initiative è un progetto nato dall’idea di alcuni giovani ricercatori provenienti da vari paesi europei con l’obiettivo di redigere una mappa dettagliata delle dinamiche localizzative caratteristiche delle nuove imprese tecnologiche. Un modo per visualizzare e identificare le “Silicon Valley” di casa nostra e capire quali città attirino più investitori e imprenditori. E quali, invece, no.
Come si legge sul sito ESI: Il progetto ha l’obiettivo di visualizzare quali sono gli effetti positivi della competizione tra gli hub innovativi europei. Grazie ad una mappatura dettagliata dell’attrattività di questi hub in Europa, si scopre esattamente quale è la realtà, andando oltre i proclami e la cosmetica della politica. Crediamo che questo rapporto possa aiutare i decisori e gli amministratori così come i membri della comunità a prendere le misure necessarie a rendere l’Europa un posto migliore per fare imprenditoria e avviare una azienda.
Nel rapporto del 2016, disponibile sul sito STARTUP HEATMAP EUROPE, era emersa una amara verità. Un quadro molto più reale di quello che troppo spesso si ritrova nella “narrazione” dei media, che amplificano e distorcono la situazione a seconda delle necessità. Ed era un quadro davvero triste per il nostro paese.
Ma andiamo con ordine. L’analisi condotta sui flussi in entrata nei vari paesi delle start up innovative, aveva portato a questo incredibile risultato: al primo posto si erano collocati i Paesi Bassi che avevano fatto registrare nel 2015 un tasso di crescita del 31% di imprenditori in entrata provenienti da altri paesi. L’Austria, con un +20%, era al secondo posto. Terza la Gran Bretagna (+17%) e, a seguire, Bulgaria (+13%), Polonia (+11%) e Germania (+11%).
Davvero significativo, invece, e forse non del tutto sorprendente, era il dato rilevato per l’Italia: con un -29% il nostro paese aveva addirittura registrato un deflusso di imprenditori. Una vera e propria “fuga delle start up” che avevano preferito localizzarsi altrove, viste le difficoltà che avevano incontrato nel fare impresa nel Bel Paese.
Ma non è finita qui. Il rapporto si era spinto oltre nell’analisi per verificare, attraverso un sondaggio condotto tra 700 imprenditori europei, quale location avrebbero scelto se avessero potuto ricominciare d’accapo. I fattori che avevano determinato la scelta erano la disponibilità di talenti e l’ecosistema innovativo in generale. Accesso al capitale di rischio e costo della manodopera specializzata erano fattori che, invece, incidevano meno sulla scelta.
E come si erano collocate le singole città italiane in questa classifica? Non bene. Anzi male. Su un totale di 30 città europee, Roma era al 24mo posto e Milano subito dopo, al 25mo posto. Seguivano Bucarest, Glasgow, Birmingham e Atene.
I ricercatori ESI avevano voluto approfondire e, sempre interpellando i fondatori di start up, avevano verificato quali erano, secondo loro, gli “astri nascenti” del panorama europeo delle città candidate a diventare hub tecnologici. Anche in questo caso, attraverso una analisi di fattori che più o meno incidevano sulle scelte localizzative degli imprenditori, Milano si era rivelata la peggiore dopo Dublino, Monaco, Stoccolma, Vienna, Copenaghen e Manchester.
Tutto ciò fa capire come, nonostante gli sforzi “pubblicitari” e di PR degli amministratori pubblici, gli imprenditori sapevano benissimo dove andare ad investire e dove collocare la loro impresa.
Ma come spiegavano questa débacle i ricercatori dell’ESI? Per dare una risposta alla domanda, e anche per fornire qualche spunto di intervento ai governi nazionali e locali per mettere mano alla situazione, avevano messo a confronto i dati da loro riportati con quelli dell’Index of Economic Freedom, l’indice di libertà economica di un paese.
È, infatti, la libertà di fare business, di investire, di non dover aver a che fare con un sistema corrotto, che è strettamente correlata con la scelta localizzativa. In altre parole, il nostro basso livello di libertà economica si rifletteva tutto nella percezione negativa con cui gli imprenditori esteri vedevano il nostro paese e la possibilità di vivere e lavorare da noi.
Dopo la pubblicazione del primo rapporto, l’ESI ne ha predisposto un secondo nel 2017 mentre il terzo, relativo al 2018, è disponibile online dallo scorso mese di ottobre.
Nel 2017 le start up innovative europee hanno confermato di essere molto dinamiche ma nella gara a chi vince e chi perde, Milano, che si era classificata al 25mo posto, guadagna ben 15 posizioni e diventa decima nella classifica delle top ten. Pur sempre dopo Londra, Berlino, Barcellona, Parigi e Amsterdam, le prime cinque classificate. L’ecosistema parigino, in particolare, grazie alla sua specializzazione nel settore dell’intelligenza artificiale, ha guadagnato ben 19 posizioni rispetto al 2016.
L’Italia, nella regione mediterranea, è stata quella che ha registrato il più alto tasso di emigrazione e di fuoriuscita di start up innovative con un flusso negativo del 30%, come la Croazia!
Inoltre, alla richiesta circa il grado di soddisfazione nella scelta della localizzazione della loro start up, gli imprenditori dell’area del Mediterraneo, tra cui l’Italia (insieme con Spagna, Grecia, Portogallo, Malta e Cipro), hanno mostrato il grado di soddisfazione più basso con solo il 40% di loro che ha dichiarato di essere soddisfatto della scelta fatta.
L’ultimo rapporto ESI 2018 si è focalizzato, invece, sull’analisi delle interconnessioni esistenti a livello europeo riguardo le start up innovative. Un mondo dinamico, in perpetuo movimento, dove oltre il 60% di queste start up dichiara di avere investitori, dipendenti o sedi al di fuori del proprio territorio nazionale.
I fondatori di start up sono persone che si spostano ed emigrano molto facilmente da un paese all’altro: vanno dove le condizioni sono più favorevoli ed ospitali. E il rapporto The Interconnected Start Up dimostra come l’interconnessione delle nuove aziende innovative possa rappresentare la soluzione alle difficoltà che gli imprenditori europei hanno nel reperire risorse. Così come è emerso che proprio l’entrare in altri ecosistemi locali e costruire una rete sia il più grande ostacolo per i fondatori di start up. Mentre gli imprenditori europei mostrano una volontà sempre crescente di andare oltre le frontiere del proprio paese di origine, hanno però anche bisogno del sostegno di una rete che ne faciliti l’accesso. Questa rete esiste, ma solo tra un numero limitato di hub. Qui è dove l’Europa può e deve crescere.
E l’Italia, come si è collocata nella mappa geografica della rete di collegamenti che avviluppa il continente? Dopo Londra, Berlino e Barcellona, confermatesi le città più ambite d’Europa, e “città superconnesse”, il quarto e quinto posto se lo sono aggiudicato Parigi e Lisbona.
Milano è all’ottavo posto, dopo Amsterdam e Monaco, ma ha guadagnato due posti nella graduatoria rispetto all’anno precedente, grazie soprattutto alla specializzazione nel settore dell’e-commerce.
I flussi di entrata e uscita nelle varie regioni vedono dei movimenti che penalizzano molto l’area dei paesi del Mediterraneo, come già emerso nel 2017. A fronte di un incremento del 14% di entrate, il rapporto registra una fuoriuscita del 18% di start up innovative che si dirigono principalmente verso l’Europa del Nord (UK, Benelux, Scandinavia). Il Mediterraneo è la regione che vede il più alto tasso di emigrazione anche se gli imprenditori che fuggono poi tendono a mantenere forti legami con il paese di origine.
Nel quadro d’insieme, però, come riportato nel rapporto, sono Monaco, Berlino, Londra e Parigi, insieme con Helsinki, Stoccolma, Tallin, Barcellona e Lisbona ad avere una fitta rete di interconnessioni. L’Italia, e Milano, appare del tutto minoritaria, in secondo piano in questo panorama.
Tutte queste informazioni vanno lette, analizzate e interpretate da chi prende decisioni di politica economica affinchè siano messi in grado di stimolare l’Italia verso una crescita sana e inclusiva, senza essere tagliati fuori dalle dinamiche innovative che stanno attraversando il pianeta. E’ necessario avere ben chiara la mappa che emerge dalla ricerca condotta dall’ESI: una mappa che vede l’Italia essere la “periferia” dell’innovazione, e non uno dei tasselli fondamentali. Non servono grandi connessioni autostradali o ferroviarie per raggiungere questo obiettivo. Ci vuole un paese che sia ospitale, efficiente, aperto alle novità.
L’AUTORE
Valentina Petricciuolo – Laurea in Economia, specializzazione in commercio internazionale e promozione delle imprese italiane all’estero. Responsabile dello sviluppo e supporto delle aziende australiane in Italia presso il Consolato Generale di Milano. Trade Relations Officer per UK Trade and Investment presso l’Ambasciata Britannica a Roma. Crowdfunder e micro Business Angel attiva sulle piattaforme europee e statunitensi. Attualmente funzionario dell’Istituto per il Commercio Estero (Agenzia ICE) di Roma e responsabile, dal 2005 al 2010, del Desk Attrazione Investimenti esteri della sede di New York. Master in trasferimento tecnologico e open innovation del Politecnico di Milano (2014) e membro dal 2014 al 2017 del panel europeo dei valutatori di progetti Proof of Concept per la valorizzazione della ricerca scientifica dello European Research Council. Autrice del blog La Curiosità è la Bussola su innovazione, imprenditorialità, valorizzazione della ricerca scientifica, crowdfunding, nuove dinamiche del lavoro, reddito di base universale, crescita personale e libertà finanziaria, blockchain e criptovalute. http://valentinapetricciuolo.it