Dopo l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello della condanna a sette anni di reclusione a Marcello Dell’Utri vanno sfatati due luoghi comuni. Il primo è che la “Giustizia è uguale per tutti“, frase che andrebbe cambiata con la “Giustizia è uguale per tutti quelli che se la possono permettere“. Il secondo è quello ingiustamente accusatorio, quella vox populi che afferma che la Giustizia usa due pesi e due misure. Non è per nulla vero. La Giustizia usa lo stesso peso e la stessa misura sia quando prescrive Berlusconi dal processo Mills che quando incarcera per settimane, senza alcun processo, una madre di famiglia con tre figli incensurata che si è opposta alla Tav. La Giustizia è dalla parte della Ragion di Stato. Qualcuno può affermare il contrario? E gli interessi supremi della Nazione si difendono senza tentennamenti sia che si tratti dei responsabili della “macelleria messicana” del G8 (qualcuno è finito in carcere?) o dei massacratori di Aldrovandi (qualcuno è stato almeno rimosso dall’incarico dopo la condanna confermata in appello?).
Berlusconi ha fatto un grave torto ai suoi amici condannati in via definitiva e finiti in carcere come Previti, Cuffaro e Mangano: non si è dimesso prima delle loro condanne. Io ho infatti il ragionevole dubbio, e con me qualche milione di itallani, non suffragato da alcuna prova se non dalle due sentenze ravvicinate Mills e Dell’Utri, che lo psiconano abbia negoziato un lasciapassare prima di dimettersi. Come fece Eltsin, che chiese precise garanzie al suo successore Putin all’atto della sua uscita di scena. Cuffaro dovrebbe chiedere la par condicio insieme a un vassoio di cannoli siciliani, è lui il più danneggiato. Beati gli assetati di Giustizia, perché saranno giustiziati.
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