di Beppe Grillo – Da oltre una vita mi batto per una informazione davvero libera, perché proprio l’informazione è uno dei pilastri fondamentali per la democrazia e la sopravvivenza individuale. Quando il controllo delle notizie che entrano nelle nostre case è concentrato in poche mani, emergono inevitabilmente tendenze antidemocratiche. L’informazione costituisce la base di ogni altra sfera di interesse sociale. Un cittadino privo di informazioni o disinformato è privato della capacità di prendere decisioni e di fare scelte. Si trasforma in un consumatore e in un elettore passivo, escluso dalle decisioni che lo coinvolgono direttamente.
In queste ultime settimane è tornato in modo preponderante il tema del pluralismo. Per promuoverlo e assicurare la libertà dell’informazione, l’imperativo è abbandonare l’approccio di finanziamenti a pioggia, come fatto in passato. Le attuali modalità di finanziamento pubblico ai giornali non aiutano il pluralismo, poiché vengono concentrati i finanziamenti ai soliti editori, che si pappano tutta la fetta, lasciando alle testate minori le briciole della torta.
Di seguito i primi 15 e la cascata dei contributi assegnati per il 2022, pubblicati sul sito del Dipartimento per l’informazione e l’editoria:
Dolomiten: 6.176.996,03 euro
Famiglia Cristiana: 6.000.000 euro
Avvenire: 5.755.037,42 euro
Italia Oggi: 4.062.533,95 euro
Libero quotidiano: 3.378.217,01 euro
Il Manifesto: 3.277.900,39 euro
Corriere Romagna: 2.218.356,97 euro
Cronacaqui.it: 2.207.300,07 euro
Il Foglio: 2.079.514,37 euro
Primorski Dnevnik: 1.666.668,08 euro
Il Cittadino: 1.424.098,80 euro
Quotidiano di Sicilia: 1.330.270,90 euro
Cronache di: 1.259.956,77 euro
Die Neue Südtiroler Tageszeitung: 1.086.996,14 euro
Secolo d’Italia: 1.034.341,35 euro
A questo link l’elenco completo
Non esistono però solo i finanziamenti diretti, ma esistono una serie di agevolazioni quali crediti di imposta per la pubblicità, incentivi sull’acquisto della carta, obbligo di pubblicazione sui giornali dei bandi di gara e degli avvisi di aggiudicazione, le pubblicità da parte di enti e istituzioni, le riduzioni postali (che poi vengono rimborsate dallo stato a Poste Italiane). Tutte forme di finanziamento indiretto ma che sono prelevate dall’erario, dalle tasche dei cittadini.
Andrebbe realizzata una vera riforma, al passo coi tempi, con interventi mirati, concreti ed efficaci, volti a proteggere il diritto dei cittadini all’informazione e a sostenere imprese e lavoratori del settore per rimanere competitivi sul mercato. Una riforma che consenta di finanziare i nuovi progetti editoriali, di giovani (e non solo) che vogliano aprire testate indipendenti, ma realmente indipendenti dai gruppi di potere esistenti. Finanziamenti a start up e vincolati in modo che debbano essere restituiti se il progetto viene fatto naufragare (al solo scopo di prendersi i finanziamenti dei primi anni). Una riforma che limiti la concentrazione delle proprietà, aumenti la trasparenza degli assetti societari e freni i conflitti d’interesse tra editori e imprese; normative che assicurino una distribuzione equa della pubblicità e incentivino i lettori a scegliere l’informazione di loro interesse. Un’attenzione particolare andrebbe dedicata alla salvaguardia delle fonti e dei giornalisti minacciati da querele, nonché dei cittadini malcapitati gettati in pasto alle pagine dei giornali.
Nel 2019 una sentenza della corte costituzionale ha sancito l’importanza della libertà d’informazione e del pluralismo: «[…] la libertà di manifestazione del pensiero, di cui è espressione la libertà di stampa, costituisce un valore centrale del nostro sistema costituzionale». Ma allo stesso tempo i giudici hanno ribadito che è a discrezione del legislatore decidere se intervenire o meno con un contributo diretto ai giornali. Non c’è dunque correlazione tra finanziamento pubblico diretto agli editori e pluralismo dell’informazione: il pluralismo deve essere sì garantito con una serie di misure ed interventi dedicati, ma non necessariamente con contributi diretti. Dobbiamo sì aiutare una informazione plurale, ma non una pluralità di informazione tutta identica, che anestetizza il lettore.
Ma chi detiene il comando della stampa italiana? Tranne alcune mosche bianche, la maggior parte delle figure che hanno in mano i giornali sono imprenditori, cani da guardia dei partiti, e lobby attive in svariati settori. Una vera e propria minaccia alla neutralità e l’obiettività necessarie per un giornalismo efficace.
Vediamone alcuni:
La famiglia Agnelli-Elkann, con interessi che spaziano dal calcio all’automobile, fino agli armamenti (tramite Iveco Defence Vehicles), detiene il gruppo Gedi, che controlla La Stampa, La Repubblica, L’Espresso, Il Secolo XIX, 14 giornali locali e svariate radio, tra cui Radio Deejay, Radio Capital e M2o.
Antonio Angelucci, Re mida delle cliniche private, immobiliarista e deputato di Forza Italia, è proprietario di Libero, de Il Tempo, del Corriere dell’Umbria, del Corriere di Viterbo, del Corriere di Siena, del Corriere di Arezzo e del Corriere di Rieti.
Francesco Gaetano Caltagirone, l’immobiliarista-costruttore con interessi che spaziano da Acea alle assicurazioni, è proprietario del Messaggero, del Mattino di Napoli, del Gazzettino, di Leggo, del Corriere Adriatico e del Nuovo Quotidiano di Puglia.
Il Giornale invece è di proprietà della famiglia Berlusconi, proprietaria delle sue televisioni, con relativi telegiornali, delle sue radio, e relativi radiogiornali, più Mondadori e relativi periodici e magazine.
Il Foglio è di proprietà di Sorgente Group, gruppo internazionale di Valter Mainetti, guru della finanza immobiliare, delle costruzioni e real estate.
Confindustria, la principale organizzazione rappresentativa delle imprese italiane, controlla Il Sole24 Ore e Radio 24.
Urbano Cairo, imprenditore, formatosi sotto l’ala di Silvio Berlusconi, con interessi che vanno dal calcio all’informatica fino al settore immobiliare, è proprietario del canale televisivo La7, del Corriere della Sera, e di tutti periodici e magazine Rcs, avendo acquisito il gruppo nel 2016.
Da tenere a mente tutte le volte che si legge un giornale.