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Il Blog di Beppe Grillo
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La Macchina della Giustizia in panne

beppegrillo.it - Febbraio 5, 2013

>>> Oggi 6 febbraio sono a Padova, Piazza delle erbe, ore 17 e a Venezia, ore 21, piazza Mercato di Marghera. Domani 7 febbraio sarò a Trieste, piazza della Borsa, ore 17 e a Udine, piazza Venerio ore 21. Seguite le dirette su La Cosa! >>>

Dal 1992, dai tempi di Mani Pulite, si discute di Giustizia, di processi, di imputati, di giudici. In molte occasioni, di fronte allo sfascio del Paese e all’impunità della classe politica, la Giustizia ha esercitato un’attività di supplenza che in realtà non le apparteneva. Ha dovuto colmare un vuoto. Non si è discusso però, quasi per nulla, del tema più importante:della Macchina della Giustizia, della sua efficienza, del suo ammodernamento, della sua obsolescenza e dei danni economici e sociale che questo comporta. L’immagine della Giustizia trasmessa nei telegiornali è quella di faldoni trasportati nei corridoi o ammassati negli uffici, della durata infinita dei processi, delle toghe di ermellino ottocentesche, di un groviglio di leggi di cui nessuno conosce l’esatto numero, i più informati ritengono che varino da un minimo di 230.000 a un massimo di 350.000. Questa situazione favorisce i furbi, i ricchi e chi delinque e tocca quotidianamente un numero elevato di cittadini e va affrontata dal prossimo Parlamento.
Il rapporto annuale “Doing business” della Banca Mondiale, dedicato alla classifica dei Paesi in cui investire, nel 2011 pone l’Italia al 157° posto su 183, per la durata dei procedimenti e per l’inefficienza della giustizia. Al 30 giugno 2011 la massa dell’arretrato in Italia era di circa 9 milioni di processi (5,5 milioni civili e 3,4 milioni penali), e sono cresciuti a dismisura i tempi medi per una causa: nel civile 7 anni e 3 mesi e nel penale 4 anni e 9 mesi.
In Italia occorrono 1.210 giorni per recuperare un credito, in Germania 394. Secondo Mario Draghi: “Nostre stime indicano che la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale”.
Il problema non dipende da risorse scarse: l’Italia spende per la giustizia quanto la Gran Bretagna, ma in Italia le risorse sono mal impiegate: un esempio è l’eccessiva frammentazioni delle sedi, un altro: in Gran Bretagna ci sono circa 27 mila giudici onorari “Justices of the peace”, che lavorano gratis, per il prestigio sociale che ne deriva. In Italia invece i magistrati onorari sono pagati. Le cause della crisi non dipendono neppure da scarsa produttività: quella degli apparati giudiziari italiani, secondo la Commissione europea per l’efficienza della giustizia (CEPEJ), è fra le più alte dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa. La causa è soprattutto l’eccesso di domanda: le sopravvenienze civili annue contenziose di primo grado per ogni giudice in Italia sono 438, in Francia 224, in Germania 54. Quelle penali annue (reati gravi) per ogni giudice, in Italia sono 190, in Francia 81, in Germania 42 (dati CEPEJ 2008). Ciò dipende in gran parte dal fatto che il sistema legale tende a tutelare di più chi viola la legge rispetto a chi subisce una lesione dei propri diritti! Per 40 anni si è risposto con l’incremento dell’offerta di giustizia. Si sono quindi raddoppiati gli organici dei magistrati di professione (che nel 2011 erano 8.834 e ci sono ancora 1.317 posti da coprire). I risultati sono stati deludenti perché la litigiosità è triplicata. Gli interventi sull’offerta di giustizia, in assenza di controllo sulla domanda di giustizia, vengono riassorbiti da una domanda crescente di contenzioso.
In Italia nel processo penale impugnare conviene perché non si corrono rischi, in quanto vi è il divieto di peggiorare la posizione dell’imputato se è solo lui appellante. Perché l’imputato condannato non dovrebbe appellare, sapendo che, se è detenuto, può uscire per decorrenza termini; se è invece libero, non andrà in carcere fino a sentenza definitiva? Dopo l’appello, ci si può rivolgere alla Corte di Cassazione. Alla fine di questa lunga corsa a tappe si può sempre sperare nella prescrizione. Quindi non solo ci sono troppi processi in primo grado, ma vi sono anche troppe impugnazioni. Il diritto di appellare del condannato è previsto da convenzioni internazionali e non può essere abolito, a meno di rinunciare a ricondurre il giudizio di cassazione alla sua funzione essenziale di garantire la “nomofilachia“, cioè l’uniforme interpretazione del diritto. La soluzione va trovata nell’autoregolamentazione, introducendo rischi: si deve consentire la “reformatio in pejus” in appello. Sono poco più di 37.000 gli appelli pendenti in Francia (dove non vi è il divieto di “reformatio in peius”) a fine 2009. La Corte di cassazione francese è investita di circa 8.000 ricorsi all’anno, con un centinaio di avvocati abilitati al patrocinio per le giurisdizioni superiori. (in Italia i ricorsi in cassazione penali sono circa 50.000 l’anno, quasi altrettanti quelli civili e gli avvocati cassazionisti sono circa 50.000).
L’unico efficace rimedio alla crisi della giustizia italiana è una drastica riduzione del numero dei processi sia in primo grado che nelle impugnazioni, per ricondurre i carichi a quelli di altri Paesi. Ciò comporta la riduzione del reddito degli avvocati, già oggi in diminuzione. Deve quindi essere controllata la crescita del numero degli avvocati, che oggi in Italia sono 240.000 (in Francia 47.000) e stanno aumentando di 15.000 l’anno. Un terzo degli avvocati di tutta la UE è italiano. Il 93% dei giovani laureati in giurisprudenza finisce per fare l’avvocato, spesso come soluzione di ripiego. Questo è possibile solo intervenendo sulle università, che oggi sfornano un numero impressionante di laureati in giurisprudenza.

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