di Isaac J.P. Barrow – La COP29, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima tenutasi in Azerbaigian dall’11 al 22 novembre, ha lasciato dietro di sé una forte impronta di discussioni sulla “transizione energetica”. Il termine è stato al centro dei dibattiti, tanto da diventare quasi logoro. Eppure, la sua onnipresenza è un segnale importante. Negli anni ’80 e ’90, molti governi consideravano il cambiamento climatico come un processo inevitabile, a cui si poteva solo cercare di adattarsi. La consapevolezza che una transizione energetica possa invece ridurre o fermare questo processo rappresenta una svolta fondamentale rispetto a quell’approccio fatalista.
Tuttavia, come ci spiega l’accademico francese Jean-Baptiste Fressoz, il concetto di transizione energetica è spesso frainteso e talmente inflazionato da rischiare di perdere significato. Il termine fu coniato nel 1967 dal fisico americano Harrison Brown, che lo intendeva come il passaggio da un mondo in crescita alimentato da combustibili fossili esauribili a uno stato stazionario basato sull’energia nucleare, simile alla “transizione demografica”, dove salute e benessere riducono il tasso di crescita della popolazione.
Dieci anni dopo, il presidente Jimmy Carter richiamò il concetto in un discorso, ma ormai il significato si era trasformato. Il suo discorso descriveva una transizione storica dall’uso della legna al carbone, poi dal carbone al petrolio e al gas, seguendo le idee del fisico italiano Cesare Marchetti. Per Marchetti, le transizioni energetiche non erano una risposta all’esaurimento delle risorse, ma un lento e inevitabile processo tecnologico.
Questa interpretazione è simile a quella che oggi prevale nei circoli che si occupano di cambiamento climatico. Tuttavia, come sottolinea Fressoz, manca un vero fondamento storico. Al tempo del discorso di Carter, l’America non aveva ancora ridotto il suo uso del carbone, che continuava a fornire una quantità simile di energia rispetto al gas naturale. E, in modo paradossale, oggi bruciamo più legna di quanto si facesse in passato, quando era la principale fonte energetica.
Gli storici della tecnologia spesso si concentrano sulle innovazioni, trascurando ciò che viene effettivamente utilizzato. Fressoz, seguendo le orme del suo mentore David Edgerton, critica questo approccio. Le narrazioni sull’era del carbone non devono trascurare che il legno continuava a dominare fino al 1900 in molti ambiti, proprio come la pietra rimase cruciale per millenni anche dopo l’introduzione del bronzo. Le “transizioni” energetiche, quindi, raramente sono sostituzioni nette: il nuovo spesso si affianca al vecchio in una lenta evoluzione.
Questo perché i combustibili hanno utilizzi specifici che plasmano profondamente i sistemi energetici. All’inizio del XX secolo, la Gran Bretagna utilizzava più legno come supporto nelle miniere di carbone che nel XVIII secolo come combustibile. Anche la prima infrastruttura petrolifera era quasi interamente costruita in legno.
Oggi l’industria petrolifera è sostenuta principalmente dall’acciaio, un materiale che deriva la sua robustezza dai forni alimentati a carbone. Senza carbone, non ci sarebbe acciaio, e senza acciaio non ci sarebbe l’industria petrolifera. Esistono poche eccezioni a questa regola. Fressoz evidenzia il caso curioso di Vallourec, un’azienda che produce tubi d’acciaio per l’industria degli idrocarburi e possiede foreste per produrre il carbone necessario alla fusione dell’acciaio. Ogni anno Vallourec brucia tanto legno per fare carbone quanto ne consumava l’industria petrolifera del XIX secolo.
Questa storia ci insegna che la tecnologia, invece di sostituire il vecchio, spesso lo rivitalizza. I combustibili fossili hanno reso possibile l’abbattimento di alberi su larga scala, alimentando le metropoli. Oggi, grandi città africane come Lagos, Kinshasa e Dakar consumano più legna di quanto facessero intere nazioni europee un secolo fa.
Fressoz avverte che l’attuale concetto di transizione energetica rischia di creare una falsa sensazione di sicurezza, incoraggiando l’inazione. Confondere le transizioni passate con semplici sostituzioni di tecnologie permette ai responsabili politici di illudersi che basti sovvenzionare le energie rinnovabili per risolvere il problema. Ma non è così semplice. Abbandonare i combustibili fossili richiederà uno sforzo radicale, simile a una “amputazione” delle nostre attuali strutture energetiche. Il libro di Fressoz fornisce una chiara consapevolezza della scala e della complessità di questo compito, mettendo in luce quanto sarà difficile, e forse doloroso, completare questa operazione.
In sintesi, anche se la transizione energetica è un passo cruciale per affrontare la crisi climatica, è fondamentale comprendere che non sarà rapida o indolore. La strada verso un sistema energetico sostenibile richiederà decisioni politiche coraggiose, investimenti su larga scala e una trasformazione radicale del nostro modo di produrre e consumare energia. La COP29 ha evidenziato ancora una volta l’urgenza di agire, ma anche la necessità di affrontare questa sfida con realismo e consapevolezza della complessità del problema.
L’AUTORE
Isaac J.P. Barrow – Professore sociologo specializzato in dinamiche sociali globali. Tutta la sua carriera si è concentrata su globalizzazione e tecnologie digitali. Ha svolto ricerche in vari paesi ed è autore di studi su identità culturali e disuguaglianze. Ha collaborato con organizzazioni internazionali ed è considerato un esperto di politiche sociali ed inclusione.