di Fabio Massimo Parenti – La promozione di relazioni pacifiche richiede impegno, confronto e dialogo. La pace non è solo l’assenza della guerra, benché quest’ultima rappresenti la pre-condizione indispensabile per qualsiasi possibile sviluppo umano. La pace può essere considerata l’unico vero diritto umano universale, collettivo prima ancora che individuale, in quanto è la sola che garantisce il diritto alla vita. Da questo punto di vista, la BRI è essenzialmente un’importante opportunità in questa direzione. Per la costruzione di relazioni pacifiche attraverso lo scambio, il dialogo, la conoscenza reciproca.
La BRI è una realtà in divenire ed è ancorata a un processo di internazionalizzazione cinese acceleratosi alla fine degli anni Novanta per molteplici scopi – energetici, commerciali, produttivi e tecnologici. Senza parlare del Pireo, potremmo guardare all’inaugurazione recentissima del nuovo terminale di Vado ligure, agli accordi con le autorità portuali di Genova e dell’Alto Adriatico, contenuti nel MoU firmato del marzo del 2019, agli investimenti in Africa, che hanno portato ad esempio all’inaugurazione recentissima della prima tratta ferroviaria che unisce le coste atlantiche a quelle dell’oceano indiano, con la ferrovia Angola-Tanzania (Lobito-Dar es Salaam). Inoltre, abbiamo una nuova ferrovia che collega Addis Abeba-Djibouti, operativa dal 2016, la Mombasa-Nairobi in Kenya, inaugurata nel 2017, e molte altre realizzate e in via di costruzione grazie ad investimenti cinesi. Potremmo spostarci nel sud-est asiatico e seguire la ripresa del progetto di collegamento ferroviario con la Malesia, oppure nei Balcani, con l’autostrada in Montenegro e quella Belgrado-Budapest. Potremmo parlare della cantieristica navale, degli accordi nei settori del turismo e dei media (il people-to-people per il mutual understanding), dello sviluppo tra Xinjiang e Kazakistan, degli investimenti in infrastrutture urbane ad Astana e via discorrendo. L’Italia è sempre più coinvolta e si parla di accordi multisettoriali, compresi gemellaggi tra città ed accordi tra università. Roma è il suo terminale naturale, ieri come oggi.
Lanciata ufficialmente nel 2012, questa iniziativa segna il mandato di Xi Jinping, aprendo una nuova stagione di protagonismo cinese nel mondo. “Interconnessione” è la parola chiave per riassumere la BRI, finalizzata ad aumentare i collegamenti tra luoghi, coprendo spazi rimasti troppo a lungo disconnessi e marginalizzati nelle reti globali. Cosa che la Cina vede giustamente come problema da risolvere, prima di tutto coi paesi confinanti. Lo scarso sviluppo economico nelle regioni centroasiatiche, ad esempio, è stato fonte di instabilità in Cina, come dimostratosi con la lunga ondata di attacchi terroristici, in parte riconducibili a situazione di sottosviluppo in alcune remote aree confinarie.
Già Manuel Castells e più recentemente Padrag Khanna hanno spiegato la genesi della network society al livello di economia e società globale, del passaggio epocale di paradigma economico-sociale, dall’industrialismo all’informazionalismo. Khanna in particolare ci mostra come l’interconnessione, tramite la costruzione di infrastrutture, sia la fonte del potere e della redistribuzione del potere nel XXI secolo. Ma la BRI non è solo infrastrutture materiali, ma anche immateriali. Non è solo una modalità per rafforzare interdipendenza commerciale e finanziaria, ma anche per rafforzare coordinamento politico e per incrementare gli spazi di cooperazione tra popoli, lavorando sullo scambio culturale, la mutua conoscenza, ecc. Queste ultime forme di connettività non sono dei corollari, ma appartengono ufficialmente alle cinque priorità della nuova via della seta.
Possiamo dire che la Cina stia cogliendo appieno la necessità di rispondere a difficoltà e tensioni derivanti dal deficit di connettività tra aree geografiche. Proponendo un progetto centrato in Eurasia e Africa, ma che copre l’itero mondo. La BRI evoca le gesta e gli eventi di scambio e cooperazione dell’antica via della seta (termine coniato solo nel XIX secolo), la cui storia rappresenta un primo, importante elemento culturale nell’idea ispiratrice.
E’ stata lanciata certamente per dare risposte anche a condizioni economiche interne, in particolare alla sovrapproduzione in alcuni settori ed alla necessità di creare nuovi mercati di sbocco. Tuttavia, fermarsi a questa reale motivazione sarebbe estremamente riduttivo. La Cina ha sperimentato in casa propria il vantaggio dato dall’aumento dell’inter-connettività. Investendo massicciamente in infrastrutture all’avanguardia ha potuto sperimentare direttamente numerosi benefici per la propria popolazione, in termini di crescita dei mercati, opportunità di lavoro, ecc. Pertanto, ragionevolmente, l’era di Xi si apre con questa proposta al mondo, proprio pochi anni dopo la grande crisi finanziaria esplosa nel cuore del mondo occidentale, che ha messo a dura prova il paradigma politico-economico neoliberista. Insomma, si tratta a mio avviso di una proposta centrata sull’economia reale, la cui bontà non è legata al mondo delle idee, ma all’esperienza storica.
Infine, questa strategia è incardinata negli obiettivi di medio e lungo termine della RPC, in particolare ai macro-obiettivi dei due centenari (fondazione del partito e della Repubblica popolare per costruire una società socialista prospera) e a quelli dell’ultimo congresso del PCC (nuove forme di relazioni internazionali e futuro condiviso).
Seppure abbiamo nuove zone economiche speciali, nuovi porti, crescita dei flussi commerciali, quindi innumerevoli opportunità di business, ciò che viene troppo spesso sottaciuto riguarda proprio la portata culturale e politica del progetto. Questa dimensione, quando affrontata, viene spesso discussa, ahinoi, con le categorie obsolete della guerra fredda. Cioè, in una logica di scontro tra potenze. In realtà, ci si dimentica troppo frequentemente di alcuni punti cardine della BRI che restituiscono un quadro politico, valoriale e culturale ben diverso. Sintetizzando, potremmo parlare di un’iniziativa che mette al primo posto l’economia reale, quindi il benessere dei popoli, ma anche e soprattutto la cooperazione rispetto alla competizione, a favore di partnership e non di blocchi di alleanze, essendo questa iniziativa assolutamente inclusiva (senza dunque discriminazioni politiche tra paesi) e non coercitiva (non vi è richiesta di alleanze militari o investimenti in tal senso), come sintetizzato dalla formula 1+1=3…la coesistenza pacifica come valore comune aggiuntivo…
Concludendo, siamo di fronte a una riconfigurazione dei rapporti internazionali in cui la BRI rappresenta uno dei motori più significativi, che ha avuto origine da una molteplicità di ragioni storiche e contemporanee, che si sta sviluppando in un mondo carico di sfide ed ancora marcato da numerose instabilità regionali (a cui l’approccio insito nell’iniziativa tenta di dare una qualche risposta fattuale) e che ha finalità molto più profonde ed articolate rispetto al mero, benché importante, piano economico-finanziario e commerciale.
Fabio Massimo Parenti è intervenuto al convegno Focus Cina 2019, “La nuova via della seta, dal passato al futuro tra preoccupazioni ed opportunità”, 7 ottobre, sala Pirelli Regione Lombardia, grattacielo Pirelli.
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è professore associato (ASN), insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, e membro di EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance and Geopolitics, Egea. Su twitter @fabiomassimos