Le guerre del futuro si combatteranno per il cibo, non con le armi come per il petrolio, ma con tecniche più sofisticate come il cosiddetto “land grabbing“, con l’introduzione di colture non alimentari nei Paesi del Terzo Mondo e con l’utilizzo di strumenti finanziari. Il cibo è sia una necessità che un’arma. Molte nazioni, come la Cina, hanno inserito nel piano di sicurezza nazionale la sostenibilità alimentare, termine che comprende non soltanto la quantità del cibo, ma anche un prezzo del cibo accessibile dalle fasce più povere della popolazione. Bisogna cambiare la cultura del cibo e privilegiare un’alimentazione vegetariana. Per una bistecca di tre etti sono infatti necessari 4.650 litri d’acqua. Per la Cina il cibo è già oggi un fattore di sopravvivenza. La Cina ha il 19% della popolazione mondiale, il 9% delle terre arabili e il 6% dell’acqua dolce del pianeta, per questo sta facendo shopping di terreni nel mondo. La domanda di cibo mondiale sta superando l’offerta. Sempre più gente chiede cibo senza ottenerlo. Una ragione è l’aumento della popolazione mondiale passata da 1,6 miliardi dall’inizio dello scorso secolo ai circa sette miliardi di oggi e con una previsione di più di nove miliardi nel 2050. La scarsa alimentazione provoca il 45% dei decessi dei bambini sotto i cinque anni, pari a 3,1 milioni ogni anno.
Il Primo Mondo obeso
Di pari passo aumenta il fenomeno dell’obesità nei Paesi più ricchi insieme allo spreco di cibo. L’obesità ha un costo di due triliardi di dollari, pari al 2,8 % del PIL mondiale, dovuto ai costi medici e ospedalieri, alle misure prese dai governi per limitarne l’impatto e alle morti precoci. Da un lato il Terzo Mondo che muore di fame e il cosiddetto Primo Mondo obeso, un paradosso in cui entrambi sono vittime del cibo. Il neocolonialismo alimentare sta diventando un fenomeno sempre più diffuso attraverso l’acquisto o l’affitto per lunghi periodi (fino a 99 anni) di terre coltivabili direttamente da governi nazionali, in prevalenza africani e sudamericani, finora sono stati acquisiti 100 milioni di ettari con un investimento di circa 60 miliardi di dollari. In questo modo si toglie insieme alla terra letteralmente il pane di bocca a chi già non ne ha a sufficienza. Le nazioni cosiddette civilizzate che perdono il loro territorio coltivabile a causa di urbanizzazione e inquinamento, come Cina, Giappone, Arabia Saudita e Corea del Sud, lo comprano altrove. E’ il fenomeno del “land grabbing” sottovalutato dalle organizzazioni internazionali. E’ ancora un paradosso che le nazioni più industrializzate si preoccupino di inviare aiuti umanitari sotto forma di derrate alimentari, come per il Sudan e l’Etiopia, mentre sottraggono terra coltivabile insieme all’acqua che serve per irrigarla ( il 70% di tutta l’acqua disponibile nel mondo è utilizzata in agricoltura).
Il cibo come arma
Il cibo come arma è stato ipotizzato fin dagli settanta dagli USA con la dottrina Linkage che prevedeva l’embargo delle esportazioni di cereali al’URSS in caso di suoi attacchi ad altre nazioni, inoltre gli USA valutarono la possibilità di incentivare le produzioni agricole non alimentari in Africa come cotone, caffè per aumentare la dipendenza di alcune nazioni dalle importazioni dagli Stati Uniti e renderle vulnerabili a pressioni politiche.
La reazione della Russia alle sanzioni americane per l’Ucraina è un esempio recente del cibo usato come arma. Putin ha proibito l’importazione di beni alimentari dalla UE e dagli USA, questa mossa sta provocando consistenti danni economici alle principali nazioni esportatrici verso la Russia, tra cui l’Italia, con una quantità crescente di prodotti alimentari ferma nei magazzini e aziende del settore in forte difficoltà. Altro problema recente legato al cibo è il TTIP, sigla per l’accordo di convergenza transatlantico, che prevede un’unica area di circolazione dei prodotti alimentari tra USA e UE. L’accordo è fortemente contestato da movimenti e gruppi politici europei, tra cui il MoVimento 5 Stelle, perchè gli allevamenti avicoli americani hanno obblighi inferiori in materia di standard igienici e sanitari a quelli europei, per l’uso diffuso di ormoni nella carne suina e bovina e per l’utilizzo di prodotti geneticamente modificati.
L’Italia del cibo in vendita
L’Italia è sempre meno autosufficiente nella produzione di cibo, oggi non riuscirebbe a soddisfare le esigenze della sua popolazione, e non ha inserito il cibo come voce in un piano di sicurezza nazionale, in questo è in buona compagnia con la UE. Non ha neppure una rete di protezione come un fondo ad hoc contro il saccheggio sistematico da parte di investitori esteri delle nostre migliori aziende alimentari, una vera ecatombe: Invernizzi, Peroni, Fattorie Scaldasole, Averna, Pernigotti, Sasso, Carapelli, Italpizza, Orzo Bimbo, Rigamonti, Bertolli, Ferrari Casearia (27%), Eridania (49%), Gancia (70%), Parmalat, Star (75%), Riso Scotti (25%), Chianti classico, Pasta Garofalo. La Cina si sta focalizzando sulle aziende produttrici di olio e ha comprato i marchi Sagra e Berio. Per l’Italia il cibo è sia una risorsa fondamentale per l’export, i prodotti alimentari italiani sono infatti tra i più apprezzati nel mondo, sia un punto fondamentale per la sostenibilità alimentare.
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