di Torquato Cardilli – L’inflazione che sta preoccupando i lavoratori, le famiglie, le imprese, il sindacato e il Governo è un fenomeno vecchio quanto il mondo. E’ una scomoda e costosa compagna di viaggio che, da qualche millennio, segue l’uomo come un’ombra, a una certa distanza, che si allunga o si accorcia, a seconda dello stato di salute del paese e delle condizioni economiche pubbliche. Già nota all’epoca dei faraoni, ha attraversato la storia fino a noi senza mai mollare la presa di una tenaglia economica che fa male.
Oggi, come allora, essa consiste nell’erosione nascosta del potere d’acquisto, mentre il suo indice o tasso rappresenta il volume della perdita di valore, riferito ad un certo periodo: con la stessa quantità di denaro si acquista una minore quantità di beni e servizi rispetto al periodo precedente, oppure si acquistano gli stessi prodotti del periodo precedente a un prezzo maggiore.
Se l’inflazione fosse stata una disgrazia economica facilmente eliminabile non avrebbe avuto una vita così lunga. Invece è un fenomeno, soggetto a fiammate più o meno consistenti, duraturo nel tempo a danno soprattutto dei meno abbienti, dei cittadini che pur centellinando non ce la fanno.
Negando questa verità, Christine Lagarde, presidente della BCE e dunque massima autorità monetaria in Europa, è incappata in un errore marchiano del tutto inammissibile: negando che ogni fenomeno economico ha una precisa origine, principio noto e spiegato da Parmenide, ha affermato che l’inflazione degli ultimi due anni sarebbe venuta fuori dal nulla.
Sulle sue cause le varie scuole economiche moderne avanzano spesso teorie di segno diverso separando l’inflazione buona da quella cattiva.
Volgarmente ciascuno di noi ricorda quanto poco costasse il pane o la benzina, o la frutta venti anni fa. Ma nessuno si domanda quanto costeranno gli stessi prodotti tra cinque o dieci anni. E invece questa è la domanda su cui si cimentano gli economisti e gli strateghi della speculazione finanziaria che spesso indovinano il “momentum” per accumulare fortune, ma quando sbagliano bruciano somme da capogiro, scaricando i sacrifici sugli ignari e indifesi cittadini.
La primaria origine dell’inflazione risiede nella crescita della domanda generata dall’aumento della spesa, pubblica e privata, che mette in circolazione più denaro. Viene interpretata perciò come motore della crescita, dato che l’aumento della domanda, in condizioni favorevoli di mercato, stimola ancora di più gli investimenti, spinge la produzione e l’espansione economica. E questa è considerata l’inflazione buona.
Se invece è frutto di eccessiva dipendenza di importazioni dall’estero non produce un automatico sviluppo. La crescita sul mercato internazionale del costo dei beni importati (petrolio, gas, alimentari, prodotti di tecnologia, ecc.) crea l’inflazione cattiva, detta appunto “da importazione” con un possibile ulteriore peggioramento perché soggetta alla fluttuazione negativa del cambio (euro-dollaro).
Ad esempio un anno fa con 1 euro si otteneva 1 dollaro e 20 centesimi, mentre oggi le due monete sono alla pari. Questa nuova realtà di cambio tradotta in pratica vuole dire che il petrolio, universalmente scambiato contro dollaro, per il solo effetto del cambio, pur mantenendo la stessa quotazione di un anno fa ci costa il 20% in più.
Contro l’inflazione negativa, che falcidia il potere d’acquisto del denaro frutto del lavoro o del risparmio, il cittadino non ha un’arma di difesa: se è debitore si può consolare per il fatto che al momento del pagamento del debito utilizza una moneta che vale meno, ma se è creditore, alla scadenza riceverà in termini di valore meno di quanto aveva prestato. Allora chi è che ci guadagna?
Il nostro paese ha un debito mostruoso di 2.742 miliardi di euro, pari al 150% del suo PIL, (di cui solo il 5,9% è in mano ai piccoli risparmiatori e alle famiglie italiane) superato solo dalla Grecia che ha un rapporto del 182%, mentre la media europea è del 94%, e paga ogni anno in soli interessi 62 miliardi di euro.
Ogni mese l’Italia deve rinnovare titoli in scadenza per circa 40 miliardi che vengono rimborsati con moneta praticamente svalutata dall’inflazione. Dopo anni di inflazione molto bassa, dal quarto trimestre dell’anno scorso l’inflazione ha preso a correre toccando il massimo degli ultimi 13 anni.
Tre sono state le cause scatenanti sempre accompagnate da una buona dose di speculazione: la rapida ripresa delle attività economiche soprattutto nell’edilizia dopo il blocco determinato dalla pandemia, il rincaro progressivo dei beni energetici importati a causa della guerra e l’impatto negativo del cambio.
Quando le imprese, per le strozzature delle catene di approvvigionamento (carenza di materie prime, carenza di trasporti, necessità di ricostituzione delle scorte di magazzino), non riescono a tenere il passo con il ritmo a cui i consumatori desiderano acquistare i prezzi aumentano in base alla legge della domanda e dell’offerta.
Se l’economia cresce, ogni attività produttiva può incrementare i prezzi senza perdere il compratore. Più durano tali circostanze, più diventa automatico il trasferimento della maggiorazione dei costi sul consumatore finale che però ad un certo punto, finisce per ridurre gli acquisti di beni e servizi, con ciò determinando un parziale rallentamento del processo inflattivo.
Petrolio, gas ed elettricità sono diventati più costosi in ogni parte del mondo per la guerra in Ucraina, per le sanzioni imposte contro la Russia, già applicate contro l’Iran e il Venezuela, per la speculazione selvaggia, poco contrastata dal Governo, e per i forti e sconvolgenti cambiamenti climatici le cui conseguenze, per quanto temute, non hanno ancora suscitato nel mondo reazioni appropriate (pale eoliche che funzionano poco per la minore intensità dei venti, centrali idroelettriche rimaste inoperose per la siccità, alluvioni disastrose che hanno colpito milioni di persone e interrotto per mesi la capacità produttiva a basso costo di paesi come l’India, il Pakistan, il Bangladesh.
Per quanto ci riguarda nell’inverno 2021-2022 (Governo Draghi) più preoccupati della pandemia che dell’economia, abbiamo consumato le nostre riserve di gas e petrolio. Scoppiata la guerra in Ucraina, proprio nel momento peggiore, abbiamo fatto la corsa a nuovi acquisti per ripianare le scorte a prezzi maggiorati.
Ci si chiede come mai la BCE adesso, di conserva con la Federal Reserve americana, aumenti il costo del denaro (con effetto a cascata su tutti i paesi della zona euro), contrariamente a quanto accaduto sotto la presidenza Draghi che invece, con il “quantitative easing”, aveva inondato il mercato, attraverso le banche centrali, di centinaia di miliardi, rendendo più facile l’accesso al credito e alla spesa.
La missione della BCE è di mantenere stabili i prezzi a beneficio dei cittadini. Per questo l’attuale scelta monetaria restrittiva che rende più costoso il credito è l’unico strumento possibile per frenare l’ascesa dei prezzi e favorire il raffreddamento della scala inflattiva.
Il popolo si domanda quando ci libereremo dell’inflazione che, come accennato, affligge l’uomo da millenni.
Gli economisti sono concordi nel sostenere che l’inflazione (da eccesso di domanda, da costi di produzione, da importazione), non può scomparire: sta ai Governi non promettere ciò che non possono garantire. Spesso essi mentono dicendo di vedere la luce in fondo al tunnel. Proponendo soluzioni miracolose di benessere e di facilitazioni che regolarmente sono caricate sulle spalle di chi deve ancora nascere, confermano la validità delle parole di Mark Twain “È più facile ingannare le persone che convincerle che sono state ingannate…”
L’AUTORE
Torquato Cardilli – Laureato in Lingue e civiltà orientali e in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Ha redatto oltre 200 articoli di carattere politico ed economico pubblicati in Italia e all’estero da varie testate ed agenzie di stampa.