di Maurizio Montalto – Il Bufo Bufo è il Re dell’acqua. Lo ha incoronato il popolo Aymara. È il rospo scolpito dagli indiani del Perù e portato sulle colline con l’auspicio che provochi la pioggia. (J.G. Fazer – 1922).
L’acqua è fonte di vita e il riconoscimento della centralità di un animaletto “brutto e viscido” nel governo della preziosa risorsa a noi appare incomprensibile. Ma si spiega. Le conoscenze precolombiane vengono dall’osservazione degli “altri animali” (G.Durrell – 1956), dei loro rapporti e di ogni elemento della natura; l’uomo delle Ande trova il proprio spazio sulla madre terra (la Pachamama) e tende a vivere in armonia con essa. Le tribù si affidano alle innate abilità del rospo che guarda oltre, prevede i flussi d’acqua e diviene inconsapevolmente regolatore della vita delle comunità indigene. Una visione ecocentrica della realtà, in opposizione a una concezione antropocentrica, in cui l’uomo domina la natura.
L’ipotesi Aristotelico/Tolemaica che la terra, e con essa l’uomo, fossero al centro dell’universo, ha condizionato la cultura su gran parte del pianeta per oltre 2000 anni. Nel 1543, Copernico ha rivoluzionato la scienza quando ha scoperto che la terra e altri pianeti girano intorno al sole, ma l’idea che l’uomo non è il centro dell’universo tarda ancora oggi ad affermarsi. L’approccio antropocentrico, radicato soprattutto nel mondo occidentale, ha prodotto paradossi e contraddizioni dalle quali abbiamo enormi difficoltà ad uscire.
La centralità dell’uomo si è tradotta in un diritto all’arricchimento personale senza limiti e alla prevaricazione. Alle multinazionali è stato riconosciuto, anche giuridicamente, il diritto di depredare i territori delle risorse, disastrarli e di sacrificare la vita umana all’obiettivo del profitto. Così si arriva ad avere leggi che negano l’accesso all’acqua a chi non può pagarla! Una visione che incide negativamente sul nostro rapporto con l’ambiente.
L’uomo è parte integrante della natura, ma ha una relazione paradossale nei confronti degli altri elementi. Le nostre leggi non tengono conto delle necessità dell’intero ecosistema e delle sue norme regolatrici. È come dire che basti fare una norma per chiedere all’acqua di un fiume d’invertire il suo corso per impedirgli di continuare ad andare verso il mare! Non funziona perché le regole del gioco le stabilisce la natura. Questa consapevolezza appartiene senza dubbio alla cultura degli Indiani d’America, a noi no.
Il grado di conoscenza scientifica che abbiamo raggiunto sul funzionamento degli ecosistemi non può non farci interrogare sulla necessità di un diverso approccio. Ma sul piano formale siamo lontani dalla soluzione perché le leggi sono il prodotto della cultura dominante. Prova ne è l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite che da una parte afferma il diritto umano all’acqua, dall’altra si contraddice riconoscendole un valore economico.
Quali le conseguenze? Attribuire un prezzo all’acqua, come se si trattasse di una merce qualsiasi, significa legittimare la speculazione delle Corporation a danno dei poveri. E così in Africa le donne sono costrette a percorre chilometri per approvvigionarsi d’acqua per dissetare la famiglia, non avendo la disponibilità economica per acquistare le schede prepagate, che consentirebbero loro, molto più agevolmente, di accedere alle fontane gestite dalle multinazionali. Di contro, vi è a livello globale una forte mobilitazione per il cambiamento che sta avendo ripercussioni sul sistema finanziario che determina il prezzo dell’acqua e non solo.
In Italia, ad esempio, di recente, la mera ipotesi di nazionalizzazione dei servizi pubblici ha scatenato la Borsa e i titoli delle multiutility sono crollati. Ma la possibilità di mettere in sicurezza i servizi e i beni essenziali, in particolar modo l’acqua, ponendoli al riparo dalle speculazioni è prevista dalla nostra Costituzione.
L’articolo 41 e succ. stabilisce che l’iniziativa economica deve assolvere a una funzione sociale e lo Stato può trasferire alcune categorie d’imprese, come quelle che gestiscono l’acqua, a Comunità di lavoratori o utenti. Nel nostro sistema democratico, dunque, le basi giuridiche per il cambiamento ci sono. Con i limiti di chi guarda essenzialmente alle necessità umane, più che all’intero ecosistema, il primo passo è alla portata.
Partire dall’acqua restituendola alle Comunità è una priorità.
L’Ecuador e la Bolivia sono orientate in tal senso; sono esperienze importanti e, seppure geograficamente e culturalmente distanti, possono essere d’esempio, come l’inserimento nelle loro Costituzioni dei diritti della natura.
La Slovenia e la Tunisia hanno introdotto in Costituzione il diritto umano all’acqua, ciononostante la tutela effettiva del diritto non è ancora garantita, a riprova del fatto che non bastano le mere dichiarazioni di principio se manca la volontà di perseguire l’obiettivo concreto.
La Spagna e l’Olanda sono impegnate storicamente sull’amministrazione dell’acqua e sulla costruzione di grandi opere a cura della popolazione. (R. Louvin 2018)
Le esperienze sono da imitare per realizzare il progetto nazionale. Struttura organizzativa, gestione, amministrazione di Comunità sono modelli già sperimentati con successo. È una questione di volontà. Bisogna scegliere se sottrarsi alle proprie responsabilità o essere tutti cittadini attivi e costruire insieme l’Acqua di Comunità.
L’AUTORE
Maurizio Montalto – Avvocato e Giornalista pubblicista specializzato in “diritto e gestione dell’ambiente”. Presidente dell’Istituto italiano per gli Studi delle Politiche Ambientali. È stato Presidente dell’azienda per l’acqua pubblica di Napoli ABC (Acqua Bene Comune). È attivista del Forum Italiano per i Movimenti per l’acqua e ha fondato la Rete a Difesa delle Fonti d’Acqua del Mezzogiorno d’Italia. Ha pubblicato: Le vie dell’acqua, tra diritti e bisogni ed Alegre, La guerra dei rifiuti ed Alegre, La Casa Ecologia ed Simone, L’acqua è di tutti ed L’ancora del Mediterraneo, La rapina perfetta ed libribianchi di stampalternativa. Ha avuto incarichi tecnici in Governi tipo Comitato Ministeriale sul diritto all’acqua, cd. Comitato scientifico del Ministero dell’Ambiente C.O.V.I.S. e ha lavorato sull’emergenza rifiuti per la Presidenza del Consiglio dei Ministri col Generale Jucci.