di Torquato Cardilli – La politica estera è il settore più delicato dell’attività di governo per le conseguenze sul futuro della nazione: scelte sbagliate possono compromettere il welfare, la vita, l’economia non solo della generazione presente, ma anche di quella futura. E quando in politica estera si arriva al bivio pace o guerra vuol dire che si sono perse le coordinate della saggezza, e della correttezza costituzionale perché quel bivio dovrebbe essere evitato a tutti i costi e restare fermi sul sentiero della pace.
Come noto l’art.11 della nostra Costituzione, stabilisce in modo inequivocabile, che l’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Questo verbo “ripudia” va ben oltre la mera declaratoria del pacifismo. Ripudiare è un verbo definitivo che non ammette interpretazioni, né cedimenti, né attenuazioni, né scappatoie. L’Italia può solo esercitare l’autodifesa per respingere attacchi esterni, diretti e riconoscibili, contro la propria integrità territoriale, contro la propria sicurezza o quella degli alleati, ma non quella di paesi terzi estranei ad ogni alleanza.
Siamo di fronte a due fenomeni di neo-imperialismo e sterminio: quello russo e quello israeliano. Le giaculatorie sterili di condanna, ripetute ad ogni occasione, contro gli atti di terrorismo, contro i crimini di guerra ascrivibili a questo o quel capo di governo, lasciano il tempo che trovano, se non sono seguite da scelte politiche coerenti con i valori di cui ci si proclama depositari.
Certo il capo di Hamas e la sua cerchia criminale, Netanyahu ed il suo Gabinetto di guerra pronto allo sterminio ed a qualsiasi violazione del diritto, Putin aggressore e Zelenski aggredito sono direttamente responsabili della barbarie moderna.
La morte di centinaia di migliaia di soldati, di decine di migliaia di civili, la creazione di una generazione di mutilati, le stragi di bambini, i crimini di guerra, le distruzioni di infrastrutture e di abitazioni, l’inquinamento ambientale da esplosivi e sostanze altamente cancerogene, in barba ad ogni accordo sull’ambiente, i dolori e le atroci sofferenze inflitte ai civili meritano sdegno ed esecrazione contro chi non ha mai indicato una via d’uscita dal gorgo dei massacri.
Nelle Cancellerie e nei Parlamenti dei paesi non direttamente coinvolti deve risultare chiaro il confine tra diplomazia e servilismo.
La prima è l’arma inoffensiva, ma efficace, che serve ad instaurare un minimo di atmosfera di reciproca comprensione, mentre il secondo è l’atteggiamento del servo di fronte al padrone.
Purtroppo, in Europa, si registra l’ipocrita politica di acquiescenza nel rifiutare alcuna iniziativa diplomatica, per assecondare chi a distanza di sicurezza di migliaia di chilometri detta le regole di ingaggio, cestina gli appelli del Papa e esalta l’incitamento alla continuazione degli eccidi, preferendo curarsi della crescita del fatturato dell’industria delle armi e delle fonti energetiche, piuttosto che avere pietà per le vittime.
I benpensanti (partiti, stampa, tv) sostengono ogni giorno che, quando si fa parte di un’alleanza, bisogna stare ai patti, e ove possibile mostrare zelo nel provare di essere più allineati degli altri.
Scambiare l’alleanza per servilismo è un errore esiziale che si riflette sull’intero paese, sulla sua rispettabilità, sulle scelte economiche e sociali, sull’avvenire dei figli.
Due paesi considerati al limite delle violazioni dei principi democratici, l’uno membro dell’Unione Europea (e dal primo luglio suo presidente di turno) e l’altro membro della Nato, hanno dimostrato di preferire lo strumento diplomatico a quello del servilismo verso chi tifa dalle retrovie per la guerra.
L’Ungheria, che ha rifiutato l’applicazione integrale delle sanzioni varate dall’UE contro la Russia, si è fatta alfiere dell’approccio diplomatico. Il suo primo ministro Orban, nel giorno stesso in cui ha assunto la presidenza europea, si è recato a Kiev per prospettare a Zelenski i vantaggi di un cessate il fuoco e le ancor più tragiche conseguenze di una continuazione della guerra senza fine, mentre sullo sfondo appare sempre più probabile il crollo psicofisico e politico di Biden la cui amministrazione non esiterà tra qualche mese ad abbandonare i suoi alleati come già accaduto con l’esercito siriano ribelle anti Assad che si è fatto massacrare a vuoto, con i curdi unici resistenti eroici contro l’Isis, con gli afghani illusi per 20 anni di poter sconfiggere i talebani.
Ma il tentativo diplomatico va fatto verso entrambi i contendenti e Orban ha inteso ritagliarsi con un analogo passo a Mosca un ruolo del tutto inedito.
Da parte sua la Turchia di Erdogan non ha avuto esitazioni nel respingere un allineamento pedissequo e sterile alle decisioni cervellotiche di Stoltenberg, privilegiando da subito il metodo diplomatico con le trattative di pace di due anni fa, fermate all’ultimo minuto dalle pressioni truffaldine su Zelenski da parte della Gran Bretagna e degli Usa ossessionati dal piano di mettere in ginocchio la Russia. Per loro, la morte di alcune centinaia di migliaia di ucraini era considerata con estremo cinismo funzionale alla visione geostrategica di egemonia nel mondo.
Mentre Regno Unito, Francia e Stati Uniti, stanno per disegnare con le urne un nuovo quadro politico che avrà riflessi internazionali non trascurabili, a noi non resta che esprimere il rammarico per aver assistito allo spreco di un’occasione che non si ripresenterà più.
L’Italia, presidente di turno del G7 non ha avanzato nessuna iniziativa diplomatica (salvo la bufala del piano Mattei) sia per l‘Ucraina (Meloni è andata anzi a Kiev non a perorare la pace, ma a spingere per la guerra firmando una intesa di cooperazione militare) sia per Gaza (Meloni pilatescamente si è astenuta all’ONU sulle risoluzioni che chiedevano l’immediato cessate il fuoco e l’ingresso degli aiuti umanitari; ha votato per la sospensione degli aiuti all’UNRWA, ha negato il proprio voto all’Assemblea generale che chiedeva a larga maggioranza il riconoscimento dello Stato di Palestina).
L’AUTORE
Torquato Cardilli – Laureato prima in Lingue e civiltà orientali e poi in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Opinionista e pubblicista su temi politici ed economici su varie testate ed agenzie di stampa, in Italia e all’estero.