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Pubblico una lettera inviata da Gino Strada e una risposta di Alberto Cairo al post del 25 maggio 2006 .
“Cari amici,
leggo questa sera sul blog di Beppe i vostri commenti alla mia risposta alla polemica innescata da Alberto Cairo. “La guerra è finita” – aveva dichiarato – “gli ospedali di Emergency sono inutili”. Oggi 29 maggio, il Centro Chirurgico di Kabul ha ricoverato 71 pazienti, tutti colpiti da proiettili, tutti civili (potrete trovarne le storie, forse già da domani, su peacereporter.net). Credo sia la “migliore” risposta alle distorsioni della realtà […]
Però mi disturbano, e ne dissento profondamente, una certa aggressività e l’insulto nei confronti di Alberto Cairo. Con lui ho diversità di opinioni profonde e non conciliabili su molte questioni, ma credo che Alberto sia una persona competente e molto appassionata al proprio lavoro, e questo va apprezzato perchè costituisce un valore.
L’Afghanistan di oggi impone a noi di promuovere un altro valore: quello della scelta non-violenta, la cui prima tappa la fine della occupazione militare […]
Il ripudio della guerra “come strumento” non lascia spazio a disquisizioni e distinguo su “questa” o “quella” guerra. La nostra Costituzione vieta di usare lo strumento guerra. Dobbiamo trovare il modo, noi cittadini, di lavorare affinchè i politici rispettino la Costituzione alla quale hanno giurato di essere fedeli […]
Utopia? Sì, come erano utopie molti decenni orsono la abolizione della schiavitù o l’eliminazione del vaiolo […]
Potessimo chiudere la Sala di Rianimazione per mancanza di vittime da “rianimare” saremmo noi i primi a gioirne, e non mancheremmo di farvelo sapere”.
Gino Strada
“Ho passato i cinquanta. Sono la prova vivente che età e saggezza non crescono di pari passo. Un mio vecchio conoscente lo diceva, avrei dovuto credergli.
Quando torno in Italia in vacanza, passo il tempo con gli amici più cari, visito i miei genitori o me ne sto per i fatti miei. Evito ogni possibile impegno, non sollecito contatti con la stampa né interviste. In compenso accetto volentieri cene da amici, specie se buoni cuochi. Così ho fatto durante lultima brevissima visita a Milano, a fine marzo. Eravamo otto persone, le conosco da trentanni.
Mi presentano una signora dallaria compunta. E una giornalista-scrittrice. Normale mi chiedano dellAfghanistan, normale io risponda parlando liberamente, siamo tra amici […]
A fine cena mi propone di incontrarci per unintervista. Vorrei dire di no, il quadernino a tavola non mi è piaciuto e sono in vacanza. Ma è amica di amici, non voglio fare il difficile, né perdere una occasione di parlare dellAfghanistan, sempre meno di moda.
Quando la rivedo si chiacchiera a lungo. Il quadernino riesce. Mi lascia con la promessa di inviarmi il pezzo per lapprovazione prima di mandarlo al giornale […]. Invece il pezzo non mi arriva mai. Qualche giorno più tardi, il pezzo esce.
E Gino Strada stesso a segnalarcelo, furibondo per quanto scritto sul suo ospedale. Resto senza parole. Lo so, è impossibile trascrivere per intero una intervista, lo spazio è tiranno […] ma perché cercare ciò che può ferire e creare inutili polemiche? E perchè non mandarmela in visione come promesso? […] Chi ha letto quanto di tanto in tanto scrivo da Kabul lo sa: cerco calma e riflessione, evito motivi di rissa, racconto fatti, non mi lancio in dichiarazioni politiche, non è il mio mestiere, non ne sono capace. Immagino siano parecchie le persone seccate per larticolo: volontari e volontarie che lavorano a Kabul, la Croce Rossa Italiana, Emergency.
Me ne dispiace. Con molti ho rapporti frequenti, con Emergency talora pazienti in comune, mi auguro sempre più numerosi. E per loro che siamo qui […] L’intervista nuoce anche a me, mettendomi in bocca cose imprecise, non da me approvate […]
Ho esitato prima di scrivere questo blog (il primo della mia vita, l’ultimo sull’argomento). Il mio scopo non è ribattere le accuse di Gino Strada. Scrivo per i volontari e per chiunque sostenga organizzazioni umanitarie: non meritano polemiche di questo genere, che non servono a niente e a nessuno. Chiedo loro scusa. Sono loro infatti quelli che contano, dovunque lavorino, a Kabul, in Africa o in Italia, sotto casa […]”.
Alberto Cairo