di Marco Bella – Anche se quello ottenuto nei laboratori della National Ignition Facility (NIF) di Livermore (California) è una pietra miliare della ricerca scientifica è improbabile che possa avere delle applicazioni pratiche. E non mi riferisco solo al futuro prossimo: quando l’umanità utilizzerà finalmente la fusione nucleare per produrre energia per farci bombe letali difficilmente utilizzerà un apparato simile a questo.
Spieghiamo in modo semplificato questo esperimento, sulla base di quanto riportato sul sito della rivista Science.
In un edificio della NIF esteso come tre campi di football americano ci sono i laser più potenti del mondo. Gioielli della tecnologia. 192 fasci laser sono stati puntati su una scatoletta d’oro delle dimensioni di una gomma da cancellare. L’oro, irradiato dai laser, ha emesso dei raggi X che hanno colpito una capsula interna di diamante delle dimensioni di un granello di pepe. La capsula conteneva al suo interno una miscela di isotopi dell’idrogeno. L’implosione di questa capsula ha permesso di innescare un processo di fusione nucleare analogo a quello che avviene nelle stelle, quello cioè in cui due atomi si fondono e rilasciano energia.
Una delle difficoltà principali che i ricercatori hanno dovuto affrontare è stato di avere una capsula di diamante la più levigata e simmetrica possibile, perché nei primi esperimenti l’implosione collassava producendo una “pizza” piuttosto che una sfera. Solo così è stato possibile generare più energia di quanta abbia colpito la capsula.
Quanta energia? Alla capsula sono arrivati 2.05 megajoule di energia e sono stati rilasciati circa 3.15 megajoule, con un guadagno del 50%. 1 megajoule corrisponde a 0.278 kilowattora, l’energia sufficiente per far funzionare un aspirapolvere da 1000 watt per meno di mezz’ora.
Precisazione importante: la produzione netta di energia c’è solo se consideriamo esclusivamente quella che ha raggiunto la capsula. È stata usata molta più energia in tutto l’esperimento perchè l’efficienza dei laser è molto bassa, dell’ordine del 2-3%. Per avere una reale produzione netta di energia, quella generata dal processo di fusione, sarebbe dovuta essere almeno 100 volte tanto.
Per non parlare del fatto che se si volesse avere una produzione continua di energia con questo apparato si dovrebbero avere dei laser che mandano non un impulso al giorno ma circa 10 al secondo e un sistema per cambiare circa un milione di capsule di diamante ogni giorno.
Ovviamente i “diamanti” usati per fare la capsula non sono quelli che si comprano dal gioielliere, ma speciali diamanti sintetici, non per questo meno costosi.
Fino a oggi l’unica produzione efficiente di energia tramite fusione è avvenuta nelle bombe termonucleari o bombe all’idrogeno. Questi ordigni utilizzano l’esplosione atomica tramite uranio per innescare la reazione di fusione nucleare e furono sviluppati perché ironicamente la potenza delle bombe atomiche come quelle lanciate dagli americani sul Giappone era intrinsecamente limitata. La bomba più potente mai esplosa (la Zar) fu lanciata sull’arcipelago artico della Nuova Zemlja il 30 ottobre 1961 e rilasciò qualcosa come 50 megatoni di energia (equivalenti a 50 milioni di tonnellate di tritolo). Per capire l’enormità di questo evento, si pensi che la totalità degli ordigni usati nella seconda guerra mondiale (incluse le atomiche americane) aveva una potenza esplosiva stimata complessiva di solo 2 megatoni. L’energia rilasciata della bomba in realtà avrebbe potuto raggiungere 100 megatoni, ma fu limitata per dare almeno il 50% di possibilità di sopravvivenza all’equipaggio del Tupolev TU-95 che la lanciò con un paracadute. L’aereo riuscì ad allontanarsi di circa 40 km dal punto ove avvenne l’esplosione e a tornare alla base.
Lo scopo della bomba Zar era esclusivamente propagandistico, visto che a parte due prototipi non ne furono costruite altre. La guerra non si combatte solo con le bombe, ma anche con la propaganda.
I laboratori della NIF di Livermore nascono per indagare le esplosioni termonucleari su piccola scala piuttosto che per studiare un modo per produrre energia. Giusto continuare a investire in questo sistema seppur con tutti i suoi limiti, ma bisogna anche finanziare altri approcci che potrebbero essere più adatti a produrre energia, come ad esempio i reattori a confinamento magnetico che si stanno sviluppando in Europa e in Cina. E ancora più giusto è investire in altri sistemi che al momento potrebbero sembrare più indietro, perché la scienza non avanza sempre a piccoli passi, ma con salti enormi e inaspettati.
Dobbiamo scindere il risultato scientifico dalla propaganda. In questo momento può far comodo credere al pubblico che potremo presto avere una fonte di energia praticamente illimitata e che non avremo bisogno di quella da Russia o Medio Oriente, ma le cose non stanno così. Ci vorranno decenni prima che la fusione possa produrre energia in modo utile. Anche rispetto al cambiamento climatico, il tempo per evitare la castrofe, limitando il riscaldamento globale a 2 gradi centigradi rispetto all’era pre industriale, è limitato. Nel 2015, con gli accordi di Parigi, oltre 180 paesi si sono impegnati a raggiungere questo obiettivo arrivando a emissioni nette zero di anidride carbonica entro il 2050. Nè il nucleare da fusione che quello che si usa oggi da fissione possono essere soluzioni adeguate per fronteggiare il cambiamento climatico perché costruire le centrali con queste tecnologie richiede tempi troppo lunghi.
Ad esempio, Olkiluoto 3 (Finlandia), l’ultimo reattore (di generazione III+) costruito in Europa è stato progettato nel 2000, i lavori sono iniziati nel 2005 e la prima produzione di energia è avvenuta solo nel marzo 2022, dopo 17 anni. Al momento è fermo per alcune criticità riscontrate nella turbina e (forse) riprenderà a funzionare a gennaio 2023. I costi iniziali (3 miliardi di euro) si sono triplicati raggiungendo i 9 miliardi di euro. Storie simili sono accadute per la costruzione dei nuovi reattori di Flamanville in Normandia e Hinkley Point C in Gran Bretagna. È inevitabile che più si costruiscono impianti grandi e complessi, maggiori saranno gli imprevisti, e che ciascuno di questi porti a ritardi e moltiplicazione dei costi.
Sostenere che il nucleare di qualsiasi tipo possa contribuire significativamente a fermare il cambiamento climatico serve solo a lavare la coscienza di noi paesi ricchi, che siamo i principali responsabili delle emissioni di anidride carbonica e quindi del cambiamento climatico di tutto il pianeta. Il 10% degli abitanti più ricchi produce il 50% delle emissioni di anidride carbonica e il 50% più povero è responsabile solo per il 10%.
Quindi, bene l’avanzamento della scienza, ma attenzione che la scienza ha i suoi tempi e non può prevedere il futuro o darci il “sacro Graal”. Sì quindi alla scienza, no alla propaganda.
L’AUTORE
Marco Bella, già deputato M5S, è Professore associato di chimica organica alla Sapienza. Tra il 2000 e il 2005 ha lavorato prima presso The Scripps Research Institute in California con KC Nicolaou e poi presso Aarhus Universitet con KA Jørgensen. Ha un seguito blog di divulgazione scientifica su “Il Fatto Quotidiano”.