di Thomas Roulet – Nell’era dei social media, le teorie del complotto si sentono sempre con più frequenza. L’incertezza che circonda la pandemia COVID-19, combinata con il desiderio delle persone di dare un senso a una nuova realtà, ha generato una serie di nuove teorie complottiste rafforzando anche quelle già esistenti. Ciò ha alimentato la diffusione di disinformazione sul virus, dando sempre più spazio a gruppi No-mask.
Anche le elezioni presidenziali statunitensi sono inondate di teorie complottiste. Forse la più importante tra queste è quella di QAnon, i cui seguaci, appoggiati da Donald Trump, diffondono innumerevoli fake news sui Democratici.
Nel mio recente libro, The Power of Being Divisive, spiego come i politici traggano vantaggio dall’assumere le posizioni più radicali e oltraggiose. Possono capitalizzare le affermazioni fatte dai teorici della cospirazione, per inimicarsi certi gruppi, rafforzare la loro identità e, infine, convertirli in elettori fedeli.
Le persone credono nelle teorie del complotto quando si vive sotto stress. In queste situazioni le persone tendono a dare giudizi meno precisi sulla validità delle informazioni che vengono fornite. Ma credere nelle teorie del complotto fa anche sentire le persone parte di qualcosa di più grande di loro e fornisce loro una “tribù” cui appartenere.
Nel mio libro discuto potenziali soluzioni per affrontare entrambi questi problemi. In particolare, mi avvalgo della recente esperienza della Finlandia nella lotta alla diffusione di fakenews e teorie del complotto insegnando il pensiero critico a scuola.
Molti governi finanziano agenzie specifiche per combattere le fakenews e cercare di contrastare la diffusione di teorie del complotto. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno il Global Engagement Center, che cerca di contrastare quei tentativi di manipolare l’opinione pubblica sui social media. Ma il livello di informazione e la velocità con cui le fake news possono diffondersi ha reso la loro missione a dir poco difficile.
La Finlandia ha adottato un approccio notevolmente diverso. Il governo ha istituito un piano per insegnare il pensiero critico nella scuola secondaria fin dal 2014. Ha integrato l’alfabetizzazione mediatica nei programmi di studio ed ha indotto gli studenti a esercitare il loro pensiero critico quando ricevono informazioni su un argomento specifico. La fonte viene valutata, così come il contenuto.
Gli studenti sono inoltre formati per valutare criticamente statistiche e numeri. Questi dati solitamente possono essere particolarmente confusi o difficili da mettere in discussione – e noi tendiamo naturalmente a dare loro legittimità. Ma l’esperienza finlandese dimostra che dare ai cittadini la fiducia necessaria per contrastare le teorie cospirative è più efficace che fornire loro le giuste informazioni.
Ma un’altra sfida si profila e il pensiero critico non è sufficiente. I seguaci delle teorie del complotto, sia che credano in QAnon o che il mondo sia piatto, sono spesso attratti dal far parte di comunità che alimentano le teorie del complotto. Si sentono come se appartenessero a un gruppo selezionato, il che li fa sentire unici e speciali. Credono di avere accesso a una conoscenza esclusiva e ben custodita, e questo li fa sentire distintivi.
Queste idee sono al centro della teoria dell’identità sociale nella ricerca psicologica. Questa è l’idea che la nostra percezione di noi stessi come individui è guidata dai gruppi a cui apparteniamo e dall’identità che essi hanno. Un gruppo di teorici del complotto è attraente perché è visto come se avesse in mano una verità superiore rispetto agli altri.
Le autorità finlandesi lo hanno capito. Il loro programma di scuola secondaria si è anche concentrato sul ricordare agli alunni gli importanti valori universali sostenuti dalla società finlandese. Questi includono l’equità, lo stato di diritto, il rispetto per le differenze, l’apertura e la libertà. Insieme, questi sono una lente potente per esercitare il loro pensiero critico: gli studenti sono chiamati a dare un senso alle informazioni tenendo a mente questi valori.
Alla fine, agli studenti vengono ricordate tutte le cose belle dell’essere finlandesi e che appartengono già a un gruppo con un’identità positiva. Ciò mette in discussione i vantaggi identitari che si avrebbero credendo nelle teorie del complotto. Inoltre, la loro identità finlandese diventa più forte man mano che mettono in discussione e identificano le notizie false. Il pensiero critico e il contrasto alla disinformazione sono ciò che li rende parte di un gruppo di cui possono essere orgogliosi.
Le prove finora suggeriscono che l’approccio della Finlandia sta funzionando. Uno studio del 2019 ha rilevato che gli alunni finlandesi sono molto più bravi a identificare le notizie false rispetto ai loro omologhi statunitensi. Ma i veri benefici richiederanno anni per studiarli, anche perché il programma finlandese si è davvero intensificato solo negli ultimi due anni.
La diffusione delle teorie del complotto non sarà fermata semplicemente dando alle giovani generazioni la giusta formazione per la valutazione delle notizie. La realtà dei gruppi complottisti è che rappresentano parti frammentate della nostra società: la loro stessa esistenza è resa possibile dall’esclusione sociale. Quindi dobbiamo insegnare il pensiero critico oltre a garantire che le persone si sentano parte di una comunità più ampia.
Articolo di Thomas Roulet, pubblicato su The Conversation