di Marco Bella – Ricordate Beppe Grillo che aspira i fumi di scarico dell’auto a idrogeno a Bellinzona nel 1995?
Usare l’idrogeno nel motore significa combinarlo con l’ossigeno producendo acqua anziché l’anidride carbonica oltre a serie di altre sostanze che possono essere tossiche. Le auto nelle città sono una delle principale fonte di inquinamento. Durante il lockdown abbiamo finalmente respirato a pieni polmoni perché le macchine non circolavano. Dalle città del Punjab si è potuto vedere l’Himalaya, evento che non accadeva da oltre 30 anni.
La principale criticità dell’idrogeno è che oggi bisogna produrlo, infatti è considerato un vettore energetico più che una fonte di energia.
Infatti, fino a pochi anni fa qualcuno avrebbe detto (correttamente) che sulla terra non ci sono fonti di idrogeno naturale.
Le cose però possono cambiare rapidamente, come descritto in un articolo appena uscito sulla prestigiosa rivista Science.
In una calda giornata del 1987 nel villaggio di Bourakébougou, in Mali si stava scavando un pozzo a 108 metri. Al posto dell’acqua uscì però del vento. Un operaio si avvicinò con una sigaretta in bocca e fu colpito da una grande esplosione. Il “vento” si incendiò e per settimane bruciò una fiamma azzurrognola che non produceva alcun fumo, finché non si riuscì a chiudere il pozzo. Aliou Diallo, un uomo di affari che aveva anche partecipato alle elezioni del presidente del Mali, nel 2012 portò un team di ricerca che analizzò il gas del pozzo. Era costituito da idrogeno puro al 98%. Nel giro di pochi mesi fu costruito un piccolo generatore da 300 chilowatt che ha dato elettricità a tutto il villaggio, migliorando la qualità di vita degli abitanti: per la prima volta è stato possibile avere lì frigoriferi e illuminazione notturna. I bambini potevano finalmente studiare di sera migliorando le proprie prestazioni scolastiche. Nulla di scontato se si considera che metà della popolazione del Mali non ha accesso all’elettricità.
Dopo la pubblicazione di questa scoperta su International Journal of Hydrogen Energy nel 2018, gli articoli in questo campo sono cresciuti in modo esponenziale. In realtà di idrogeno nel sottosuolo ce ne potrebbe essere moltissimo, abbastanza da soddisfare i bisogni energetici dell’umanità per le prossime centinaia di anni. Potrebbe essere persino una fonte di energia rinnovabile, che si forma tramite il decadimento degli elementi radioattivi presenti nel sottosuolo (l’interno della terra è caldo proprio a causa di questo fenomeno naturale) oppure tramite reazione dell’acqua ad alte temperature con minerali ferrosi (“serpentinizzazione”). L’idrogeno potrebbe essere presente in numerosi siti, non necessariamente associato a petrolio o gas naturale: semplicemente fino a oggi non lo si è trovato perché non si trova quello che non si cerca.
L’estrazione dell’idrogeno dal sottosuolo potrebbe abbatterne i costi. Oggi, produrre un chilogrammo di idrogeno costa da 5 euro fino a 20 euro. Quello da estrazione potrebbe costare invece mezzo euro, almeno dieci volte di meno.
In base a come si ottiene l’idrogeno si può definire tramite un arcobaleno di colori: da estrazione si definisce “gold” (d’oro) rispetto all’idrogeno “grigio” (ottenuto bruciando fonti fossili), quello blu (bruciando fonti fossili ma catturando l’anidride carbonica emessa) o verde (da fonti rinnovabili). L’uso dell’idrogeno blu o grigio potrebbe migliorare la qualità dell’aria localmente, ma bisogna considerare che comunque si ottiene emettendo CO2, quindi dal punto di vista globale è tutt’altro che “non inquinante”. Il discorso cambierebbe totalmente con l’idrogeno d’oro.
Ci sono alcuni settori per i quali la decarbonizzazione è molto complessa (hard to abate) e nei quali già si pensa di utilizzare idrogeno: ad esempio i cementifici, le acciaierie e i mezzi pesanti come autobus o TIR.
Al momento, quello nel Mali è l’unico impianto commerciale, ma in tutto il mondo c’è grande fermento per capire dove potrebbero essere dei depositi di idrogeno da estrarre in modo agevole.
Quello che è stato scoperto per caso nel 1987 in un villaggio africano potrebbe rivoluzionare la storia dell’energia come accadde il 27 Agosto 1859 a Titusville, Pennsylvania, quando Edwin Drake trovò 21 metri di profondità l’oro nero. Nel giro di pochissimi anni le compagnie in tutto il mondo estraevano milioni di litri di petrolio. Stavolta però, l’idrogeno d’oro del sottosuolo potrebbe portare non solo ricchezza ma essere sostenibile dal punto di vista ambientale, permettendoci di produrre energia senza aggravare la crisi climatica. Potrebbe funzionare? Le premesse ci sono tutte.
Leggi l’articolo completo di Eric Hand su Science cliccando qui.