di Fabio Massimo Parenti – Col crescere dei populismi qualcuno ha ironizzato dicendo che il nuovo coronavirus (2019-CoV) sia un virus sovranista, perché metterà a dura prova la tenuta della struttura economica mondiale, quella delle reti, delle catene del valore globale (GVC), ancorate ad hub e cluster in diversi paesi con diversi sistemi politici. Innegabilmente ci saranno ripercussioni economiche, dato che l’epidemia è esplosa nel paese che rappresenta il 16% del PIL globale, il 30% della sua crescita annuale, la quota di consumi più grande al mondo (oltre 6 trilioni), la classe media più numerosa, ecc. Tutti i settori saranno colpiti. Si parla di una caduta consistente del PIL, con stime che vanno da 1 a 6 punti percentuali.
Benché sia troppo presto probabilmente per avere calcoli attendibili, c’è chi vede in questo evento inaspettato il “cigno nero” dell’economia mondiale (come Moody’s). Diversamente, senza evento inaspettato, una nuova crisi globale per il 2020 era stata prevista, tra gli altri, da JPMorgan nel 2018. Forse non è un caso che banche di investimento e agenzie di rating abbiano previsto l’esplosione di un’altra crisi, essendo state tra le maggiori protagoniste responsabili del panico finanziario detonato nel 2007. E’ noto infatti che gli eccessi finanziari all’origine della crisi del 2007 non sono mai rientrati e che le misure post-crisi non li hanno contenuti. Con questa epidemia, e il blocco temporaneo della maggior parte delle attività in Cina, ci si renderà conto, ancor di più, di quanto sia importante la stabilità e l’unità della Cina: principio cardine e stella polare del sistema cinese.
Contesto e genesi dell’epidemia
Wuhan, capoluogo della provincia centro-meridionale dell’Hubei, è uno dei cuori economici della Cina in cui si intersecano un grandissimo numero di linee ferroviarie, stradali ed aeree che collegano il paese al suo interno e col resto del mondo. Wuhan è dunque un hub economico, industriale, finanziario e logistico, ma anche mèta turistica e importante città universitaria.
La genesi dell’epidemia viene fatta risalire a inizio dicembre. Secondo i dati provenienti dalle istituzioni locali, l’8 dicembre 2019 si è registrato il primo caso di polmonite sconosciuta, quando si era ancora nel pieno delle attività lavorative, a circa due mesi dall’inizio delle festività per il capodanno lunare. In seguito, col passare dei giorni, il numero dei casi ha cominciato ad aumentare e si sono rilevate corrispondenze tra i contagiati e la frequentazione del mercato del pesce di Huanan. A fine dicembre i numeri si attestavano solo su alcune decine di casi di influenze “inspiegabili”, che, tuttavia, per tale motivo, hanno destato da parte di alcuni una certa preoccupazione, aumentando la necessità di reperire dati a scopi conoscitivi. Studi e approfondimenti sono stati avviati verso il 27 dicembre. Nei giorni seguenti, i vari comitati per il controllo delle malattie hanno ricevuto nuovi dati ed avviato la creazione dei primi gruppi di esperti. A inizio gennaio non vi erano ancora evidenze di contagio uomo-uomo. Il primo gennaio alcuni cittadini di Wuhan, tra cui il medico Li Wenliang, vengono indagati dalla polizia locale e ricevono avvertimenti di non provocare disordine pubblico con informazioni allarmanti.
Se la macchina burocratica locale sottostimava proprio in quei giorni il pericolo epidemia (saranno sanzionati il 25 gennaio dalle autorità centrali), il mondo medico-scientifico andava avanti nel tentativo di guadagnare maggiore conoscenza.
I primi risultati, le prime misure di contenimento
Dopo il primo mese di casi “inspiegabili” di polmonite, a Wuhan sono aumentati gli approfondimenti medico-scientifici che hanno portato al risultato di sequenziare (2 gennaio) e isolare (5 gennaio) il virus, consentendo di sviluppare la diagnosi per il 2019-nCoV. La condivisione dei dati e la collaborazione con le istituzioni internazionali ha aiutato ad accelerare, dopo i ritardi iniziali, la messa in opera delle prime importanti misure di contenimento dell’epidemia. Così, il 23 gennaio 2020 si dà l’avvio alla quarantena di Wuhan ed altre città dell’Hubei, proprio nel bel mezzo del grande esodo per le festività nazionali più importanti del paese, che vedono centinaia di milioni di persone, per un totale di miliardi di viaggi, spostarsi all’estero e soprattutto all’interno del paese per ricongiungimenti familiari e per attività turistiche. Un sacrificio non da poco per la società e l’economia del paese, ma allo stesso tempo un grande atto, dovuto, di responsabilità politica verso la popolazione e il resto del mondo. Contestualmente, si organizzano procedure di screening territoriale in tutta la Cina e si progetta la costruzione di tre nuovi ospedali, realizzati in pochi giorni attraverso la mobilitazione di imponenti risorse finanziarie, tecnologiche e umane (gli operai saranno pagati il triplo rispetto a condizioni normali, circa 200 dollari al giorno). Un “miracolo cinese” lo definirà l’architetto Boeri
Una valutazione ed un consiglio
Possiamo asserire che la Repubblica popolare abbia dato prova di grande capacità di mobilitazione di massa a beneficio del benessere e della salute delle persone. Ma anche una grande responsabilità verso la comunità internazionale. Questa valutazione deriva dall’analisi dei dati sull’epidemia, che ha portato l’OMS a congratularsi con il governo cinese. Sin dalla sua insorgenza, l’epidemia è stata contenuta all’interno del paese (99% dei casi di contagio) e all’interno della provincia dell’Hubei (il 75% del totale dei contagi e il 95% del totale dei morti), proprio grazie alle misure drastiche con le quali il paese è intervenuto celermente e a quanto pare efficacemente. Dalle testimonianze sul terreno e dai resoconti ufficiali, le comunità locali hanno collaborato fin da subito con le autorità nell’applicare, anche lì dove non è stata prevista una quarantena di intere città, le nuove misure di prevenzione e controllo, che sono state implementate anche grazie all’uso delle varie piattaforme informatiche esistenti (micro blogging e social) e dei nuovi servizi creati ad hoc dalle compagnie informatiche cinesi. Tencent ad esempio ha fornito nuove piattaforme per la condivisione delle informazioni (vedi ad esempio App contagi per quartiere) e per il debunking. Didi ha offerto un servizio di assistenza per la mobilità degli operatori sanitari. Ciascun ministero sta inoltre coordinando il dispiegamento di risorse a sostegno delle attività più colpite e per riprendere quanto prima i servizi fondamentali, come l’istruzione. Insomma, una comunità di 1,4 miliardi di persone che, come da innumerevoli testimonianze dirette di cinesi e stranieri in Cina, sta vivendo una sfida comune, percepita e vissuta come una vera e propria guerra contro il 2019-nCoV.
Alla luce di ciò, estrapolare i problemi riscontrati a livello locale nelle prime settimane, al fine di speculare sulla fragilità del sistema politico cinese tout court, è quanto meno irresponsabile, proprio in un momento in cui la cooperazione e la solidarietà internazionale dovrebbero essere un obbligo per il resto del mondo. Non solo le disquisizioni su un possibile collasso del sistema di potere cinese confermano, ancora una volta, una totale assenza di conoscenza del suo sistema politico e di governance, che è molto più dinamico, flessibile e decentrato di quanto si pensi; ma soprattutto denotano l’esistenza di un cinismo disumano che affligge alcuni comparti non irrilevanti delle società “liberali”. Per fronteggiare un problema comune a tutta l’umanità, cooperazione e solidarietà dovrebbero rappresentare le priorità di tutti i governi e i media stranieri. Purtroppo, così non è. Almeno non per tutti. Al di là delle discriminazioni subite dai cinesi all’estero in varie regioni del mondo, sia sufficiente richiamare le affermazioni del segretario di stato statunitense Mike Pompeo. Quest’ultimo, il 30 gennaio scorso ha affermato pubblicamente che “il partito comunista cinese è la minaccia più grande dei nostri tempi”, proprio nel giorno in cui l’OMS dichiarava il 2019-nCoV “emergenza internazionale”. Una simile esternazione, in un simile momento, da parte di una autorità così rilevante di un paese che è in competizione economico-strategica a tutto campo con la Cina, non può che essere stigmatizzata come abominevole, per la sua disumanità verso un intero popolo, unito e stretto a combattere un’emergenza epidemica. Un dramma comune, insomma, non solo della Cina, ma dell’intero mondo, che non dovrebbe in alcun modo essere strumentalizzato a fini politici. Rispetto e umiltà.
In fin dei conti, siamo in molti a pensare che la Cina ne uscirà più forte di prima.
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è attualmente Foreign Associate Professor di Politica Economica Internazionale alla CFAU. In Italia insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, e membro di EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance and Geopolitics, Egea. Su twitter @fabiomassimos