
di Associazione Meno Male
Durante gli anni della guerra in Vietnam, lo scrittore Paul Goodman scrisse un articolo che fece scalpore:
“Come posso preoccuparmi della guerra in Vietnam, se non riesco nemmeno ad avere un orgasmo?”
Una provocazione, certo. Ma centrava un punto: l’assurdità di separare i problemi personali da quelli globali, come se fossero mondi distinti. E oggi? È ancora così.
Non serve nemmeno scomodare la piramide dei bisogni di Maslow: viviamo in una società dove lo sguardo resta fisso sull’ombelico, esattamente dove teniamo il telefonino. Così, la priorità diventa una sola: il mio piccolo mondo e la mia sopravvivenza quotidiana. Ed è lì che nasce l’infelicità estrema: quando l’unico attaccamento rimasto è quello alla propria sopravvivenza. In quel momento, l’attaccamento si mostra per ciò che è: nudo, senza altro oggetto che se stesso. Ed è l’inferno. Non più in grado di godere, si vive lontani dal cuore. Senza grazia. Senza stupore.
Forse è per questo che assistiamo a un genocidio a Gaza e a una Guerra con milioni di morti in Ucraina, entrambe a soli 2000 km da casa, senza dire una parola. Vi ricordate quando si pensava che non si potesse essere vivi e felici solo se lo erano anche gli altri ? Quando nelle piazze e nei teatri si diceva: o tutti o nessuno? Era solo uno slancio, forse. Un sogno.
Ma con quello slancio, ognuno si sentiva più di sé stesso. Come se in sé abitassero due persone.
Ora che lo sguardo è fisso sull’ombelico, resta solo la fatica quotidiana.
E un sogno rattrappito.
Come in questa foto.