di Peter Eigen – Oggi parlerò di corruzione, ma vorrei mettere a confronto due elementi diversi. Da una parte, la grande economia mondiale, dall’altra, la piccola e molto limitata capacità dei governi tradizionali e delle istituzioni internazionali di governare e plasmare questa economia. E questo accade proprio per questa asimmetria che crea, in pratica, una governance debole. Una diffusa incapacità di combattere corruzione e distruzione ambientale, sfruttamento di donne e bambini, cambiamento climatico. In tutti i campi in cui abbiamo bisogno di una capacità di reintrodurrre il primato della politica nell’economia che opera nello scenario internazionale.E credo che la corruzione, la lotta contro la corruzione, e l’impatto della corruzione, sia probabilmente uno dei modi più interessanti per potervi spiegare ciò che intendo quando parlo di governance debole.
Ecco la mia esperienza. Lavoravo come direttore della filiale della Banca Mondiale a Nairobi per l’Africa Orientale. A quel tempo, notai che la corruzione, la grande corruzione, la corruzione sistematica, stava minando tutto quel che tentavamo di fare. Perciò, iniziai non solo a tentare di difendere il lavoro della Banca Mondiale, i nostri progetti, i nostri programmi contro la corruzione, ma in generale, pensai, abbiamo bisogno di un sistema per proteggere la gente in questa parte del mondo dalle devastazioni che la corruzione porta con sè. E non appena iniziai, ricevetti una circolare dalla Banca Mondiale, prima dall’ufficio legale, in cui dicevano che non ero autorizzato a farlo. Stai mettendo il naso negli affari interni dei nostri paesi partner. E’ espressamente proibito dalla Carta della Banca Mondiale. Perciò devi finirla.
Nel frattempo, presiedevo anche gli incontri dei donatori, molti dei quali vengono organizzati a Nairobi… Ebbene sì, si tratta di una delle città meno sicure del mondo, ma si organizzano gli incontri proprio lì perché le altre città sono più scomode. E in questi incontri, ho notato che a molti dei progetti peggiori portati avanti dai nostri clienti, dai governi,dai promotori, molti dei quali rappresentavano esportatori del nord, veniva data priorità. Proprio ai progetti peggiori.
Un esempio: un grande impianto elettrico, 300 milioni di dollari, da costruire in una delle aree più vulnerabili, ma anche più affascinanti del Kenya occidentale. Abbiamo subito notato che non vi era alcun vantaggio economico. Non c’erano clienti. Nessuno comprerebbe elettricità laggiù. Nessuno era interessato a progetti di irrigazione. Al contrario, sapevamo che questo progetto avrebbe distrutto l’ambiente, avrebbe distrutto le foreste vicino al fiume, che rappresentavano la base della sopravvivenza dei gruppi nomadi, dei Sambutu e dei Tokana che abitano in quest’area. Perciò sapevamo tutti che non si trattava di un progetto inutile, quanto di un progetto terribilmente dannoso; per non parlare dell’indebitamento futuro del paese per centinaia di milioni di dollari e del dirottamento delle già scarse risorse economiche da attività molto più importanti come le scuole e gli ospedali. Eppure, abbiamo tutti respinto questo progetto. Nessuno dei donatori voleva che il proprio nome fosse collegato ad esso, ma fu il primo progetto ad essere messo in atto.
Per i progetti buoni, che noi come donatori avremmo voluto appoggiare, ci sarebbero voluti anni. C’erano troppi studi e molto spesso non andavano in porto. Ma i progetti peggiori, che avrebbero danneggiato fortemente l’economia, per molte generazioni a venire e l’ambiente per migliaia di famiglie, che avrebbero dovuto essere spostate… Quelli vennero subito accolti dai consorzi di banchieri, di esportatori, di agenzie di assicurazioni, come in Germania la Hermes, e così via, E tornavano indietro velocemente, all’insegna dell’alleanza diabolica tra le élite potenti locali e gli esportatori del nord. Ora, gli esportatori erano le grandi multinazionali. Erano gli attori dell’economia mondiale, che ho citato all’inizio. Erano le varie Siemens di questo mondo, che arrivavano dalla Francia, dall’Inghilterra, dal Giappone,dal Canada, dalla Germania e che sistematicamente venivano gestite dalla corruzione sistematica su larga scala. Non stiamo parlando di 50.000 dollari, o di 100.000, o di un milione. No, qui parliamo di 10, 20 milioni di dollari su conti correnti in banche svizzere, o in Liechtenstein, dei ministri del Governo o delle alte cariche del settore para-statale.
Questo è quel che ho visto, e non si trattava di un solo progetto come quello. Ne ho visti, direi, durante la mia permanenza in Africa, a centinaia. E perciò, mi sono convinto che la corruzione sistematica che sta promuovendo politiche perverse in questi paesi, stia alla base della miseria, della povertà, dei conflitti, della violenza, della disperazione in molti di quei paesi. Noi oggi abbiamo più di un miliardo di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, più di un miliardo di persone che non hanno accesso all’acqua potabile nel mondo, e il doppio, cioè più di due miliardi di persone, che non hanno accesso ai servizi sanitari, con tutte le malattie che ne conseguono. E la causa principale, in gran parte, è la grande corruzione.
Allora, perché la Banca Mondiale non mi lascia fare il mio lavoro? In seguito, ho scoperto, dopo essere andato via dalla Banca Mondiale, dopo una lite furiosa, che la ragione era che i membri della Banca Mondiale erano convinti che la corruzione straniera andasse bene, Germania compresa. In Germania, la corruzione straniera era concessa. Era anche deducibile dalle tasse. Non stupisce che la maggior parte degli operatori internazionali in Germania, ma anche in Francia e in Inghilterra e in Scandinavia, pagassero tangenti in maniera sistematica. Non tutti, ma la maggior parte.E questo è un fenomeno che io definisco “governance debole”. Perché dopo essere arrivato in Germania e aver avviato una piccola ONG a Berlino, a Villa Borsig, mi era stato detto che non sarei stato in grado di impedire che gli esportatori tedeschi abbandonassero la corruzione, perché avremmo perso lavoro. Ne avrebbero approfittato i francesi, ne avrebbero guadagnato gli svedesi, i giapponesi, e perciò, eravamo davanti al dilemma del prigioniero,che rendeva difficile per una ditta individuale o un singolo paese esportatore dire no, noi non continueremo questa pratica mortale, disastrosa, delle tangenti.
Quando parlo di struttura della governance debole intendo questo: anche il governo relativamente potente,che abbiamo in Germania non era stato in grado di dire:”non permetteremo alle nostre aziende di agire illegalmente all’estero”. Avevano bisogno di aiuto, e le stesse grandi compagnie avevano quel dilemma. Molte di loro non volevano piegarsi alla corruzione. Molte aziende tedesche, per esempio, credono realmente di produrre beni di alta qualità a prezzi buoni, perciò sono molto competitive. Non sono brave a corrompere come molti concorrenti internazionali, ma non erano autorizzate a mostrare la loro forza, perché il mondo veniva inghiottito dalla corruzione su larga scala.
Ed è per questo che oggi vi dico che la società civile è stata all’altezza della situazione. Avevamo una piccola ONG,Transparency International. Abbiamo iniziato a pensare ad una via di scampo per evitare il dilemma del prigioniero, e abbiamo sviluppato concetti di azione collettiva; in pratica, abbiamo tentato di mettere assieme la concorrenza attorno a un tavolo, spiegando quanto sarebbe stato nel loro interesse se smettessero simultaneamente di agire illegalmente, e per farla breve, alla fine siamo riusciti a convincere la Germania a firmare un protocollo assieme agli altri paesi OCSE e ad alcuni esportatori.
Nel 1997, stipulammo una convenzione sotto l’egida dell’OCSE, che obbligava tutti a modificare le loro normative e condannare la corruzione estera.
E’ interessante, per farlo, ci siamo dovuti sedere tutti allo stesso tavolo. Ci siamo incontrati a Berlino, all’Aspen Institute, sul Wannsee. Abbiamo incontrato circa 20capitani d’industria, e abbiamo discusso con loro su come affrontare la corruzione internazionale. Durante la prima sessione, ci siamo incontrati tre volte nell’arco di 2 anni. E una presidente della von Weizsäcker, tra l’altro, ha moderato una delle sessioni, la prima, per rassicurare gli imprenditori, che non erano abituati ad avere a che fare con le ONG. E durante la prima sessione, tutti dicevano Corruzione? Non è quello che facciamo noi. Le cose funzionano così là. E’ quello che queste altre culture si aspettano da noi. Ne sono addirittura entusiasti. In realtà, lo dicono ancora oggi. Ci sono ancora molte persone che non siano sicure di chi debba mettere fine alla corruzione. Ma durante la seconda sessione, hanno ammesso che non farebbero mai ciò che fanno negli altri paesi in Germania, o in Inghilterra. Anche i ministri lo hanno ammesso. E durante la sessione finale, all’Aspen Institute, abbiamo fatto firmare loro una lettera aperta al governo Kohl di allora chiedendo di aderire alla convenzione OCSE.
E questo, secondo me, è un esempio di “soft power”, di forza non violenta, perché siamo riusciti a convincerli che dovevano unirsi a noi. Avevamo una prospettiva a lungo termine in mente. Avevamo un’area geografica molto più ampia, una rappresentanza più ampia da difendere. Ed ecco perché la legge è cambiata. Ecco perché la Siemens ha passato i guai che conosciamo. In alcuni paesi, la convenzione OCSE non è applicata in maniera appropriata. E, ancora una volta, è la società civile a far sentire il fiato sul collo ai governi.
Credo che ciò che abbiamo ottenuto nella lotta alla corruzione possa essere raggiunto anche in altre aree di governance debole.Adesso, l’ONU è dalla nostra parte. La Banca Mondiale si è convertita sotto la direzione Wolfensohn, diventando, a mio avviso, l’agenzia principale al mondo nella lotta contro la corruzione. La maggior parte delle grandi aziende sono convinte di dover mettere in pratica delle politiche molto forti contro la corruzione. E ciò è possibile perché la società civile ha appoggiato le aziende e i governi nell’analisi del problema, nello sviluppo di soluzioni, nell’applicazione delle riforme, e poi, nel monitoraggio delle riforme.
Quel che posso dire per esperienza è che se la società civile si rimbocca le maniche e si unisce agli altri attori, in particolare, i governi, le istituzioni internazionali e gli attori internazionali, in particolare, quelli impegnati nella creazione di una responsabilità sociale corporativa,i n questo triangolo magico, tra società civile, governo e settore privato, si nasconde un’opportunità incredibile per tutti noi, di creare un mondo migliore.
Translated by Tonito Solinas
Reviewed by Paola Natalucci