Una sentenza storica e ottime notizie per il clima: con una maggioranza di 16 voti contro 1, la Corte europea dei diritti dell’uomo (EDU), con sede a Strasburgo, ha ufficialmente connesso la crisi climatica alla tutela dei diritti umani.
La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo segna un punto fondamentale per la climate litigation (contenzioso climatico) in Europa. Si apre una nuova fase che presto potrebbe coinvolgere anche l’Italia, dove tutte le norme interne devono rispettare i diritti e i principi garantiti dalla Corte EDU e dove la Corte costituzionale è tenuta a pronunciarsi sul rispetto dei predetti principi, la cui violazione è incostituzionale. È auspicabile, quindi, che l’orientamento della Corte EDU possa fornire un nuovo stimolo perché l’Italia al più presto conformi piani e misure alle ragioni della transizione ecologica, per esempio il Piano Nazionale Integrato Energia Clima attualmente in fase di revisione (entro giugno). Inoltre, la sentenza costituisce un ulteriore incentivo per l’adozione di una legge sul clima che definisca, tra l’altro, gli obiettivi climatici e le percentuali vincolanti di riduzioni delle emissioni di gas effetto serra, nonché i budget di carbonio settoriali derivanti dagli obiettivi di riduzione delle emissioni: le associazioni ambientaliste, WWF in testa, la chiedono da tempo e hanno anche avanzato proposte concrete, raccolte dall’Intergruppo dei Parlamentari per il Clima. Proprio in questi giorni è cominciato l’iter al Senato.
Nel merito, nel caso “Anziane per il clima” (Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others v. Switzerland, Application no. 53600/20), la Corte EDU ha condannato la Svizzera per aver violato l’art. 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e l’art. 6 (Diritto a un equo processo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Corte EDU ha interpretato l’art. 8 CEDU chiarendo che ricomprende il diritto a una protezione effettiva da parte degli Stati contro i gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla vita, la salute, il benessere e la qualità della vita. Per questo, la Corte ha rilevato che la Confederazione Svizzera non ha adempiuto ai suoi doveri (“positive obligations”) ai sensi della CEDU, facendo leva sull’incapacità delle autorità svizzere di quantificare i limiti delle emissioni nazionali di gas a effetto serra, non raggiungendo neanche gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati in passato. Di conseguenza, pur riconoscendo che le autorità nazionali godono di un ampio potere discrezionale in relazione all’adozione di leggi e misure, la Corte ha ritenuto che le autorità svizzere non abbiano agito in tempo e in modo appropriato per concepire, sviluppare e attuare le leggi e le misure opportune nel caso di specie. Elemento, questo, che viola i diritti umani.
La Confederazione Svizzera, inoltre, è stata condannata anche per violazione dell’art. 6 CEDU, non avendo i tribunali svizzeri fornito ragioni convincenti in relazione al mancato esame nel merito del ricorso dell’associazione, né preso in considerazione le convincenti prove scientifiche relative al cambiamento climatico.