di Saverio Pipitone – Appena sotto il livello del mare, sospinte dalla corrente, migliaia di meduse blu fluorescenti stiparono e ostruirono i tubi di aspirazione dell’acqua per il raffreddamento della centrale nucleare.
Mentre i tecnici le rimuovevano, la più piccolina dello sciame, Aurelia, venne risucchiata nel reattore. Si spinse allora in avanti fino alle barre di combustibile: zirconate e verticalmente allineate, contengono l’uranio che è un pesante, tossico e instabile atomo naturale. Colpito dal neutrone, l’uranio scinde il proprio nucleo in atomi leggeri ed emette una raffica di ulteriori neutroni, a sua volta assorbiti da altri nuclei, con un bombardamento radioattivo e fissile che, senza sfuggire dal sistema e superando la massa critica, innesca una reazione a catena autosostenuta. Da siffatta frammentazione nucleare, nel nocciolo refrigerato alla temperatura di funzionamento, il calore trasforma l’acqua circolante in vapore che aziona le turbine generando energia elettrica.
Aurelia poi si spostò verso l’ingranaggio di controllo: cilindri saliscendi, infilati nel processo di fissione e fatti di materiali chimici assorbenti, altrimenti l’uso dell’acqua pesante o normale con funzioni di moderatore, per decelerare quei neutroni che, moltiplicandosi, schizzano veloci come proiettili, e se incontrollati, è un istante, boom!, l’esplosione atomica.
Per Kandinskij, la scoperta della scissione dell’atomo nel 1896, fu «come la disintegrazione del mondo. D’improvviso i muri più massicci crollarono. Tutto divenne incerto, malsicuro, mutevole. Non mi sarei meravigliato se una pietra si fosse fusa in aria dinanzi a me e fosse divenuta invisibile. La scienza mi sembrava annientata».
Sulla Terra esistono 447 centrali elettronucleari attive: 94 Stati Uniti, 106 Unione Europea (metà in Francia), 53 Cina, 38 Russia, 33 Giappone, 24 Sud Corea, 22 India, 19 Canada, 15 Regno Unito, 15 Ucraina (quella di Zaporizhzhia è la principale d’Europa) e le restanti 28 dislocate in Pakistan, Svizzera, Argentina, Messico, Brasile, Sud Africa, Emirati Arabi Uniti, Armenia, Bielorussia e Iran. Forniscono oltre il 10% dell’energia elettrica globale e le proiezioni settoriali stimano almeno un raddoppio entro il 2050 tra impianti attuali con estensione temporale dell’operatività, in costruzione (una cinquantina) e prototipi mini eventualmente posizionabili nei distretti industriali o nelle comunità locali. Il ciclo di vita di un reattore di grandi dimensioni varia dai 40 ai 60-80 anni e per l’intera durata occorrono in media 2.000 tonnellate di uranio arricchito, cioè centrifugato in laboratorio e pari a 16.000 tonnellate di quello estratto dalle miniere, che sono ad alta densità inquinante. L’uranio è una risorsa esauribile e contesa: il 90% è in 10 Paesi quali Australia, Kazakhstan, Canada, Namibia, Sud Africa, Niger, Russia, Brasile, Cina e Ucraina. I maggiori consumatori, al 60%, sono Europa e Nord America (dati IAEA – BGR – Nuclear Free).
Da quando è cominciata la produzione nucleare civile nel 1956, per cause tecniche o errori degli operatori e pure per calamità naturali, sono accaduti innumerevoli guasti nelle centrali, con fuga di radiazioni o liquidi, ma di moderata entità. Alcuni incidenti sono stati invece gravi, per esempio nella britannica Sellafield (1957), nell’elvetica Lucens (1969), nell’americana Three Mile Island (1979), nella sovietica Chernobyl (1986), nella francese Forbach (1992), nell’ungherese Paks (2003) e nella nipponica Fukushima (2011), con spargimento in certi casi di estesa radioattività distruttiva nell’ambiente per effetto della completa o parziale fusione del nocciolo: «che fastidiosi termini allarmistici – minimizza Mr Burns – noi preferiamo chiamarla una spontanea fissione sovrabbondante».
Sia dagli incidenti che negli scarichi di routine, le centrali rilasciano nell’atmosfera decine di sostanze radioattive, erranti e perduranti, che anche a basse dosi contaminano le popolazioni limitrofe. Degli studi epidemiologici mostrano che, a distanze dai 5 ai 30 chilometri, cresce il rischio di contrarre diversi tipi di tumore, dalla vescica all’esofago, negli adulti, e la leucemia in età infantile; nei denti dei bambini sono stati riscontrati elevati livelli del nocivo stronzio (atomo del processo fissile) che tende a sostituirsi al calcio delle ossa (studi 1–2–3–4–5–6). A Fukushima dei ventenni, che all’epoca del disastro erano adolescenti, sono adesso ammalati di cancro alla tiroide per colpa delle radiazioni e hanno intentato un’azione collettiva. Dall’aula del tribunale, una di loro testimonia: «Ho dovuto rinunciare a tutto. Voglio ritrovare il mio corpo sano, ma è impossibile, non importa quanto lo desideri».
Rispunta la piccola Aurelia. È sfociata nella piscina di soppressione: lì sono immagazzinate le barre di combustibile esausto per gestirne la forte e durevole radioattività residua. Inoltre, da queste scorie, con processi di purificazione e riciclo, viene estrapolato il plutonio, pericolosissimo elemento artificiale per ordigni nucleari: 1 grammo intossica un’area di 500 metri quadri; 6 kilogrammi annientano 80.000 persone (Nagasaki 9/8/1945). Nel mondo ci sono circa 13.000 armi atomiche, il 90% possedute da Russia e Stati Uniti, seguiti da Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Israele e Nord Corea (dati Arms Control).
Aurelia aspira e palpita, blup blup, balza fuori dalla centrale. Facendo ritorno alla colonia nel fondale marino urtò nella finestrella del casco del palombaro conservazionista William Beebe: «prima di riprendere l’equilibrio si lasciò cogliere dalla mia mano: la tenni delicatamente sospesa. Percepii, profondamente, il senso della permanenza dell’evanescente, rappresentato da questo mezzo per cento di vita, che riempiva l’oceano di miriadi di sé. Ed ero certo che il primo giornale che avrei aperto al ritorno mi si sarebbe rivelato come un impuro vivaio di preoccupazioni, paure, pericoli, premonizioni e crucci. Nessuno di noi desidera essere una medusa senza spina dorsale; ma io ero là, affascinato dal miracolo della loro forma e del loro movimento, anelando, per me e per i miei simili, un po’ della pace e della sicurezza della loro esistenza».
L’AUTORE
Saverio Pipitone – Giornalista pubblicista e redattore economico-finanziario. Autore di articoli di varie tematiche, dalla critica economico sociale alla storia, dall’ecologia al consumismo. Oltre a Pesticidi a tavola, ha scritto i libri Shock Shopping La malattia che ci consuma (Arianna Editrice) e Forno a Microonde? No Grazie (Macro Edizioni). Blog: saveriopipitone.blogspot.com