di Isha Datar – A Singapore, si mangiano crocchette di pollo fatte con polli che non sono mai stati uccisi. Com’è possibile? Grazie alla cosiddetta “agricoltura cellulare”.
Da dieci anni, sono una sostenitrice della carne coltivata in laboratorio. Per me, i prodotti a partire da cellule anziché da animali (crocchette di pollo, hamburger, salsicce) non sono solo prodotti da fast food, ma il nostro biglietto per un nuovo sistema alimentare.
Ecco come funziona: invece di allevare un intero pollo senziente, con becco e piume, coltiviamo la carne direttamente a partire dalle cellule muscolari. Facciamo una piccola biopsia su un animale vivo e poi estraiamo le cellule che ci interessano, probabilmente cellule muscolari, ma anche grasso o tessuto connettivo.
Ora, le cellule muscolari amano attaccarsi alle superfici. Le aiuta a svilupparsi e a estendersi nelle lunghe fibre muscolari che tutti noi conosciamo. Possiamo quindi costruire un’impalcatura su cui le cellule possano aderire. Poi, ovviamente, dobbiamo nutrire le cellule. Così, le immergiamo in un liquido che contiene tutti i nutrienti necessari a queste cellule per crescere e dividersi: carboidrati, amminoacidi, fattori di crescita e molto altro. Infine, le cellule sull’impalcatura immerse nel liquido crescono all’interno di un bioreattore, una sorta di grande serbatoio in acciaio inox che somiglia, anche in dimensioni, a un impianto per la produzione di birra. Il bioreattore mantiene costante l’ambiente che serve alle cellule per prosperare. Stabilizza la temperatura, la pressione, l’afflusso, il deflusso, eccetera. Dopo che le cellule hanno avuto la possibilità di proliferare, di differenziarsi e di maturare in fibre muscolari, possiamo raccogliere le cellule e i tessuti e trasformarli in una crocchetta, una crocchetta che sin dall’inizio era priva di ossa e di pelle e fatta interamente di carne bianca.
Ora, questo non sarebbe meglio solo per i polli, le mucche e i maiali e per le persone che li allevano, macellano e trattano la loro carne, ma anche per il mondo intero. Pensateci. Le prime stime del potenziale della carne coltivata indicano che la carne coltivata richiederebbe il 99% di suolo in meno, il 96% di acqua in meno e produrrebbe il 96% in meno di emissioni di gas serra. Queste sono ancora prime stime ipotetiche, ma pensate a quanto potenziale ha questa tecnologia. Se funziona, avremo una nuova strategia di sostentamento, nuovi strumenti per produrre cibo. Non sarebbe solo una nuova categoria di prodotto. Penso sia un’occasione unica nella vita avere una seconda opportunità di agricoltura, fare le cose meglio e imparare dai nostri errori.
Cosa intendo per “errori”? È vero, questo sistema alimentare mantiene in vita miliardi di persone. Ma guardate cosa è successo ai polli in soli 50 anni. Semplicemente scegliendo quali due polli fare accoppiare, i polli sono passati da un uccello del 1957, a un pollo broiler (2005).
I broiler sono stati talmente ottimizzati per la produzione di carne che devono essere macellati dalle 6 alle 8 settimane, perché se vivono oltre questo periodo, le loro zampe non saranno in grado di sostenere il corpo. Una vera sofferenza.
E gli allevamenti? Oggi, gli animali sono così ammassati che il rischio di resistenza agli antibiotici e di virus epidemici è ai massimi storici. Sapevate che il 2018 ha marcato l’inizio della più grande pandemia tra gli animali da allevamento? Si stima che la febbre suina africana abbia già ucciso un maiale su quattro. Un maiale su quattro, ossia centinaia di milioni di maiali destinati alla nostra alimentazione andati persi. L’agricoltura animale è semplicemente troppo grande per non fallire.
E il cambiamento del clima? Sapevate che il nostro gregge mondiale di animali da allevamento è una delle maggiori cause e al contempo vittime del cambiamento climatico? Da una parte, le mucche da sole producono il 9% delle emissioni totali di gas serra. Dall’altra parte, il caos climatico sta vedendo sempre più casi di migliaia, a volte decine di migliaia, di animali che da un giorno all’altro muoiono in tempeste, inondazioni e incendi. L’agricoltura sarà sempre alla mercé di Madre Natura, ma il cambiamento climatico sta già riscrivendo le regole dell’agricoltura. Serve un’alternativa.
Infine, c’è il nostro pianeta, che destiniamo al nutrimento di mucche, maiali e polli più di quanto non facciamo per tutto il resto. Un terzo del pianeta, circa il 27%, grosso modo equivalente a tutto il Nord e il Sud America messi insieme, viene destinato all’allevamento del bestiame. Ora, tutto questo potrebbe cambiare con l’agricoltura cellulare. Ricordate quando ho detto che servirebbe il 99% di suolo in meno per produrre carne coltivata rispetto a quella bovina? Pensateci: l’allevamento non si può verticalizzare, ma l’agricoltura cellulare sì. Se potessimo ridurre il suolo impiegato della metà, o anche solo di un quarto, e soddisfare la richiesta mondiale di proteine, immaginate cosa potremmo fare con il resto. Improvvisamente, diventa possibile scegliere di fare cose come ripristinare la foresta amazzonica, che disboschiamo per il bestiame, o ripristinare ecosistemi colonizzati da mucche, mais e soia. O restituire le terre rubate ai popoli indigeni, che potranno finalmente reclamare la tradizione culinaria dei propri antenati.
Le Nazioni Unite dicono che dovremo ripristinare la natura su un terreno grande quanto la Cina, se vogliamo raggiungere la resilienza climatica. L’agricoltura cellulare offre questa possibilità. Non solo possiamo liberare il suolo per il ripristino, ma anche ricreare i prodotti che conosciamo e amiamo con pochissime emissioni. Coltivando le cellule, possiamo immaginare proattivamente l’agricoltura per un mondo in cui il clima è cambiato.
E non parliamo solo di carne. Progettando la biologia, in teoria, possiamo coltivare qualsiasi cosa che derivi da piante o animali a partire dalle cellule. La vaniglia non deve essere coltivata nella foresta pluviale. Gli albumi possono essere prodotti senza il tuorlo. Il foie gras può essere ottenuto senza maltrattare le oche. Il cuoio e la seta non devono essere ricavati dal dorso di un animale né dalla casa del baco da seta. Consumiamo già prodotti dell’agricoltura cellulare ogni giorno, ma solo in piccolissime quantità. Diverse vitamine, aromi ed enzimi sono già prodotti in laboratorio. Ad esempio, il caglio, che è l’insieme degli enzimi usati per trasformare il latte in cagliata e siero per la produzione di formaggi, veniva ricavato dal rivestimento dell’abomaso dei vitelli. Nel 1990, una versione sintetica è stata immessa sul mercato, una versione dell’enzima chiave, la chimosina. E oggi, solo una trentina di anni più tardi, il 90% del caglio usato per produrre formaggi proviene dai bioreattori anziché dai vitelli.
Immaginate cosa potrebbe succedere se da questi piccoli volumi di prodotti pregiati, come il caglio, ci espandessimo a prodotti come il latte. E sta per iniziare. Oggi, potete comprare il gelato, un vero gelato al latte, prodotto a partire dalla coltura delle cellule. È latte vaccino non prodotto da una mucca, ma da un computer. Il gene della proteina del siero è stato cercato in un database open source, stampato e inserito nel DNA di un organismo chiamato “trichoderma”. Come nella produzione di birra, dove il lievito viene nutrito con lo zucchero per far fermentare l’alcool in un fermentatore, questo trichoderma modificato viene nutrito con lo zucchero per ottenere le proteine del siero del latte, che possiamo mettere nello yogurt, nel formaggio spalmabile e nel gelato.
Devo ammettere che, forse, questa è la parte facile, relativamente parlando. Modifichiamo microrganismi per produrre proteine ormai da decenni. L’ingegneria tissutale, necessaria per la produzione di carne, è una scienza molto più recente. Le cellule animali sono molto più esigenti rispetto ai microrganismi. Inoltre, coltivare molte cellule animali e raggiungere la tridimensionalità non è un’impresa facile. Ma ci stiamo arrivando.
Nel 2013, produrre un hamburger costava 250.000 euro. Oggi, ho visto stime sul prezzo della carne coltivata arrivare anche solo a 50 dollari al chilo. È un ventisettemillesimo di quanto costava meno di dieci anni fa. E vedo il prezzo della carne coltivata scendere e quello della carne animale salire.
Siamo ancora agli albori della fase di ricerca e sviluppo. Man mano che la scienza progredirà e riutilizzeremo il terreno di coltura, ridurremo il costo dei fattori di crescita e raggiungeremo una maggiore densità cellulare in vitro, la curva continuerà a scendere. Nel frattempo, il prezzo della carne animale è già artificiosamente basso a causa di grandi sovvenzioni, non riflette il costo né per la salute pubblica né per l’ambiente e, in un mondo cambiato da COVID, febbre suina africana e cambiamento climatico, il prezzo della carne animale può solo salire. Penso che la parità di prezzo sarebbe facilmente raggiungibile, se il campo di gioco fosse alla pari. Da una parte, abbiamo l’agricoltura animale, fortemente supportata dai finanziamenti pubblici e dal governo. Dall’altra, abbiamo una tecnologia promettente, che necessita di approfondita ricerca e sviluppo, nonché di molte infrastrutture e supporto formativo, ma che è lasciata interamente nelle mani del settore privato e delle forze di mercato.
Non penso che nessuna delle cose belle che ho appena descritto, come la rinaturalizzazione dell’Amazzonia, potrà accadere, se lasceremo questa tecnologia unicamente nelle mani delle forze tecnologiche e di mercato. C’è una reale possibilità che l’agricoltura cellulare non funzionerà. E non sarà a causa della scienza, bensì perché non avremo pensato a come dovrebbe essere la titolarità o la protezione della proprietà intellettuale o l’amministrazione o la politica, il lato economico delle imprese orientate alla missione. E dovremo essere molto attenti e consapevoli di ciò di cui questa tecnologia ha bisogno per massimizzare l’impatto positivo che avrà sul mondo.
I prodotti animali sono fantastici e sarebbe difficile trovare proteine nel mondo vegetale che possano fare ciò che fanno le proteine animali: formaggi lunghi ed elastici, crema pasticcera, soffici meringhe, i sapori ricchi di umami (uno dei 5 gusti giapponesi) che si possono trovare nella carne e nei frutti di mare. Ma nonostante le proteine animali siano formidabili, non hanno più bisogno di essere derivate dagli animali.
Abbiamo tanta strada da fare per comprendere il potenziale di questa tecnologia e ci vorrà ingegno sia dentro che fuori dal laboratorio. Ma pensate a cosa possiamo avere in cambio. Abbiamo la possibilità di dare inizio a una trasformazione per l’umanità grande tanto quanto il passaggio dalla caccia all’agricoltura avvenuto circa 12.000 anni fa. Questa potrebbe essere una nuova era di abbondanza in tanti modi diversi.
Personalmente, mi entusiasmano i prodotti alimentari che oggi non riesco ancora a immaginare, perché questo è davvero un nuovo strumento anche per la creatività culinaria. Non vediamo una cosa così da quando i nostri antenati hanno scoperto la fermentazione. Non avremmo mai potuto guardare un bicchiere di latte prima di fermentare i cibi e desiderare che fosse duro, puzzolente e ammuffito. Non avremmo mai potuto immaginare il formaggio o le centinaia di varietà di formaggi che abbiamo oggi. Allo stesso modo, la carne dipende ancora dal corpo degli animali. La descriviamo ancora in termini di tagli di carne. Ma se coltiviamo la carne a partire dalle cellule, i limiti di ciò che può essere la carne cambieranno totalmente. La carne potrebbe essere sottile e traslucida. Potrebbe essere liquida. Potrebbe essere croccante, potrebbe essere spumeggiante. Gli hamburger sono la base, le salsicce sono solo un punto di partenza e le crocchette sono solo una piccola parte di ciò che è possibile fare con l’agricoltura cellulare.
Sogniamo un futuro dell’alimentazione più grande e più audace!
TEDx Translated by Maria Rosa Londino – Reviewed by Silvia Monti