di Roberto Vacca – “Il tempo è quel che succede quando non succede nient’altro.” Scriveva Richard Feynman nel suo libro di fisica del 1975. Poi aggiungeva: “Non sappiamo definire il tempo, ma sappiamo che è “quanto aspettiamo”. È più importante capire come lo misuriamo.”
Un fisico inglese, Julian Barbour, autore di “La fine del tempo”, Einaudi 1999) ha scritto invece: “La maggioranza della gente, inclusi parecchi scienziati trova difficile liberarsi dall’intuizione che il tempo sia reale e fluisca, sebbene questa possa ben essere un’illusione.”
Le argomentazioni a favore di questa tesi sono simili a quelle di J.E. McTaggart e Bradford Skow, mirate a dimostrare l’inesistenza del tempo. Sono ancora scettico su questi punti di vista. Ecco le mie ragioni.
Barbour, nella sua negazione della realtà del tempo, trasgredisce le regole della logica. Accetta l’asserzione che i cambiamenti di oggetti, fenomeni e situazioni testimoniano [o sono] il passaggio del tempo. Però dice: “Non ha senso dire che una persona umana o un animale esista continuatamente nel tempo. L’insieme ribollente delle molecole di cui siamo fatti, si riarrangia senza posa a velocità incomprensibili”. Il nostro cervello registra informazioni sul passato recente. Esse, però, non sono il risultato di una catena di cause che le connette a eventi precedenti. Va messo in discussione lo stesso concetto istintivo di catena causa-effetto per cui eventi passati causano quello che accade ora.
Dunque nega realtà e passaggio del tempo, persistenza di enti osservati e processi causali. Insieme afferma (gratuitamente) di saper apprezzare la velocità [variazione nel tempo] alla quale cambiano le persone. Perciò accetta osservazioni, misure, princìpi, metodi, teorie su cause ed effetti che la fisica ha raccolto e prodotto negli ultimi secoli.
Infine Barbour accetta anche l’esistenza di una freccia irreversibile del tempo che spiega i fenomeni di cambiamento e di evoluzione da certe condizioni iniziali, che osserviamo ovunque nell’universo.
Osserva che la fisica ha individuato due grandi tendenze di cambiamento nel tempo. Al secondo principio della termodinamica consegue che a livello macroscopico e in assenza di adeguate fonti di energia il disordine [misurato dall’entropia] cresce. La cosmologia insegna che l’universo (originariamente in uno stato notevolmente uniforme) si è evoluto con la formazione di strutture complesse e ordinate (sistemi di stelle e pianeti, galassie, buchi neri)i.
Ne conclude che è imminente una nuova rivoluzione scientifica. Accettare il concetto di tempo avrebbe ostacolato la scienza. Abbandonarlo avrebbe l’effetto di dare alle leggi della fisica forme radicalmente nuove più potenti e fruttuose. Non considereremmo il concetto di “divenire”, ma solo quello di “essere”. La creazione sarebbe ugualmente inerente in ogni istante.
Le leggi della nostra fisica, però, legano il tempo a variabili geometriche, gravitazionali, nucleari – funzionano e permettono di fare previsioni dopo aver osservato e misurato certe condizioni iniziali. Non ha senso negare quelle leggi e asserire che le nostre esperienze sarebbero coerenti e compatibili con un universo senza tempo.
Sorge il dubbio che Barbour non conosca Karl Popper. Secondo lo scienziato, le teorie scientifiche sul mondo non si possono verificare, cioè dimostrare vere. In certi casi possiamo falsificarle, cioè dimostrare che sono false, perché sono in disaccordo coi fatti o conducono a previsioni errate. Conserviamo, quindi, come plausibili le teorie non falsificate e cerchiamo di sostituire quelle falsificate con teorie nuove. Le teorie buone e utili sono (eventualmente) falsificabili. Invece una teoria considerata vera anche dopo che abbiamo osservato fatti nuovi che la contrastano, è inutile. Popper la chiama “teoria vaccinata” cioè inattaccabile e, quindi, priva di interesse – non adatta a produrre conoscenza.