di K. Insight – Il fondatore di Microsoft, Bill Gates, ha parlato di un imminente collasso lavorativo, lanciando una possibile soluzione: una tassa sui robot.
Poiché i lavoratori di molti settori sono sostituiti da macchine, il governo sta perdendo enormi quantità di entrate fiscali. Oggi la tassazione per le aziende con zero dipendenti è uguale a quelle con dipendenti. Tassare le aziende che impiegano robot, secondo Gates, potrebbe aiutare a rallentare il ritmo dell’automazione e le entrate potrebbero essere utilizzate per riqualificare i dipendenti.
Fin qui tutte parole. Ma c’è qualcuno che ha voluto spingersi più in là.
Sergio Rebelo, un professore di finanza presso la Kellogg School, ha avuto seri dubbi quando ha ascoltato l’argomentazione di Gates. Per decenni, gli economisti hanno saputo che tassare i cosiddetti “beni intermedi”, cioè beni usati per fabbricare altri beni, come i mattoni usati per costruire una casa, o i robot usati per fabbricare automobili, rend più difficile per i fornitori creare e vendere i loro prodotti.
“Quando lo fai, riduci il livello di produzione nell’economia”, dice Rebelo.
Così Rebelo ha messo su un team di ricerca, pensando che lo studio avrebbe confermato ciò che l’economia classica suggeriva da sempre: che una tassa sui robot creava più problemi di quanti ne risolvesse.
“Forse non ci sarà nemmeno bisogno di redigere un documento”, diceva Rebelo.
Quindi è stata piuttosto una sorpresa quando hanno scoperto che aveva torto: una tassa sui robot potrebbe effettivamente essere parte di un programma politico. Un programma che potrebbe livellare le disuguaglianze di reddito e migliorare l’economia nel suo complesso.
In effetti, lo studio suggerisce che, se i robot continuano a sostituire le persone senza alcun intervento politico, il numero dei disoccupati potrebbe aumentare fino ad un livello critico.
Si potrebbe pensare che questo possa interrompere il progresso tecnologico, ma in effetti è proprio il contrario. Se il numero di disoccupati aumentasse troppo non ci sarebbe più bisogno di produrre, poiché nessuno comprerebbe più. É proprio in questo modo che non ci sarebbero più gli stimoli e gli interessi per un progresso tecnologico. Mancherebbero le spinte economiche necessarie per ogni tipo di investimento.
Gli autori volevano prima capire come l’economia continuerà ad evolversi con l’attuale percorso.
Immaginavano un’economia in cui metà della forza lavoro era impegnata in un lavoro “di routine”, cioè qualsiasi lavoro consistente in attività programmabili che possono essere automatizzate (come i lavoratori su una catena di montaggio o in un call center), e l’altra metà della forza lavoro svolgesse attività non di routine, cioè che non possono essere automatizzate (come i vigili del fuoco o gli scienziati).
I ricercatori hanno usato questo modello per vedere come i redditi dei due gruppi sarebbero cambiati man mano che le macchine aumentavano.
Il risultato? “È uno scenario molto, molto difficile per i lavoratori di routine”, dice Rebelo. Molte persone presumono che alla fine le macchine prenderanno il sopravvento su tutto il lavoro di routine nell’economia.
Ma non è così: il team ha scoperto che i lavoratori di routine continueranno probabilmente a lavorare in condizioni sempre peggiori pur di avere un reddito.
“Se fossi un lavoratore di routine, dovrei sempre mettere del cibo sul tavolo per la mia famiglia”, spiega Rebelo. Quindi nel tempo, man mano che le macchine diventano più economiche ed efficienti, i lavoratori di routine non avranno altra scelta che accettare salari sempre più bassi per poter competere con i robot.
Nel frattempo, l’altra metà dei lavoratori prospererà.
Coloro che non possono essere sostituiti dai robot sono in grado di utilizzare le macchine a loro vantaggio, consentendo loro di lavorare in modo più efficiente, il che aumenta le loro entrate. Ad esempio, un medico che utilizza un robot per completare gli interventi chirurgici può trattare più pazienti in un giorno rispetto a un medico senza robot.
Quindi, il divario tra ricchi e poveri diventerebbe sempre più ampio. Tuttavia, il modello rivela anche che con il sistema attuale i robot non sostituiranno mai interamente il lavoro umano di routine. Alla fine, le macchine raggiungeranno un punto in cui non possono essere più economiche, e gli stipendi per i lavoratori di routine scenderanno allo stesso livello.
Questo scenario è problematico per chiunque, dal momento che l’economia generale sta diminuendo per tutti.
Ma come potrebbe funzionare una tassa sui robot?
L’idea che tassare i beni intermedi sia da evitare viene da un documento del 1971 dei premi Nobel Peter Diamond e James Mirrlees. Il duo concluse che una simile tassa poteva rendere l’economia meno efficiente. Rebelo e i coautori si aspettavano che, dal punto di vista della massimizzazione del benessere generale dell’economia, una tassa sui robot sarebbe stata negativa.
“Ma abbiamo scoperto che in alcune circostanze, in realtà è ottimale tassare i robot”, afferma Rebelo. Poiché i robot possono essere sostituiti dai lavoratori di routine, quindi tutto ciò che rende i robot più costosi, aumenterà anche i salari dei lavoratori di routine. Una tassa sui robot offre un modo indiretto per distribuire più equamente il reddito nell’economia.
Un caso già c’è. La Corea del Sud, ha recentemente introdotto sanzioni fiscali per le aziende che automatizzano i posti di lavoro. É finora l’unico paese ad aver implementato una simile tassa.
Indubbiamente ci troviamo di fronte ad un bivio storico, in cui l’umanità dovrà compiere scelte che influenzeranno gli anni a venire e le vite di milioni di persone.