Negli ultimi anni si è diffusa una tendenza alquanto particolare nel turismo e nella ristorazione, i cosiddetti “child-free”, riservati solo agli adulti. Hotel, resort e, in alcuni casi all’estero, anche ristoranti che promuovono ambienti senza bambini, presentati come più silenziosi, più rilassanti più confortevoli “esclusivi” insomma. Una scelta che però sta aprendo un fronte politico e culturale, soprattutto in Francia, come dove il dibattito si è acceso fino a toccare le istituzioni.
Secondo Vincent Lagarde, professore associato di imprenditorialità e business all’Università di Limoges, che ha studiato il modello dei resort child-free, il primo motivo per cui i clienti li scelgono non è l’ostilità verso i bambini ma la necessità di maggiore relax. Circa un terzo dei vacanzieri sono genitori esausti che vogliono una pausa dalla famiglia, o insegnanti e professionisti che lavorano a contatto con i minori e cercano un momento di stacco (non quindi coppie senza figli, come istintivamente verrebbe da pensare). Un secondo motivo è la volontà di vivere esperienze di coppia o in gruppo; già un sondaggio del 2014 mostrava che il 56% dei genitori francesi aveva fatto almeno una vacanza senza figli, soprattutto per brevi soggiorni romantici. Infine, Lagarde segnala l’effetto “percezione di lusso”, ovvero l’assenza di bambini diventa un valore aggiunto che consente alle strutture di applicare prezzi più alti e posizionarsi in un segmento premium.
In Francia il fenomeno rimane minoritario, si stima che gli hotel e resort child-free rappresentino solo il 3-5% del settore turistico nazionale, molto meno rispetto alla Spagna, che guida invece il mercato europeo. La Spagna è diventata il riferimento in questo segmento perché ha saputo intercettare la domanda dei turisti del Nord Europa, in particolare britannici e tedeschi, già dagli anni Novanta. Catene come Iberostar, Barceló, Riu e H10 hanno investito presto nel format adults-only, puntando sulle Baleari, le Canarie e la Costa del Sol come mete romantiche e di relax. Questo modello ha permesso di applicare tariffe più alte legate alla percezione di lusso, consolidando nel tempo un’offerta numericamente molto superiore a quella di altri paesi.
In Francia il tema è diventato politico. La senatrice socialista ed ex ministra per la famiglia Laurence Rossignol ha definito gli hotel vietati ai bambini “una forma di intolleranza istituzionalizzata”, paragonando la pratica a quella di trattare i bambini come animali domestici indesiderati. Secondo Rossignol, “non amare i bambini significa non amare l’umanità stessa”, e la società non può essere organizzata attorno all’idea che sia accettabile escluderli dagli spazi pubblici. Sullo stesso fronte, Sarah El Haïry, Alto Commissario per l’infanzia del governo francese, ha dichiarato che i resort per soli adulti “non fanno parte della cultura francese” e ha lanciato un premio Family Choice per promuovere le strutture a misura di bambino, invitando i genitori a votare i locali più accoglienti per le famiglie.
Il fenomeno dei resort adult-only è cresciuto in tutto il mondo negli ultimi anni, sospinto anche dall’aumento della domanda dopo i lockdown dovuti al Covid. In paesi come Messico, Thailandia o Grecia si tratta di una formula consolidata che attrae turisti del Nord Europa, soprattutto tedeschi e britannici. Anche in Corea del Sud sono comparsi bar e ristoranti con divieto di accesso ai minori. La Francia invece, tradizionalmente una destinazione orientata alle famiglie, con campeggi e hotel dotati di miniclub e parchi acquatici, si trova ora a fare i conti con una discussione che tocca anche il calo della natalità. Emmanuel Macron ha parlato di “riarmo demografico” per rilanciare le politiche a sostegno dell’infanzia, mentre diversi studi hanno sottolineato la necessità di rafforzare il ruolo sociale dei bambini, anche nel loro “diritto a essere rumorosi”.
Secondo Véronique Siegel, presidente della sezione alberghiera del sindacato UMIH, in Francia gli hotel senza bambini restano “estremamente rari” e si rivolgono a un mercato mirato. Se fossero vietati, sostiene Siegel, i turisti alla ricerca di ambienti adult-only si rivolgerebbero ad altri paesi europei. Una dinamica che si riflette già altrove: in Germania esistono circa 500 hotel adult-only, in Belgio circa un ristorante su dieci non accetta bambini, in Portogallo la legge vieta espressamente queste pratiche anche se in alcuni casi vengono aggirate.
In Italia non esistono dati ufficiali sulla diffusione del fenomeno ma la situazione è particolare. Dal punto di vista normativo, ristoranti ed hotel non possono vietare per legge l’ingresso ai bambini, i pubblici esercizi non possono rifiutare clienti disposti a consumare, salvo motivi specifici come il disturbo dell’ordine pubblico. Le scritte “child-free” che talvolta compaiono online o all’ingresso dei locali non hanno dunque valore legale; allo stesso tempo, in alcune aree turistiche (in particolare nelle Dolomiti e in Alto Adige) si sono affermati hotel “adults-only”, che accolgono solo ospiti dai 14 o 16 anni in su. Sono strutture di fascia medio-alta, spesso con spa e servizi dedicati al benessere, e rispondono alla domanda di coppie e viaggiatori in cerca di relax e silenzio.
Mentre in Francia si discute se vietare del tutto le strutture vietate ai minori, altrove il mercato child-free sembra destinato a crescere. Secondo l’antropologo Jean-Didier Urbain, autore di What Our Travels Say About Us (In che modo i nostri viaggi parlano di noi), “Nella società c’è una tendenza a cercare più comfort e relax, più tempo per prendersi una pausa, e questo ne è parte. Le vacanze, dopotutto, sono tradizionalmente un momento in cui i cittadini possono staccarsi dai loro obblighi sociali”.





