1 adolescente su 3 negli Stati Uniti (il 33%) ha dichiarato di “preferire l’Intelligenza Artificiale agli amici in momenti di difficoltà emotiva”.
È quanto emerge da uno studio realizzato da Common Sense Media in collaborazione con NORC presso l’Università di Chicago che ha coinvolto 1.060 adolescenti statunitensi di età compresa tra i 13 e i 17 anni. L’indagine, condotta tra aprile e maggio, ha rivelato che il 72% dei partecipanti ha utilizzato almeno una volta chatbot basati su intelligenza artificiale come ChatGPT, Replika, Character.AI o Claude. Di questi, il 52% ha dichiarato di usarli regolarmente, almeno alcune volte al mese. Il 13% interagisce con questi sistemi quotidianamente, mentre il 21% lo fa alcune volte a settimana.
Le motivazioni che spingono gli adolescenti a usare queste tecnologie sono varie: il 30% lo fa per divertimento, il 28% per curiosità verso l’IA, il 18% per ricevere consigli o supporto emotivo, e il 17% apprezza la disponibilità continua, 24 ore su 24. Un dato particolarmente significativo è che il 33% degli intervistati ha scelto di confidarsi con un’IA invece che con un amico in situazioni personali serie. Un terzo degli adolescenti afferma inoltre che le conversazioni con questi sistemi sono tanto soddisfacenti quanto quelle con amici reali, o addirittura migliori. Nonostante questa crescente fiducia, l’80% dichiara di passare ancora più tempo con amici reali rispetto ai bot, e solo il 6% afferma di dedicare più tempo alle interazioni con l’IA.
La percezione di questi strumenti rimane ambivalente, la percezione di questi strumenti è incerta, circa la metà degli adolescenti infatti afferma di non fidarsi delle risposte fornite dai chatbot. I dati mostrano anche una differenza generazionale all’interno del campione: il 27% dei più giovani, tra i 13 e i 14 anni, tende a fidarsi di più rispetto al 20% dei ragazzi tra i 15 e i 17 anni. Il 46% considera comunque l’IA semplicemente uno strumento o un programma, senza attribuirle caratteristiche relazionali. Il 34% degli utenti ha riportato almeno un episodio in cui si è sentito a disagio per qualcosa detto o fatto da un chatbot. Sebbene si tratti di casi minoritari, il dato pone interrogativi sull’impatto emotivo di queste interazioni. Alcuni esperti di salute mentale segnalano rischi legati alla dipendenza emotiva, all’esposizione a contenuti inappropriati e alla sostituzione del supporto umano con quello algoritmico. Sam Altman, CEO di OpenAI, ha affermato che affidarsi all’IA per questioni personali è pericoloso, soprattutto per i giovani, e ha sottolineato l’importanza di non delegare all’intelligenza artificiale il proprio giudizio o equilibrio emotivo.
L’uso diffuso di Chatbot tra gli adolescenti riflette un cambiamento profondo nelle dinamiche relazionali; se da un lato queste tecnologie offrono uno spazio di ascolto, dall’altro evidenziano un vuoto relazionale che molti ragazzi cercano di colmare digitalmente. Le interazioni con l’IA non sono nate per risolvere i disagi emotivi, ma evidentemente oggi assorbono una parte crescente delle esperienze affettive, con implicazioni che meritano molta attenzione educativa, culturale e politica.






