di Fabio Massimo Parenti – Circa due mesi fa mi sono recato in Xinjiang in compagnia di una delegazione internazionale composta da studiosi provenienti da paesi asiatici ed europei. A seguito di questo viaggio di studio, avevo elaborato un breve resoconto, pubblicato su questo Blog, che richiede un ulteriore approfondimento.
Lo Xinjiang, infatti, è coinvolto in una campagna mediatica sui diritti umani volta a screditare l’operato del governo cinese, accusato ripetutamente di violare i diritti umani della etnia musulmana uigura, maggioritaria in Xinjiang.
Per continuare a fare luce su questa regione autonoma cinese, storicamente importante per essere stata anche crocevia di scambio tra oriente e occidente nell’antica Via della Seta, ed oggi tornata alla ribalta con la Belt and Road Initiative, ho ritenuto utile dare la parola a Maria Morigi, archeologa ed insegnante, che ha recentemente pubblicato Xinjiang, “Nuova Frontiera” tra antiche e nuove Vie della Seta, Anteo edizioni. Il libro è frutto di lunghe ricerche sul campo, compiute tra il 2012 e il 2014, volte ad indagare la conservazione e tutela dei beni culturali di cui è ricca la regione.
In merito alla convivenza tra Han e Uiguri, la Morigi ha sostenuto, in una recente intervista, che in vari luoghi dello Xinjiang vi è “una buona convivenza tra Han e Uiguri e non si percepisce alcun tipo di discriminazione” (come si legge continuamente sulla stampa occidentale). Aggiungendo: “sono rimasta colpita dal plurilinguismo adottato metodicamente in segnali stradali, avvisi, musei, parchi e luoghi pubblici” … “ho verificato che nelle scuole è praticato il bilinguismo per facilitare anche altre minoranze, oltre a quella uigura; assistendo a lezioni collettive in preparazione di eventi pubblici, ho notato quanto i piccoli studenti e gli educatori si impegnino a dare il meglio di sé”.
Nel libro, inoltre, è specificato che dal 2004 sono stati varati programmi educativi fondati sull’apprendimento congiunto e parallelo della lingua madre e del cinese, che l’istruzione bilingue si tiene non solo nelle classi prescolastiche e della scuola primaria, ma anche alle medie. Peraltro, molta attenzione viene prestata alla formazione degli insegnanti-pilota statali per la didattica bilingue – annualmente ogni scuola invia gli insegnanti a corsi di aggiornamento.
Per quanto riguarda le misure di antiterrorismo implementate dal governo centrale in collaborazione con quello locale, la Morigi ne dà una valutazione positiva “poiché in Xinjiang queste misure di contenimento hanno prodotto un freno agli episodi di terrorismo/tentativi di secessione. Inoltre hanno garantito una maggiore sicurezza per i cittadini residenti e tutele nel campo dell’istruzione, della pratica religiosa e del lavoro. Indiscutibilmente si è verificato un miglioramento complessivo della vita, non solo in termini economici o di reddito, in quanto anche la sicurezza migliora lo standard di vita. Riguardo alla sicurezza, sono convinta che le misure adottate dal governo siano più che legittime, proprio per prevenire i drammatici episodi che si sono verificati negli ultimi anni”.
Come avevo descritto nel resoconto della mia recente visita, le misure di prevenzione e lotta al terrorismo, applicate da pochi anni coi nuovi centri di formazione professionale, debbono essere contestualizzate, tenendo ben a mente la drammatica serie di attentati terroristici che ha colpito la popolazione locale a partire dagli anni Novanta. Parliamo di centinaia di attentati terroristici, poco o per nulla menzionati dalla stampa internazionale, dedita a volte a rievocare “Hitler e i campi di concentramento” senza mai contestualizzare, né fornire evidenze verificabili alla nostra ignara opinione pubblica. Al riguardo Matteo Bressan, docente di relazioni internazionali ed esperto di terrorismo, ha evidenziato che “i numerosi eventi di terrorismo in Cina, in particolare in Xinjiang, sono stati caratterizzati da attività a basso costo… in Cina le modalità degli attacchi si sono caratterizzate per utilizzo di coltelli e veicoli lanciati contro la folla sin dagli anni Novanta. Tipologie e metodi assimilabili agli ultimi attacchi avuti anche in Europa a distanza di molti anni e che erroneamente sono stati descritti come nuove modalità di terrorismo”.
Nella mia visita avevo avuto anche l’opportunità di visitare varie moschee e un importante istituto di studi islamici ed ero venuto a conoscenza del fatto che in Xinjiang esistono più moschee pro capite che in qualsiasi altro paese al mondo. Lingua uigura, arabo e religione islamica sono protette da leggi nazionali, dalla costituzione e dalla implementazione di politiche in ottemperanza a tale quadro normativo. Non vi sono corrispondenze reali, dunque, alle accuse di repressione, se non addirittura di “genocidio culturale”.
Riguardo alla religione islamica e alla supposta soppressione della libertà religiosa, la Morigi afferma di aver “potuto visitare le moschee senza alcuna restrizione”. Nel suo libro, che tratta il percorso degli ultimi secoli dell’Islam sunnita in Xinjiang, diviso in confraternite e potenti fazioni rivali per orientamento politico, è possibile rinvenire evidenze storiche per comprenderne l’evoluzione. Tuttavia, sin dagli anni Ottanta del secolo scorso l’Associazione Islamica della Cina collabora pienamente nella tutela e normalizzazione delle pratiche religiose islamiche nella regione e si adopera, in sintonia con le indicazioni del governo, per la formazione di imam che non alimentino il fondamentalismo, ma aderiscano ad una visione responsabile e patriottica di unità statale. Anche in questo caso la Cina si trova a gestire un problema ampiamente discusso in Europa.
Verso la parte finale del libro vi è una disamina critica della questione dei diritti umani applicata allo Xinjiang, dal titolo “ONG e interventismo umanitario”, dove l’autrice elenca le fonti disponibili sulle organizzazioni che denunciano “persecuzioni” dei diritti umani nello Xinjiang. Riportiamo un breve riassunto fornitoci dalla Morigi: “come noto per chi se ne è occupato, tutte queste organizzazioni sono significativamente collegate al governo degli Stati Uniti. Quasi tutti i rapporti di denuncia provengono da un gruppo sostenuto da governi occidentali, ovvero la Rete dei Difensori dei Diritti Umani in Cina (China Human Rights Defenders, CHRD) che gode di finanziamenti provenienti da istituti governativi, in particolare dal National Endowment for Democracy (NED). Quest’ultimo, sostenuto dal governo USA, è stato creato nei primi anni Ottanta con l’obiettivo di rendere “efficaci” le organizzazioni pro-democrazia nel mondo, ma gli scopi sono fissati dalle linee di politica estera di Washington. Infatti, si può leggere quello che dice Allen Weinstein, fondatore di NED: “Un sacco di cose che facciamo oggi è stato fatto clandestinamente dalla CIA per 25 anni” (Washington Post 1991). Nei moduli fiscali, la rete CHRD indica il suo indirizzo a Washington DC, lo stesso indirizzo di Human Rights Watch, organizzazione attiva nei confronti dei paesi designati da Washington come nemici o competitor (Cina, Venezuela, Iran, Siria e Russia). Il Consiglio della rete CHRD è costituito da attivisti antigovernativi cinesi esiliati o dissidenti. Anche il Congresso Mondiale Uiguro e l’Associazione Uigura Americana sono membri della NED, definendo falsamente se stesse come organizzazioni non governative e movimenti non- separatisti”.
D’altronde, se ci fosse realmente un interesse statunitense ed europeo per il destino degli Uiguri, così come di altri gruppi etnici usati di volta in volta per convenienze strategiche e obiettivi geopolitici, una stampa occidentale realmente oggettiva ed onesta rivolgerebbe attenzione e piglio critico verso quelle regioni centro-asiatiche dove le limitazioni a culti di minoranze etniche e alle pratiche islamiche sono anni luce indietro rispetto agli spazi e alle tutele offerte dal governo cinese. Nella campagna mediatica qui menzionata mancherebbero pertanto fonti credibili, dati verificabili ed equilibrio di giudizio, mentre, al contrario si rinvengono manipolazioni, strumentalizzazioni per fini geopolitici (discreditare il governo cinese per contenerne l’ascesa di legittimità), ingerenze e arbitrarietà di giudizio.
Il libro di Maria Morigi contribuirà certamente ad aprire gli occhi di chi, onestamente, intendesse conoscere questa ricca, diversificata e complessa regione cinese, o quanto meno contribuirà a far conoscere qualcosa in più di ciò di cui si parla in modo astorico, a-geografico e superficiale al fine di plasmare l’immaginazione pubblica per scopi di competizione geopolitica. Il respiro storico, la ricchezza delle fonti, la conoscenza diretta dei luoghi di cui si parla fanno di questo libro un’opera pregiata e meritevole di grande attenzione.
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è attualmente Foreign Associate Professor di Politica Economica Internazionale alla China Foreign Affairs University, Beijing. In Italia insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, e membro di EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance and Geopolitics, Egea. Su twitter @fabiomassimos