di Stefano Pedrollo – La storia della democrazia è la storia del continuo allargamento di coloro che sono coinvolti nel processo di formazione delle leggi per regolamentare la complessità crescente del vivere in una comunità. Se è vero che la democrazia rappresentativa è il miglior sistema politico di cui disponiamo, è anche vero che non è un modello definitivo e può (deve) evolversi.
Nell’antica Grecia 5000 ateniesi su 30.000 partecipavano alle agorà (una percentuale del tutto rispettabile in confronto ad oggi). Fin dai suoi esordi, vizi e virtù della democrazia sono stati al centro di accesissime dispute ideologiche, e sanguinosi scontri sociali. Diversamente però da altri concetti centrali nella storia dell’umanità (come libertà, giustizia, eguaglianza) il cammino della democrazia è stato a lungo solamente idealizzato. Con scarse applicazioni pratiche. L’eccezione ateniese ha conquistato il suo ruolo esemplare anche grazie alla sua unicità, per oltre duemila anni, come prodotto stabile e duraturo di un regime politico. Quando, a metà Settecento, Rousseau conduce la sua battaglia nel nome della democrazia diretta, si tratta ancora di un dibattito culturale. E lo stesso filosofo si guardava bene dall’immaginare l’applicabilità su vasta scala della sua utopia. Dall’altra parte, il sistema rappresentativo, stava appena cominciando ad attecchire, in modo lento e con molti ostacoli, in Inghilterra. Anche i suoi fautori più convinti ci tenevano a precisare che il corpo democratico la cui causa peroravano era un attore ben qualificato e, soprattutto, molto limitato. Inoltre la democrazia dal basso era limitata dalla scarsa scolarizzazione. Ad esempio nel 1861, con l’unificazione italiana, solo 1 persona su 10 conosceva l’italiano. Le costituzioni democratiche cominciano ad espandersi in Occidente soltanto dopo la seconda guerra mondiale. E dopo un’ondata di ottimismo seguita alla fine della guerra fredda, il cammino della democratizzazione si è rivelato estremamente contrastato. Anzi, sembra sia stata fatta una inversione di rotta. Se in passato avevamo dato per scontato che avremmo avuto la caduta di molti regimi autoritari a favore di una instaurazione democratica, oggi si manifesta l’opposto. La democrazia, in molti paesi, sta diventando meno democratica, e più autocratica.
Oggi, nonostante l’alto grado di alfabetizzazione, il 28% degli italiani tra i 16 e i 65 anni è incapace di comprendere, valutare e utilizzare testi scritti per intervenire attivamente nella società; il cosiddetto analfabetismo funzionale. E purtroppo la politica attuale è arrivata ad un punto di non ritorno da quando ha deciso di sfruttare questa debolezza della società per i propri interessi elitari e lobbistici, invece di sviluppare il processo democratico.
I principali protagonisti dell’ascesa della democrazia occidentale, il parlamento e i partiti, hanno perso il loro ruolo di aggregazione intorno ai problemi sociali per dedicarsi alla ricerca del consenso fine a se stesso. I partiti non riescono più a rispondere alle esigenze dei cittadini ma hanno imparato a leggerne gli umori, cavalcarne le paure e indirizzare l’opinione pubblica attraverso i media amici. Il gioco però si sta via via rompendo; l’iperbolica espansione della complessità sociale si rivela l’origine della loro crisi.
Il moltiplicarsi dei fronti di intervento richiede strutture di attuazione e di controllo che il parlamento non riesce a produrre. I compromessi tra gruppi di interesse e burocrazie ministeriali abbassa la qualità dei dirigenti statali, che non sono scelti sulla base della meritocrazia ma solo per affiliazione partitica. L’intervento pubblico diventa, al tempo stesso, più invasivo e meno reattivo, col parlamento sempre più impotente a contrastare la sua crisi di rappresentanza. I partiti servono solo a far crescere una nuova classe di leader del consenso che trasforma il parlamento in un reality show. E l’unico modo individuato dai cittadini per uscire da questo grottesco teatrino è l’astensionismo.
E per chi non si rassegna?! I processi democratici tecnologici che si stanno creando e diffondendo in (e grazie alla) rete rappresentano una evoluzione della democrazia rappresentativa, e tentano di colmare il gap storico tra le promesse dei partiti e i loro risultati. Hanno la forza e la possibilità di migliorare la democrazia quantitativamente e qualitativamente; l’utilizzo innovativo del web può compensare, surrogare e migliorare il tessuto sempre più sfilacciato della democrazia rappresentativa, impedendo che precipiti nella spirale autodistruttiva in cui sembra essersi avvistata.
Il mio libro “Democrazia. Diretta. Ora!” è dedicato ad esplorare questo sentiero di riscatto per i cittadini che definisco “attivi” (coloro che si impegnano), cominciando dalla storia del processo democratico e descrivendo il modo con cui potrà manifestarsi una vera “transizione” verso la democrazia diretta. Per la sua velocità, imparzialità, ubiquità e capacità di memorizzazione di dati, un algoritmo può inevitabilmente superare le lacune della democrazia rappresentativa e l’inutile (e dannosa) personalizzazione della politica.
Abbiamo già esempi di intelligenza artificiale che riescono a sostituire in tempo reale il volto, la voce e l’ambiente di chi tiene una conferenza. Questo sembra un incubo, lo è sicuramente per un politico di professione, ma può essere un’enorme opportunità per la democrazia.
Non potendoci più fidare di chi dice cosa in un determinato momento e contesto, i cittadini dovranno necessariamente tornare a discutere di temi e non a concentrarsi sul consenso. L’ intelligenza artificiale ha accesso a (letteralmente) l’intera conoscenza su un determinato argomento; il legislatore potrà essere supportato da dati empirici incontrovertibili, lasciando comunque l’ultima parola ai cittadini.
Il discorso pubblico sugli effetti della rivoluzione digitale sulla democrazia non deve essere monopolizzato sulle potenzialità che si aprirebbero sul fronte della partecipazione. I cittadini esperti nei vari campi di interesse possono non solo partecipare ma essere parte attiva del processo decisionale. Le comunità che si consentirebbero di costituire (e di smontare), una sorta di commissioni parlamentari allargate, saranno ispirate a logiche di interazione, di interessi, di genere, di affinità ideologiche che travalicheranno i confini spaziali. Un meccanismo attraverso cui i processi decisionali potranno essere arricchiti da una pluralità di contributi, più consapevoli e informati. Non è un meccanismo nuovo; negli ultimi anni, le nuove tecnologie hanno iniziato anche a essere istituzionalizzate nei modelli organizzativi e nelle pratiche dei parlamenti. La Commissione Europea, cogliendo le possibili applicazioni di tali sviluppi al livello sovranazionale, arrivava a immaginare uno slittamento funzionale dei parlamenti dal campo legislativo, nel quale i corpi assembleari sono surclassati dagli esecutivi, a quello dell’informazione/comunicazione e dell’interazione dei cittadini. Anche nelle città si realizzano esperimenti promettenti, sfruttando la scala relativamente ridotta della comunità da coinvolgere e la relativa semplicità degli argomenti su cui attivare la democrazia diretta.
Il tema dell’efficienza amministrativa si salda a quello della responsabilità; i cittadini non potranno più scaricare le colpe sull’inefficacia dei leader. Ma la visione attuale è ancora ristretta, forse per la paura e la ritrosia da sempre legate alle nuove tecnologie.
L’AUTORE
Stefano Pedrollo – Veronese, 41 anni, laureato in Scienze della Comunicazione. Lavora in una azienda che si occupa di energia ed efficienza energetica, nell’ambito marketing e comunicazione. Ha pubblicato il libro “Democrazia.Diretta.Ora!”, un manifesto di transizione democratica per l’abbattimento del sistema partitico.