di Maurizio Montalto – Nel 1947 negli Stati Uniti, in seguito allo schianto di un oggetto non identificato nella contea di Chaves, i cittadini col naso all’insù, lo sguardo rivolto oltre la stratosfera, si domandavano se ci fossero acqua e vita sugli altri pianeti. Nello stesso anno in Italia, alcuni politici, con i piedi ben piantati a terra, si preoccupavano di garantire una migliore qualità di vita ai cittadini e volgevano lo sguardo verso le comunità più povere e disagiate del centro sud.
Nel 1945, un articolo apparso sul Corriere del Mezzogiorno, senza chiamare in causa i cambiamenti climatici, alimentò un’importante discussione sulla necessità di porre rimedio alle ricorrenti siccità. S’incontrarono a Bari rappresentanti del mondo economico e della cultura, della politica, i lavoratori e i cittadini dei territori. Emerse che c’era bisogno di nuove tecnologie, capacità organizzativa e una levatura istituzionale in grado di immaginare e realizzare nell’interesse della popolazione.
Il 7 maggio del ’47 (Presidente della Repubblica provvisorio l’avv. Errico De Nicola) veniva pubblicato in Gazzetta ufficiale il Decreto n° 281 col quale il Governo istituiva l’E.I.P.L.I., un Ente pubblico non economico col compito di studiare, progettare e realizzare grandi opere per l’accumulo e il trasporto dell’acqua nel Mezzogiorno d’Italia per consentire l’irrigazione dei campi e fornire a tutti acqua potabile affrancando i territori dalla miseria. Ben presto venne posta la prima pietra dal Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Grazie a quell’impegno lungimirante e ai fondi pubblici della Cassa del Mezzogiorno, sono state realizzate grandi opere idrauliche che con un moderno sistema di telecontrollo sono in grado di gestire 1 miliardo i metri cubi di acqua all’anno tra la Puglia, il Molise, la Basilicata, la Campania, il Lazio e la Calabria, con soli 140 dipendenti.
Nel corso dei 70 anni trascorsi non sono mancate le criticità tipiche delle interferenze d’interessi. Ma a distanza di tempo la scelta si è rivelata vincente. Un Ente dello Stato dedicato all’acqua, una gestione pubblica pura che continua a svolgere le sue funzioni e a perseguire lo scopo originario. La siccità del 2017, ad esempio, è stata importante, ma non è stata percepita per la sua gravità perché il grande progetto realizzato ha funzionato.
Ma facciamo un piccolo passo indietro per comprendere perché questo meraviglioso sistema sta per finire nelle mani delle Corporation.
Nel 2011 gli italiani col referendum hanno dato un’indicazione precisa: la gestione dell’acqua deve essere pubblica. Ebbene, a distanza di soli sei mesi, il Governo in carica (Presidente del Consiglio Mario Monti) con decreto d’urgenza n°201, promulgato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha collocato l’E.I.P.L.I. tra gli Enti pubblici “inutili” da liquidare.
Noncurante della volontà popolare si apriva così il varco alla più grande privatizzazione dell’acqua d’Europa. Il compito di privatizzare è stato assegnato al Governo Gentiloni, che, con la finanziaria del 2018 (comma 905, pg.167), non si è limitato a chiudere l’Ente pubblico, ma ne ha trasferito le competenze a una Società per Azioni. L’EIPLI così “inutile” quindi non lo è! Tuttavia la spinta alla privatizzazione viene ancor più da lontano, dai primi anni 2000, quando l’uragano “liberista” ha investito ogni angolo del Belpaese e all’EIPLI furono nominati i primi Commissari liquidatori.
Infatti, la tecnica con la quale demolire il sistema pubblico è sempre uguale a se stessa: si determinano incertezze normative protratte nel tempo con le quali stressare la gestione, si tagliano i fondi pubblici per paralizzare l’Ente e i grandi debitori, interessati a privatizzare inglobando, non pagano mettendone in crisi il funzionamento. Non è un caso che l’Acquedotto pugliese, maggior debitore dell’EIPLI, è anche il maggiore promotore della privatizzazione del cd. Distretto Appenninico, predestinato a confluire nel patrimonio delle francesi Suez e Veolia.
Questi processi di privatizzazione si realizzano nel tempo e in maniera impercettibile ai più. Dobbiamo fermarli! Il primo passo da fare è una norma “salvalacqua” che abroghi il comma 905 e garantisca che le nostre fonti restino in mano pubblica. Il passo successivo è quello di riscrivere le regole e trovare nuove soluzioni per superare le criticità emerse nel corso delle esperienze decennali.
Come nel ’45, bisogna pensare e riprogettare il futuro del Paese avendo come priorità il bene pubblico e ponendo al centro il diritto all’acqua a salvaguardia della vita delle generazioni presenti e future.
L’AUTORE
Maurizio Montalto – Avvocato e Giornalista pubblicista specializzato in “diritto e gestione dell’ambiente”. Presidente dell’Istituto italiano per gli Studi delle Politiche Ambientali. È stato Presidente dell’azienda per l’acqua pubblica di Napoli ABC (Acqua Bene Comune). È attivista del Forum Italiano per i Movimenti per l’acqua e ha fondato la Rete a Difesa delle Fonti d’Acqua del Mezzogiorno d’Italia. Ha pubblicato: Le vie dell’acqua, tra diritti e bisogni ed Alegre, La guerra dei rifiuti ed Alegre, La Casa Ecologia ed Simone, L’acqua è di tutti ed L’ancora del Mediterraneo, La rapina perfetta ed libribianchi di stampalternativa. Ha avuto incarichi tecnici in Governi tipo Comitato Ministeriale sul diritto all’acqua, cd. Comitato scientifico del Ministero dell’Ambiente C.O.V.I.S. e ha lavorato sull’emergenza rifiuti per la Presidenza del Consiglio dei Ministri col Generale Jucci.