di Gianni Girotto, Presidente X Commissione Senato della Repubblica – È impossibile oggi parlare di sicurezza nazionale senza fare riferimento alla transizione del sistema energetico e alle sfide a essa connesse, due temi rilevanti sui quali è necessario riflettere, soprattutto da un punto di vista geopolitico, per capire meglio anche il ruolo che deve svolgere la politica in un Paese come l’Italia, oggi al centro di macro dinamiche energetiche globali, le cui influenze dirette toccano inevitabilmente anche i sistemi finanziario, economico, sociale, ambientale, sanitario e climatico.
A configurare una debolezza in termini di sicurezza nazionale è proprio la conformazione dell’attuale contesto energetico industriale nel quale il nostro Paese è collocato. La pronunciata, storica e politica dipendenza dalle importazioni, con l’approvvigionamento di idrocarburi da pochi Paesi esteri, limita l’autonomia del nostro Paese e la capacità di effettuare scelte politiche indipendenti, e rende necessario un costante monitoraggio sia sulla capacità di far fronte agli impegni presi delle società nazionali coinvolte (in un contesto internazionale mai stato realmente in pace) sia sulle eventuali ingerenze di soggetti economici stranieri, portatori di interessi divergenti da quelli del Paese e dei nostri operatori energetici. Strumenti come la Golden Power potrebbero non essere più sufficienti a garantire la difesa necessaria da eventuali ingerenze esterne nei confronti delle nostre aziende che operano nel comparto energetico.
Teniamo presente che è proprio a causa di questa dipendenza energetica che abbiamo sviluppato un modello di produzione centralizzata, in cui l’approvvigionamento deve essere assicurato con l’integrità e l’adeguatezza delle infrastrutture di trasporto (elettrodotti e pipeline) e di trasformazione (rigassificatori, centrali elettriche, raffinerie etc.). Un modello che, per essere mantenuto, richiede sforzi enormi e un impiego di risorse notevoli (economiche, militari e non solo) che, nella vivacità della ricomposizione dei rapporti di forza tra gli Stati nel contesto internazionale, potrebbero non essere più sufficienti, con gravissime conseguenze per il nostro sistema Paese.
Cosa ci potrebbe accadere se, per assurdo, si interrompesse il flusso di gas dalla Russia o quello di petrolio dall’Iran o l’approvvigionamento da altro Paese? Come si evolverà lo scenario libico e con quali conseguenze nell’ambito dell’approvvigionamento energetico? Come potremmo reagire nel caso di un cyber attacco al gestore della rete elettrica nazionale (come già avvenuto in Ucraina nel 2015)?
L’attività produttiva energetica, poi, va conciliata con la tutela della salute e dell’economia locale del territorio nel quale si opera. Dove non è possibile, è necessario fermarsi per evitare la nascita di conflitti ambientali e la distruzione di beni comuni e risorse naturali, come l’acqua ad esempio, necessari alla soddisfazione dei bisogni primari. Diversamente, oltre a generare uno sviluppo distorto, privo di valore e con un costo sociale elevato, si alimenta solo la distruzione dell’ambiente e di conseguenza dell’economia locale che vi è insediata. Pensiamo agli sversamenti di petrolio e ai danni ambientali, in attesa di bonifiche, a essi connessi, e pensiamo anche agli eventi estremi causati del cambiamento climatico di cui questo modello energetico ne è in gran parte la causa. Siamo tutti ben consapevoli dei rischi che i cambiamenti climatici comportano, anche per il nostro Paese, e di quanto sia necessario intervenire con urgenza. Basta volerlo.
Noi tutti abbiamo il dovere di impegnarci quotidianamente nella costruzione della transizione verso un nuovo modello energetico decarbonizzato e alimentato dalle fonti rinnovabili, capace di trasformarsi grazie a un ruolo più consapevole e attivo dei cittadini rispetto al consumo e all’utilizzo delle risorse e grazie all’impiego delle già esistenti nuove tecnologie. Solo così può essere raccolta la sfida epocale per la quale la politica è chiamata. Siamo ben consapevoli che questa trasformazione non sarà semplice e immediata, probabilmente nemmeno indolore, considerato che gli ostacoli e le resistenze dei poteri forti e conservatori non sono pochi. Ma è una sfida politica, l’unica possibile per la tenuta del sistema stesso, che si gioca in un ambito internazionale e che il nostro Paese deve raccogliere, sfruttando al meglio tutte le opportunità che essa comporta.
I BENEFICI DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA VERSO LA DECARBONIZZAZIONE
Le fonti rinnovabili, affiancate a un piano di interventi di efficienza energetica per la riduzione dei consumi, riducono la domanda di importazioni di fonti fossili, attenuando gli effetti negativi dell’instabilità geopolitica nei Paesi di produzione e di transito, a vantaggio di una maggiore affidabilità del sistema Paese. Ogni Megawattora prodotto dalle rinnovabili, disponibili in forma illimitata in natura, attenua strutturalmente la dipendenza del sistema energetico nazionale dai mercati, riduce le emissioni nocive per il clima, con enormi benefici in termini sia politici che economici per il nostro Paese, e rafforza la resilienza energetica nazionale. Un cambio di paradigma capace di plasmare la natura stessa del sistema, che da centralizzato (e quindi più vulnerabile in termini di sicurezza) transiterebbe verso un sistema energetico più efficiente e diffuso, caratterizzato da una produzione decentrata alimentata dalle rinnovabili e dal consumo e autoconsumo di prossimità attraverso delle Comunità energetiche, coadiuvato dall’utilizzo degli accumuli e delle reti private, e sostenuto da nuovi comportamenti e nuove forme di mobilità sostenibile. Un sistema più difficilmente attaccabile dal punto di vista della sicurezza. Il solco nel quale continuare a lavorare è stato già tracciato e non ci sono altre strade da percorrere. Rispettare gli impegni assunti nell’ambito degli accordi climatici internazionali è un obbligo, ma anche un’opportunità per affrontare tutte le criticità in essere.
I RISCHI
Il futuro scenario europeo, in particolare se non si concretizzerà la ripresa economica, sarà caratterizzato da una riduzione dei consumi dovuta a diversi fattori, tra cui l’incremento degli interventi di efficientamento e risparmio energetico e l’incremento della penetrazione nei consumi di energia delle fonti energetiche rinnovabili, che non concederanno spazio a incrementi dell’offerta. Secondo i dati contenuti nel rapporto ENI 2013 e quelli di Eurogas, i consumi di gas nella UE a 27 hanno raggiunto un picco in corrispondenza dell’anno 2005 che non sarà più eguagliato, uno scenario che attualmente non è cambiato. Per tali ragioni, anche in considerazione della riduzione di altre fonti fossili, come il carbone, il vettore gas va considerato un vettore sicuramente necessario per la transizione, ma che non necessita di nuova capacità incentivata. Invece di investire nelle rinnovabili e nell’efficienza energetica, continuare a costruire nuove infrastrutture o centrali per le energie fossili, quali il gas, rappresenta non solamente uno spreco di denaro, in gran parte pubblico, ma costituisce un vero e proprio errore politico che non risolverà i problemi di sicurezza nazionale e ci continuerà a tenere legati alle necessità politiche di altri Paesi. Senza dimenticarci, poi, gli impatti sull’ambiente e sulla sicurezza che queste infrastrutture comunque comportano, e l’effetto economico c.d. lock-in, che ci lega al loro utilizzo non per i benefici ambientali offerti, ma semplicemente per permettere l’ammortamento e il recupero delle spese sostenute, prima, e dei guadagni legati alle economie di scala, poi.
LA SOLUZIONE
Dobbiamo guardare oltre. Ormai le tecnologie pulite presenti nel mercato sono mature e competitive rispetto ad altre fonti. Alla politica la responsabilità di creare regole per l’interesse strategico nazionale che non siano discriminatorie. Dobbiamo creare un mercato libero nel quale tutti possano partecipare e muoversi senza discriminazioni e senza alimentare rendite ingiustificate o posizioni dominanti. In questa direzione, come maggioranza parlamentare, siamo impegnati in questi giorni nell’approvazione di una risoluzione di indirizzo al Governo e nella presentazione di una proposta legislativa che modifichi il quadro regolatorio al fine di recepire la Direttiva europea c. d. RED II, che rivoluzionerebbe il nostro sistema energetico.
Tra le diverse azioni, stiamo cercando di indirizzare una maggiore attenzione verso questo cammino anche da parte della finanza che, al di là di dichiarazioni di massima, deve ancora svoltare veramente direzione. Non facendolo, a mio avviso, non fa né i propri interessi né quelli dei propri clienti, dal momento che i settori tecnologici legati all’efficienza energetica e alle fonti rinnovabili si sono dimostrati nel medio lungo periodo più redditizi e soprattutto più affidabili rispetto alle altre fonti energetiche, che verranno progressivamente sempre più penalizzate a livello fiscale, diminuendo quindi vieppiù la redditività. Se non per amore di ambiente, la finanza volti pagina proprio per amor di guadagno.
Anche il futuro Parlamento europeo vedrà un cambio di approccio in questo settore, andando finalmente a concretizzare una fiscalità ambientale decisamente più efficiente nel far pagare le esternalità negative a chi le genera, anziché permettere che ricadano sulla società tutta, che poi se ne deve far carico in termini di costi sociali di bonifiche e malattie, ore di lavoro perse, minore produttività, e soprattutto purtroppo anche morti.
In tutto questo la Politica, e qui naturalmente la responsabilità passa all’attuale maggioranza, si impegnerà a rendere molto più protagoniste di questo cambiamento le maggiori imprese nazionali di cui lo Stato è azionista, sulle quali, proprio perché ne è azionista, dovrà esercitare tutta la sua influenza per guidare bene la transizione.
Se il nostro Paese riuscirà ad essere più sicuro e meno dipendente, potrà promuovere scelte politiche importanti e guidare un nuovo corso di investimenti orientati a creare una filiera industriale e produttiva capace di alimentare le opportunità sociali, ambientali e sanitarie necessarie per spingere la ripresa economica. Si tratta di una svolta a saldo lavorativo positivo, considerata la necessità che tali filiere hanno di sviluppare innumerevoli prodotti e servizi, e che chiude il cerchio tra tutela dell’ambiente, salute, e creazione di nuovi posti di lavoro, elemento necessario per un reale progresso della società e del Paese.
Continuare a percorrere questa strada è necessario oltre che doveroso. La posta in gioco è alta: garantire un futuro più sostenibile e di pace alle nuove generazioni, che proprio nelle settimane scorse ce lo hanno ricordato con forza, alle manifestazioni dei tanti giovani che si riconoscono nella lotta di Greta Thunberg contro la minaccia dei cambiamenti climatici.