di Marco Bella – Il rapporto “Renewables 2023” della IEA (Agenzia Internazionale per l’energia) certifica l’ennesima enorme crescita delle energie rinnovabili nel mondo.
La potenza installata nel solo 2023 di eolico e fotovoltaico è stata di 510 GW, il più grande aumento degli ultimi 22 anni. Per confronto, tutta la potenza nucleare mondiale attuale è di soli 393 GW. Il nucleare avrà anche una produzione più continua rispetto alle rinnovabili, ma si tratta pur sempre di un risultato ottenuto in soli 12 mesi. La potenza installata di nuovo nucleare nel 2023 è stata 5.1 GW, un centesimo di quella delle rinnovabili, e sono state dismessi reattori per 5.6 GW, quindi il risultato netto è stato un calo di 0.6 GW.
La produzione elettrica da nucleare è rimasta più o meno costante negli ultimi 20 anni (attorno a 2500 TWh), e visto che che la produzione totale nel mondo è enormemente aumentata, oramai il nucleare rappresenta solo il 10% del totale. Anche a causa dell’età avanzata dei reattori (il 60% ha da 30 a 54 anni) la produzione da nucleare è scesa di oltre 100 TWh dal 2021 (da 2653 a 2545 TWh); i dati provengono da World Nuclear Association, un’associazione legittimamente e chiaramente pro-nucleare.
Il costo di produzione dei moduli fotovoltaici è calato del 50%, sempre in un solo anno. La capacità di produzione di questi moduli si è triplicata rispetto al 2021. I costi di installazione di nuovi impianti fotovoltaici e eolici sono più bassi rispetto a qualsiasi fonte fossile: gas o carbone. Secondo gli scenari IEA, nel 2024, a livello mondiale, fotovoltaico ed eolico insieme eguaglieranno la produzione dell’idroelettrico, e nel 2025 supereranno la produzione da carbone. L’eolico supererà la produzione di tutto il nucleare nel 2025, e il fotovoltaico raggiungerà questo obiettivo l’anno dopo (2026).
Il paese leader nell’installazione delle rinnovabili è la Cina e questa è una buona notizia, perché è anche il paese che consuma più energia elettrica (circa 8000 TWh). La Cina è anche il paese leader nel mondo per la costruzione di nuovi reattori nucleari, che però forniscono solo il 5% del suo fabbisogno. Il nucleare in Cina ha ottenuto questi risultati partendo nei primi anni ‘90. Per confronto, il solo fotovoltaico è passato da una produzione di energia quasi inesistente nel 2008, 15 anni, fa, appena 0.1 TWh, a superare in soli 15 anni quella da nucleare (oltre 440 TWh nel 2023) con una crescita esponenziale. Se la Cina sembrava in grado di poter avviare numerosi reattori ogni anno, nel 2022 ne ha connessi alla rete solo due e nel 2023 solo uno.
Anche per lo sviluppo delle rinnovabili ci sono però delle criticità. Innanzi tutto, questa crescita, anche se enorme, rischia di non essere sufficiente per gli obiettivi 2050 per raggiungere la neutralità climatica che prevedono di triplicare la capacità installata delle rinnovabili entro il 2030. Al momento, si arriverebbe solo a un incremento di sole due volte e mezza, che è tantissimo ma non ancora sufficiente. IEA suggerisce ai governi di rimuovere gli ostacoli di natura burocratica. Inoltre, gli investimenti per adeguare la reti elettriche non stanno tenendo ancora il passo della crescita delle rinnovabili.
Alla luce di questi dati, triplicare la capacità di rinnovabili entro il 2030 è un obiettivo fattibile, triplicare la capacità di nucleare entro il 2050 appare invece utopico. Solo il rapido aumento delle rinnovabili associato a una sobrietà nei consumi può realizzare la transizione energetica adatta a limitare le emissioni di CO2 e il cambiamento climatico.
E che cosa fa il nostro paese per favorire la transizione energetica? Toglie soldi a quello che funziona per darlo a quello che sta fermo. Forza Italia ha presentato due emendamenti al DL Energia che riguardano il nucleare. Il primo, vorrebbe trasformare l’ISIN, l’ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare in un’autorità che dovrebbe “rilanciare la politica nucleare in Italia”. Il secondo è ancora più preoccupante. Propone di togliere almeno il 15% al fondo per il clima e destinarlo “ad attività di sviluppo di tecnologie inerenti i reattori nucleari di quarta generazione [che ancora non esiste, nota mia] con particolare riguardo ai reattori LFR”.
Il fondo per il clima è di 840 milioni. Almeno il 15% significa almeno 126 milioni. “LFR” sta per Lead Fast Reactor, cioè dei reattori refrigerati con il piombo e sue leghe anziché con l’acqua. Il più famoso è quello del sottomarino nucleare russo K-64, entrato in funzione nel 1971 e dismesso nel 1974 dopo l’incidente nel 1972 nel quale si ebbe la perdita e solidificazione del refrigerante. I reattori con i metalli fusi sono un’idea degli anni ‘50, e da allora sono stati sviluppati essenzialmente solo prototipi. Anche con il sodio metallico i risultati sono stati deludenti. Non parlo del famoso Super-Phénix francese, ma ad esempio del reattore di Monju in Giappone, la cui costruzione iniziò nel 1986 e che fino alla momento in cui operò l’ultima volta nel 2010 ha prodotto energia a livello commerciale non per un solo anno, non per un solo mese, nemmeno per un solo giorno, ma per la stratosferica durata di una sola ora.
Se i reattori al sodio sono stati fino ad adesso un fallimento, perché investire su quelli al piombo che sono in uno stato di sviluppo ancora più primitivo?
Ci sono anche altre ragioni che dovrebbero far suonare un campanello d’allarme sul nucleare. Gli ultimi paesi candidati a entrare nel club dell’atomo sono la Turchia, l’Egitto e il Bangladesh con centrali di tipo tradizionale (raffreddate ad acqua). Il problema è che questi reattori li sta finanziando, costruendo li gestirà e fornirà in combustibile (che non è il semplice uranio, ma uranio arricchito) la Russia tramite la sua compagnia statale Rosatom. La centrale di Akkuyu in Turchia (non ancora operativa) è stata inaugurata ad Aprile 2023 da Erdogan e Putin in video collegamento.
Ci si dovrebbe chiedere quanto possa essere una buona idea avere delle infrastrutture energetiche chiave in una qualsiasi nazione (e in un paese membro della NATO, nel caso della Turchia) gestite direttamente dalla Russia. Davvero vogliamo ripetere l’esperienza della dipendenza dal gas russo questa volta volta su scala molto più grande?
Tra l’altro l’unico progetto di una certa scala (300 MW) di costruzione di un reattore al piombo, il BREST, sta avvenendo guarda caso proprio in Siberia.
Pensare che la transizione energetica si possa realizzare puntando sul nucleare piuttosto che sulle rinnovabili equivale a nonno Gino che va all’ippodromo di Capannelle e anziché scommette sul cavallo a galoppo mette tanti soldi su quello fermo a bordo pista a brucare l’erba. “Eh ma tanti anni fa credevo che il cavallo nucleare promettesse bene! Forse torna quello degli anni ‘50! Perché mai dovrei cambiare idea? E poi, anche lui deve mangiare poverino!”, dice nonno Gino a chi glielo fa notare. E aggiunge “Qui all’ippodromo ci si passa il tempo benissimo. E poi, i soldi non sono nemmeno miei! Me li ha dati mia nipote Giovanna, basta che mi levo di torno”. Ecco, chi pensa che nonno Gino faccia bene a puntare sul cavallo nucleare dovrebbe mettersi davanti allo specchio e chiedersi: “ma da chi li prende i soldi Giovanna…”?
L’AUTORE
Marco Bella – Già deputato, ricercatore in Chimica Organica. Dal 2005 svolge le due ricerche presso Sapienza Università di Roma, dal 2015 come Professore Associato.