di Giovanni De Palma – Vi siete mai chiesti da cosa derivano le parole “complicato” e “complesso”? E qual è la differenza?
La prima parola deriva dal latino complicatus, letteralmente “con pieghe” e che dunque può essere “s-piegato” dalla Scienza Classica. La seconda, invece, deriva da complexus, letteralmente “intreccio”, un groviglio che non può essere spiegato dalla Scienza Classica.
Il sistema complesso ha due caratteristiche: è aperto, cioè comunica con l’esterno; ed è costituito da molte componenti dotate di autonomia e di adattamento che interagiscono attraverso interazioni locali non lineari (cioè a rete): se manca una di queste connotazioni, il sistema non è complesso ma è semplicemente complicato.
La differenza, spiegata teoricamente, può sembrare oscura, dunque facciamo alcuni esempi:
Se lanciamo un aeroplanino di carta e lo lanciamo verso una direzione, saremmo teoricamente in grado di calcolarne la traiettoria, attraverso lo studio del vento, della forma data all’aeroplanino, dal peso della carta e così via. Questo è un chiaro esempio di sistema complicato. È difficile prevederlo, ma è possibile attraverso l’analisi di alcuni dati.
Proviamo adesso ad immaginare di avere tra le mani un piccione e di lasciarlo volare via da una finestra. Possiamo forse, attraverso lo studio di dati precisi, prevedere dove si dirigerà questo pennuto? Forse neanche lui lo sa. Ed ecco un chiaro esempio di sistema complesso.
Ora appare ovvio che molte delle teorie che noi formuliamo per dare risposte a situazioni reali siano basate sull’assunto che il mondo in cui viviamo sia un sistema complicato, quando invece si tratta chiaramente di un sistema complesso. Ed è proprio questo malinteso a generare molti fallimenti nelle nostre analisi, poiché non riusciamo attraverso la previsione a sapere cosa realmente accadrà. Questo vale, ad esempio, per i parametri economici, vale per i sondaggi pre-elettorali e per le previsioni sociologiche di ogni tipo.
Questo corto circuito avviene per gli elementi stessi che compongono il sistema complesso e dunque il mondo in cui viviamo: la non linearità (gli effetti non sono proporzionali alle cause e non sono sempre del tutto prevedibili); la sensibilità alle minime variazioni delle condizioni iniziali (il famoso effetto “farfalla”); la ridondanza (nessun elemento è indispensabile: la morte di una o più formiche, ad esempio, non danneggia la colonia); la velocità adattiva (la velocità con cui si ritrova un nuovo equilibrio con l’ambiente); la resilienza (la capacità di reagire agli eventi traumatici evolvendosi in qualcosa di diverso); l’auto-organizzazione (la ricerca automatica di un equilibrio e di un’organizzazione dal basso delle componenti del sistema).
La cosa che bisogna tenere bene a mente è che non è possibile sfuggire alla complessità: è come essere in una ragnatela, ma sta a noi decidere se essere ragni o prede: essere “ragni” significa vedere la complessità come opportunità e imparare a gestirla; essere “prede”, di contro, vuol dire ignorare la complessità o cercare ottusamente di negarla, rimanendone vittime.
Come si può, dunque essere “ragni” e non “prede”? La risposta è con l’abbandono del metodo della “previsione”, in favore di quello della “prospettiva”.
Secondo gli specialisti della prospettiva, l’atteggiamento mentale di fronte al cambiamento e al futuro può essere classificato come segue:
- Passivo: subire il mutamento;
- Reattivo: reagire al cambiamento quando questo si presenta;
- Preattivo: cercare di prepararsi in anticipo al cambiamento;
- Proattivo: inventare modi per favorire la creazione di un futuro desiderato, ad esempio cercando di accelerare o rallentare o anche bloccare trend emergenti e identificando i “segnali deboli”.
Solo essendo proattivi possiamo dunque riuscire, non solo a comprendere il mondo in cui viviamo e cercare di prevedere il futuro come tentano di fare gli esperti della previsione, ma anche a comprendere che il mondo è in continuo mutamento e rappresenta una realtà incerta, ma che l’uomo è in grado di “prepararlo”, captando i segnali deboli che ci arrivano e adoperandosi per creare il futuro desiderato.
L’AUTORE
Giovanni De Palma, laureato in Lingue, lettere e culture comparate (inglese e giapponese); e in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa con focus sul Giappone (con tesi sulla strategia di sicurezza nazionale del Giappone di Abe); Master SIOI in Studi Diplomatici e Politici. Iamatologo e Orientalista. Si occupa di comunicazione social e political advisoring.