Gli spararono con un fucile caricato a lupara mentre era alla guida del suo camioncino. Il mezzo percorse ancora qualche metro, poi si fermò. Dalla cabina lo estrassero già cadavere.
Morì così Rocco Gatto. Era il 12 marzo del 1977, esattamente trentacinque anni fa.
Rocco Gatto il metafisico, il comunista. Rocco Gatto il mugnaio onesto che non si piegava alla ‘ndrangheta nonostante vivesse a Gioiosa Ionica, un posto dove i clan controllano anche l’aria che respiri.
La mala locale gli chiese il pizzo più volte. Lui non si piegò. Lo minacciarono ripetutamente, gli bruciarono anche il mulino. Ma Rocco, il comunista militante che veniva da una famiglia onesta, continuò per la sua strada.
Poi accadde che per la morte di un capobastone il clan impose il coprifuoco. Ogni negozio doveva rimanere chiuso in onore del boss defunto. Chiusero tutti, non Rocco che andò anche oltre denunciando il tutto ai carabinieri. Una denuncia che gli costò la vita.
Ricordare Rocco Gatto, oggi, è un dovere civico per ogni italiano onesto. Perché lotta alla mafia vuol dire anche non dimenticare il sacrificio di chi contrastava i clan coi fatti, e non solo con le parole.
Biagio Simonetta
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