di Gunter Pauli – Pensate che nel 2008, il mercato mondiale delle bevande confezionate registrava circa 187 miliardi di confezioni. Le vendite segnano un più 6% anno da tempo, con l’Asia che traina la crescita con oltre il 13% all’anno. Il latte rappresenta oltre il 45% di tutti i prodotti confezionati.
Questo tipo di imballaggio è detto “asettico” e consente di sterilizzare separatamente alimenti, bevande e il relativo imballaggio, per poi combinarli e sigillarli in condizioni sterili.
Questa applicazione di nicchia per le bevande è un mercato in crescita da sempre e adotta sempre più materiali multistrato come cartoni, buste e bottiglie. Nel 2013 il mercato mondiale ha raggiunto i 113 miliardi di litri con 265 miliardi di confezioni. Quasi un terzo dei rifiuti solidi urbani prodotti dai cittadini statunitensi è costituito da packaging alimentare.
Insomma parliamo di numeri stratosferici. Chi ne è il padrone?
Tetra Pak controlla l’80% del mercato mondiale, con un fatturato annuo di 10 miliardi di dollari, seguita da SIG, il secondo produttore mondiale di cartoni per bevande con una quota di mercato del 15%, che rappresenta 1,5 miliardi di dollari di vendite. Entrambe le società hanno sede in Svizzera. Tuttavia, Tetra Pak è originaria della Svezia e SIG è controllata dal gruppo Rand della Nuova Zelanda.
L’impatto sull’ambiente è enorme. Servirebbe una innovazione in grado di dare un cambio drastico.
Le aziende alimentari sono alla ricerca di tecnologie per migliorare la durata di conservazione e la tracciabilità dei loro prodotti. La richiesta di una maggiore durata di conservazione, combinata con una maggiore sostenibilità, spinge l’industria a ripensare le tecniche di imballaggio. Si cerca soprattutto film biodegradabili che sostituiscano le plastiche derivate dal petrolio (polietilene) e l’alluminio.
Inoltre gli imballaggi asettici sono uno dei principali fattori della crescita dei rifiuti solidi urbani. L’alluminio rappresenta un flusso di rifiuti inaccettabile che l’industria non è stata in grado di risolvere. Ogni anno dalle 380.000 alle 420.000 tonnellate di alluminio finisce nelle discariche, il che fa delle discariche le più grandi miniere di questo metallo puro.
Serviva una soluzione e qualcuno ci ha pensato.
La signora Gloria Niño López si è laureata in biologia nel suo paese d’origine, la Colombia, e si è poi specializzata in scienze alimentari in Messico.
Ha studiato come i licheni penetrano nelle rocce con grande facilità, tanto da chiamarli “i minatori del mondo”, perché penetrano nella roccia ad una velocità incredibile.
Come spesso succede anche la sua scoperta è avvenuta per caso. Un giorno ha notato nella cucina del suo laboratorio, che del latte acido, proveniente da cartoni aperti, era finito su un compact disc. Vide che il latte fermentato scioglieva lo strato di alluminio sul disco in pochi minuti, lasciando una plastica pulita in policarbonato.
Essendo una microbiologa ha rapidamente identificato le responsabili del processo di separazione e ha preparato un cocktail di microrganismi naturalmente attratti da bevande o cibo in decomposizione, disponibili in tutto il mondo.
In questo modo ha sviluppato una soluzione standard per la separazione dei multistrati, donandola a tutti. Una tecnologia open source.
L’efficenza di questa soluzione è stata provata altrove. Anders Byström è giunto a conclusioni comparabili quando ha gestito l’impianto di riciclaggio dei rifiuti di Bedminster a Stora Vika, vicino a Stoccolma. La prova dell’efficienza è stata dimostrata in Giappone (in collaborazione con Tetra Pak Japan), Brasile, Colombia, Stati Uniti e Svezia.
Ma l’industria è rimasta riluttante a impegnarsi attivamente nello sviluppo di questo processo.
Il sindaco di Curitiba, Casio Taniguchi, ha creato un’impresa sociale che raccogliesse gli imballaggi asettici e li separasse in tre componenti principali (carta, PE e Al). Purtroppo, a causa della mancanza di sostegno da parte dei fornitori che si sono rifiutati di mettere i loro rifiuti industriali a disposizione per il riciclaggio, il progetto ha subito vari stop.
Quando scoprì questo cocktail, la professoressa Gloria Niño López, non cercò nemmeno di brevettarlo, perché pensava che avrebbe cambiato il mondo dei rifiuti. Le industrie avrebbero da subito adottato questa tecnica. Ma incredibilmente la strada era tutta in salita.
Tuttavia, le esperienze di Curitibá, Tokyo e Bogotà hanno permesso di perfezionare il processo e di dimostrare soprattutto che il cocktail biologico poteva essere prodotto localmente.
Questo apre la strada a progetti decentralizzati e sociali che alleggeriscono le discariche e gli inceneritori da una componente importante e sempre in crescita: gli imballaggi multistrato.
Anche in Italia, il Politecnico di Torino, sotto la guida del Prof. Luigi Bistagnino, ha elaborato un dettagliato piano tecnico-economico che ha confermato il business case.