Sei tu che controlli il software che utilizzi o è questo a controllare te? Queste sono le uniche due possibilità; con il software o sono gli utenti a controllare il programma o è il programma che controlla gli utenti.
Nel primo caso, in cui gli utenti controllano il programma, si tratta di free software: perché gli utenti abbiamo un controllo effettivo sul programma, essi hanno bisogno di alcune libertà fondamentali; queste quattro libertà fondamentali sono i criteri guida del software libero.
La libertà zero è la libertà di eseguire il programma come desideri.
La libertà uno è la libertà di studiare il codice sorgente del programma – cioè gli schemi del programma, presentati in una forma comprensibile per l’essere umano – e poi modificare il programma in modo che operi nel modo che desideri.
Con queste due libertà ogni utente, individualmente, ha il controllo del programma; con queste due libertà ciascuno è libero di far operare il proprio computer come vuole. Richard Stallman
Il Passaparola di Richard Stallman, programmatore, informatico e attivista statunitense.
Ciascuno è libero di far operare il proprio computer come vuole (espandi | comprimi)
Richard StallmanSono Richard Stallman. Ho lanciato il movimento per il Software Libero, che in inglese ha un nome ambiguo, Free Software, ma che riguarda la libertà, non il prezzo; ho guidato lo sviluppo del sistema operativo GNU che oggi, insieme al kernel Linux, è utilizzato come sistema GNU+Linux su milioni di computer, e che permette all’utente di avere il controllo sulle proprie attività informatiche e sul software che usa, anziché il contrario. Se si utilizza software non libero, proprietario, “soggiogante”, allora è il programma che controlla l’utente, tutti gli utenti, e c’è un proprietario che controlla il programma, il che
significa che quel programma è uno strumento che dà al proprietario potere nei confronti dell’utente.
E’ un’ingiustizia; ecco perché dobbiamo farla finita col software non libero.
E cosa c’è da aspettarsi, quando si dà alle grandi aziende potere sulle persone, cosa ne faranno? Ne approfitteranno! Studiano forme per abusare di questo potere. La mia risposta è: anziché cercare di convincerli a non abusare degli utenti, togliamo loro tutto il potere di cui godono. Con il software libero togliamo loro il potere, almeno in questo ambito della vita; gli altri ambiti richiederanno altre soluzioni.
Uno dei maggiori utenti di software è lo stato. Molte agenzie dello stato e altre entità statali usano software. Di solito non si tratta di software libero, il che significa che queste entità non controllano i propri computer. Il che viola la sovranità informatica dello stato.
Chi usa un programma non libero e perde così il controllo sul proprio computer danneggia solo se stesso. E’ lui a rimetterci e non lo condanno, perché non mi danneggia in alcun modo, anche se mi dispiace e cercherò di aiutarlo nel caso in cui lo desideri.
Quando è lo stato a perdere il controllo sul proprio computer, è peggio. Perché lo stato non fa operazioni informatiche per il proprio piacere, lo fa per le persone. Lo stato ha il dovere morale di mantenere il controllo sull’informatica, in modo che non vada a finire in mano a terze parti.
Ciò significa che le entità statali non devono usare software proprietario. Devono usare esclusivamente software libero, e lo stato deve mantenere il controllo delle operazioni informatiche che compie per noi. Lo stato deve adottare politiche atte a liberarsi del software non libero che sta utilizzando, e naturalmente fare in modo che non ne venga introdotto altro.
Quali sono le implicazioni? Prima di tutto, quando lo stato acquista una soluzione informatica, il contratto deve prevedere che la soluzione sia fornita come software libero, e che venga progettata in modo da poter operare in ambienti liberi. Può essere portabile, può essere in grado di girare anche su altri ambienti, non importa. Il punto è che il contratto sia vincolato ad una soluzione che non allontani lo stato dal recuperare la propria sovranità.
Nel tempo, lo stato deve sostituire le soluzioni non libere esistenti con del software libero. Inoltre, quando lo stato acquista dei computer, deve comprare dei modelli che funzionino con il software libero, o almeno che si avvicinino il più possibile a quelli già esistenti tra i modelli in vendita al pubblico.
In questo modo, lo stato farà pressione sulle aziende affinché vadano nella direzione di rendere i loro computer utilizzabili senza alcun software non libero, e sarà sicuro che i computer che sta acquistando non diventino un ulteriore ostacolo al recupero della sovranità informatica.
Se lo stato non ha la sovranità informatica, è vulnerabile agli abusi. Ricordate che alcuni programmi non liberi hanno degli ‘ingressi secondari’ che ricevono comandi remoti e agiscono sull’utente. Tra questi troviamo Microsoft Windows, il software dei vari “iGadget” di Apple, e la maggior parte dei cellulari.
Se un’agenzia statale svolge un compito cruciale, la presenza di software non libero in quella agenzia costituisce una minaccia per la sicurezza nazionale. Io faccio riferimento ai casi conosciuti di ingressi secondari, ma in tanti altri casi noi non sappiamo nulla, e non siamo in grado di scoprire nulla, quindi l’utilizzo di software non libero significa che lo stato rischia di avere questo tipo di problemi, che possono essere utilizzati per attaccare lo stato stesso.
Un esempio italiano (espandi | comprimi)
Intervistatore: Richard, il tuo consiglio su ciò che il prossimo governo italiano dovrebbe fare per il software libero.
Richard Stallman: La responsabilità del governo consiste nell’organizzare la società con l’obbiettivo del benessere e della libertà delle persone. Si tratta di una missione molto ampia. Una parte di essa riguarda l’informatica per le persone. Lo stato dovrebbe aiutare la gente a diventare libera nell’utilizzo del computer. Aiutare la gente a spostarsi sul software libero. Non dovrebbe mai fare l’opposto, spingere i cittadini ad usare programmi non liberi.
In informatica, il compito è formare le persone a diventare utenti capaci di software libero. Pronti ad essere parte attiva di una società digitale libera. Le scuole non dovrebbero mai insegnare un programma proprietario, che significa insegnare a dipendere da un’azienda, e viola quindi la missione sociale della scuola. Non si deve mai fare.
C’è poi una ragione più profonda. Per l’educazione morale. Educazione e cittadinanza. Le scuole devono fare di più che insegnare fatti e abilità. Le scuole devono insegnare lo spirito di benevolenza. L’abitudine di aiutare altre persone. Quindi, in ogni classe deve valere questa regola: studenti, se portate un programma in classe, non potete tenerlo per voi.
Dovete condividere le copie in classe con tutti quelli che le desiderano. E anche il codice sorgente, gli algoritmi matematici, algebrici del programma, se qualcuno vuole impararle. Questa classe è un luogo in cui condividiamo la nostra conoscenza, quindi è vietato portare in classe software proprietario.
La scuola deve dare il buon esempio seguendo la propria regola, quindi deve portare in classe solo software libero, e condividerne copie con tutti, anche del codice sorgente.
Non si tratta soltanto di come fare formazione in maniera un po’ migliore, o un po’ più efficiente. Si tratta di fare della buona formazione invece che una formazione cattiva, sbagliata.
Il modello migliore, a livello mondiale, per aver convertito le agenzie di stato al software libero è l’Ecuador, dove il Presidente Correa ha messo in atto una politica per cui qualsiasi agenzia voglia usare del software proprietario deve richiedere un’eccezione, presentando motivazioni convincenti a sostegno della richiesta. Altrimenti deve spostarsi sul software libero. Una volta ottenuta l’eccezione, questa resta valida per qualche anno, poi viene riconsiderata, per valutare se sia nel frattempo divenuta possibile l’adozione di software libero. Ecco come si implementa un sistema efficace per allontanare lo stato dal software proprietario.
Va detto che oggi c’è un altro modo di perdere il controllo delle proprie attività informatiche, sia da parte degli individui, che di aziende o enti statali, e consiste nel farle su server altrui. Se si svolgono attività informatiche sul server di qualcun altro, con software scelto da quella persona, se ne perde il controllo. Questo fenomeno si chiama ‘software come servizio’, ed è profondamente scorretto.
Le agenzie di stato devono rifiutare anche il software come servizio, a meno che non stiano utilizzando un server che è operato dallo stato a quello scopo; che va bene, in quel caso è solo un altro pezzo dello stato, che può quindi svolgere i suoi servizi pubblici.
Intervistatore: I dati non devono avere un software “cloud”?
Richard Stallman: Non uso il termine “cloud” (“nuvola informatica”), lo trovo poco chiaro perché raggruppa concetti diversi, che pongono problemi distinti: se si utilizza quell’espressione non si sa più di cosa si stia parlando. Io preferisco usare espressioni più specifiche, come “software come servizio”. Un altro possibile significato di “cloud” è “servizi remoti di archiviazione dati”. Lo stato non deve servirsi di servizi di archiviazione remota di altre entità, mentre può fornire un centro di archiviazione remota che venga utilizzato dalle altre sue agenzie.
La tecnologia digitale ha reso possibile una sorveglianza tale che Stalin poteva solo sognarsela. E’ incredibilmente pericolosa. Può darsi che la tecnologia digitale sia una maledizione per l’umanità per il livello di sorveglianza che rende possibile. Qualcuno nella ex-Germania Est ha utilizzato non so quale cavillo di legge irlandese per chiedere che Facebook in Irlanda gli consegnasse tutti i dati che lo riguardavano. Ha ottenuto centinaia o migliaia di pagine, non ricordo più.
Ha detto che la Stasi, la polizia segreta, non avrebbe avuto un dossier così vasto su una persona che non fosse coinvolta nella politica o in affari criminosi. Lui non era particolarmente coinvolto in alcunché di politico o di criminoso, eppure Facebook aveva un dossier gigantesco su di lui.
Questo è solo un esempio della portata della sorveglianza digitale. Parte della sorveglianza digitale viene fatta attraverso elementi di sorveglianza nei programmi che utilizziamo, principalmente nel software non libero.
Se abbiamo il controllo del nostro software, abbiamo il potere di assicurarci che non contenga elementi di sorveglianza, ma ci sono altri modi in cui questa sorveglianza viene attuata. Tantissimi siti web sorvegliano la gente che li visita e anche quella che non li visita.
Facebook è il principale esempio di sorveglianza su persone che non sono suoi utenti e non visitano il suo sito. Funziona grazie ai tasti “Mi piace”. Se visitate una pagina che contiene il pulsante “Mi piace”, Facebook sa immediatamente che il vostro computer ha visitato quella pagina. Ecco come.
L’immagine di quel pulsante “Mi piace” viene da un server di Facebook. Quando il vostro browser prepara la pagina, vede il riferimento a quell’immagine e dice al server di Facebook: “Dammi quell’immagine”. Dice anche: “Mi serve per questa pagina”.
Il server di Facebook sa che il vostro computer ha richiesto l’immagine per includerla in quella pagina. Se sa che quel computer è usato principalmente da voi, Facebook sa che avete visitato quella pagina, anche se non avete mai usato Facebook in vita vostra.
Bene, noi del progetto GNU stiamo lavorando ad un browser che sarà in grado di bloccare queste immagini, in modo che Facebook non possa più sorvegliare le persone in quel modo. Ma ciò che occorre veramente è che tali pratiche siano proibite per legge.
L’Unione Europea ha una direttiva per la protezione dei dati, all’epoca pionieristica, peccato che appartenga ad un’altra era. Quando ci si aspettava che le aziende acquisissero e immettessero informazioni nelle proprie banche dati perché qualcuno spediva loro su supporto cartaceo informazioni personali, che poi esse copiavano e archiviavano nei propri computer.
La direttiva per la protezione dei dati funziona molto bene per quel caso specifico, solo che oggi le pratiche informatiche sono cambiate. Oggi un’azienda molto probabilmente acquisisce dati personali attraverso una pagina web. E quando si guarda quella pagina web molto probabilmente questa fornisce informazioni sul visitatore anche ad altre aziende.
Per esempio a Facebook, se c’è un pulsante “Mi piace”.
A compagnie pubblicitarie che forniscono la pubblicità al sito. E così via. Bene, quellinformazione è stata efficacemente fornita dalla ditta con cui tu stai cercando di interagire ad altre compagnie, secondo una modalità che aggira i dettami della direttiva sulla protezione dei dati.
Dettami che devono essere estesi se vogliamo che questo comportamento venga trattato come se quella compagnia avesse fornito i tuoi dati ad altri, cosa che non sarebbe stata permessa. Ma è anche peggio di così. Oggi, il sito web di quella ditta potrebbe non trovarsi sul computer della ditta stessa. Potrebbe trovarsi su un server virtuale preso in affitto da unaltra ditta. La quale a sua volta è ora in possesso dei vostri dati.
E se quella ditta fosse negli Stati Uniti? Se il server fosse negli Stati Uniti? A quel punto i vostri dati si trovano in un posto dove manca del tutto una legge sulla protezione dei dati. Gli Stati Uniti hanno un sistema di protezione dati che si applica solo ad alcuni campi particolari. Nella maggior parte dei casi, non si applica.
Questo non deve essere permesso. Le ditte europee non devono poter prendere dati e immagazzinarli in un luogo che non è soggetto a regole per la protezione dei dati equivalenti. Se i dati trasmessi dalla compagnia al proprio server attraversano gli Stati Uniti, questi copiano tutto il traffico dati che attraversa il confine.
Così stabilisce il famoso, illegale provvedimento sulle intercettazioni di Bush, che egli riuscì poi a far legalizzare dal Congresso. Si chiama FISA Amendments Act, credo. Stabilisce che qualora avvenga una comunicazione tra una persona degli Stati Uniti e una persona non degli Stati Uniti, questi hanno la facoltà di copiarla. E lo fanno.
E chiaro che se lo scopo è la protezione dei dati, non si può consentire a soggetti europei di inviare dati attraverso confini dove si sa che verranno spiati. La direttiva sulla protezione dei dati viene adesso ridisegnata. Le ditte che fanno pubblicità su Internet stanno facendo lobby in maniera molto pesante per impedire che assolva alla propria funzione.
Ecco un campo in cui gli europei devono attivarsi subito. La legge è sotto esame al parlamento europeo e va velocemente. Ho tenuto lì una conferenza allinizio di Febbraio. Spero di aver influenzato qualcuno, ma io sono straniero. Non sono uno straniero ricco, quindi non mi daranno grande ascolto.
Questa battaglia tocca a voi.