Riconvertire i sistemi produttivi nazionali verso la neutralità climatica. E riuscire a mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5° rispetto all’era pre-industriale (come chiesto dall’Accordo di Parigi sul clima del 2015). In poche parole trasformare l’economia – anzi le economie di tutto il mondo – per salvare il Pianeta. È questa la grande sfida che abbiamo di fronte. Riusciremo a vincerla?
Se lo sono chiesti, e hanno cercato di dare una risposta, due studi, presentati quasi contemporaneamente, il mese scorso (a ottobre 2020). Hanno focalizzato l’attenzione su due Paesi europei dove la manifattura industriale ha il peso maggiore: la Germania e l’Italia. Per il nostro Paese la ricerca “Il Green Deal conviene. Benefici per economia e lavoro in Italia al 2030” è stata curata dall’Associazione Economia e sostenibilità (Està) per conto dell’Italian Climate Network. Mentre per la Germania la ricerca “CO2-neutral by 2035: Key elements of a German contribution to meet the 1.5°C limit” è stata pubblicata dal Wuppertal Institut.
In entrambi i casi vengono analizzate le condizioni affinché i due Stati possano contribuire al contenimento del riscaldamento globale entro 1,5° tra l’era preindustriale e il 2100. E in entrambi i casi i ricercatori segnalano l’inadeguatezza degli obiettivi intermedi fissati dai relativi governi nazionali.
In Italia il documento guida dell’azione governativa è attualmente il PNIEC (Piano nazionale integrato energia e clima), che fissa obiettivi di riduzione dei gas climalteranti al 40% tra il 1990 e il 2030. Intanto la Commissione europea ha già innalzato il traguardo al 55% e il Parlamento europeo al 60%. La legge del governo tedesco sulla protezione del clima, approvata l’anno scorso, prevede invece che la Germania diventi neutrale dal punto di vista dei gas serra entro il 2050. Tuttavia il Consiglio consultivo tedesco per l’ambiente (SRU) parte dal presupposto che la neutralità climatica nazionale debba essere raggiunta intorno al 2035 se il Paese vuole dare un contributo adeguato all’obiettivo globale.
Altri elementi comuni ai due studi sono gli ambiti prioritari in cui occorre intervenire per concretizzare obiettivi coerenti con il limite di 1,5°. Està insieme a ICN e il Wuppertal Institut concordano nell’individuare come decisivi i settori della produzione e stoccaggio di energia rinnovabile, della trasformazione del sistema dei trasporti e della ristrutturazione degli edifici.
Da un punto di vista delle misure concrete il quadro diverge parzialmente: per ciò che attiene la produzione di energia la ricerca tedesca pone l’accento soprattutto sullo sviluppo dell’eolica, mentre i ricercatori italiani individuano nel solare, e in particolare nella produzione di energia elettrica grazie alla diffusione del fotovoltaico, la chiave di volta per la trasformazione del settore. La differenza è pienamente compatibile con le diverse condizioni naturali dei due Paesi. E con l’offerta di potenziali risorse rinnovabili che ne deriva.
Lo studio realizzato dal Wuppertal Institut pone poi una forte attenzione sull’idrogeno come modalità di stoccaggio privilegiata (in particolare per gli usi nell’industria pesante). Mentre i ricercatori italiani, pur non trascurando affatto l’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili, vedono nelle batterie al litio il potenziale maggiore.
Nel settore della mobilità suggerimenti che emergono dalla ricerca tedesca e italiana concordano nell’individuare l’ampia e rapida diffusione di automezzi ad alimentazione completamente elettrica (e il conseguente abbandono dei combustibili fossili) come la misura necessaria per un cambiamento reale. Allo stesso modo un vasto programma di ristrutturazione degli edifici per aumentarne l’efficienza energetica e per rendere gli impianti di climatizzazione alimentati da energie rinnovabili è indicato come prioritario in entrambi gli studi.
I ricercatori di Està, in accordo con l’Italian climate network si sono poi spinti oltre, provando ad indagare due campi solitamente trascurati da questo genere di analisi. Innanzitutto hanno esaminato, con il supporto di modelli statistici ed econometrici, le ricadute in termini di occupazione e incremento di Pil (Prodotto interno lordo) dell’adozione dei provvedimenti di cui sopra. I risultati hanno mostrato come la trasformazione dell’attuale PNIEC in un piano coerente con i nuovi obiettivi di Commissione e Parlamento europei porterebbe al nostro paese circa 600.000 occupati annui in più e un incremento di circa l’8% in termini di Pil da qui al 2030.
E si potrebbe anche arrivare a un incremento del Pil del 12% e a un milione di nuovi occupati. Se gli investimenti pubblici e privati aggiuntivi (potenzialmente disponibili, vista la quantità di capitali inutilizzati) fossero poi orientati verso settori, non solo utili alla neutralità climatica, ma anche ad alto contenuto di innovazione tecnologica.
Infine Està ha analizzato i possibili effetti climatici dati da modelli diversi di coltivazione agricola e di gestione delle foreste in Italia. In entrambi i casi le ricadute potenziali sarebbero estremamente favorevoli, grazie non solo alla diminuzione delle emissioni, ma anche e soprattutto all’aumento della capacità di assorbimento della CO2 presente in atmosfera.
Secondo i ricercatori di Està l’applicazione su vasta scala delle pratiche di agricoltura conservativa (copertura dei suoli, rotazione delle colture, riduzione dell’aratura) aumenterebbe di 29 milioni di tonnellate (su 427 oggi emesse in Italia) la capacità di assorbimento di gas serra dei suoli agricoli nazionali. Combattendo, così, la pericolosissima tendenza all’impoverimento degli stessi. Risultati molto significativi in termini di aumento dell’assorbimento si avrebbero anche attraverso pratiche di gestione della crescita delle foreste e del legname più coordinate e coerenti con il grande potenziale di lotta al cambiamento climatico che le nostre superfici verdi possiedono.
L’autore dell’articolo, precedentemente pubblicato su Valori.it, è Massimiliano Lepratti di EStà