di Stefano Pedrollo – Il riscaldamento globale non è di per sé un problema. Dopotutto, la vita sulla terra è sopravvissuta a numerosi cicli di riscaldamento e raffreddamento. Il vero problema con il riscaldamento globale è la velocità con il quale avviene. Se non c’è abbastanza tempo per l’adattamento le creature viventi (noi compresi) avranno poche chances di sopravvivenza e i rapidi cambiamenti nel clima e altri fenomeni metereologici semineranno il caos. Le conseguenze del catastrofico cambiamento climatico potranno ripercuotersi per centinaia di anni sulle specie viventi che soffriranno la terribile perdita del loro habitat, in uno scenario di estinzioni di massa.
L’impatto del cambiamento tecnologico sui nostri mercati funziona allo stesso modo. Finché il cambiamento è graduale, i mercati riusciranno a rispondere. Troppo veloce, ed è il caos.
L’effetto accelerato dei recenti progressi nel campo dell’intelligenza artificiale sul cambiamento tecnologico confonderà i mercati del lavoro in due modi. Il primo è la pura verità: l’automazione rimpiazzerà i lavoratori, eliminando i loro impieghi. Questo significa meno posti di lavoro per le persone. È una minaccia facile da vedere e misurare: i datori di lavoro inseriscono un robot (oppure chat-bot) e accompagnano il lavoratore alla porta. Ma a volte il cambiamento è meno visibile. Se tutto ciò avvenisse lentamente, i miglioramenti risultanti nella produttività e i costi ridotti creerebbero benessere, stimolando la crescita a compensazione delle perdite. Le imprese recentemente migliorate potrebbero crescere linearmente, dato che i prezzi più bassi e la miglior qualità fanno aumentare le vendite, creando nuovo bisogno di assumere più lavoratori. Oppure potrebbe accadere in parti distanti dell’economia, con i consumatori che non hanno più bisogno di spendere tanto per un determinato prodotto o servizio che decidono di spendere altrove i soldi che hanno risparmiato. Ma la seconda minaccia è molto più sottile e difficile da predire. Molti miglioramenti tecnologici cambiano le regole del gioco permettendo alle imprese di riorganizzarsi e riprogettare il modo in cui lavorano. I miglioramenti nell’organizzazione e nei processi spesso rendono obsoleti non soli i lavori, ma anche le competenze. Un cassiere verrà licenziato quando un supermercato installerà una cassa automatica; il servizio migliorato crea il bisogno di assumere più ingegneri di rete, non cassieri. Anche se il supermercato alla fine estendesse la sua forza lavoro totale, i cassieri ne rimarrebbero fuori. I tessitori potrebbero imparare a operare sui telai, i giardinieri a fare la manutenzione dei tagliaerba, e i medici di base, una volta accettato che gli intelletti sintetici sono superiori al loro giudizio professionale, impareranno ad utilizzare i computer per selezionare gli antibiotici corretti. Ma acquisire nuove competenze non è una cosa che succede in una notte: a volte i lavoratori in surplus (che oggi vengono ipocritamente chiamati “occupabili”) semplicemente non riescono ad adattarsi, e per ottenere questo cambiamento si dovrà aspettare una nuova generazione di lavoratori.
Prendiamo ad esempio una trasformazione del mercato del lavoro che è sopravvissuta alle intemperie con successo, l’agricoltura. Negli Stati Uniti, agli inizi dell’ottocento, le fattorie davano lavoro all’80% dei lavoratori. La produzione alimentare era di gran lunga il campo principale in cui le persone lavoravano per soddisfare i propri fabbisogni, e senza dubbio questo schema è stato dominante da 5 mila anni a questa parte, sin dall’origine dell’agricoltura. Ma nel 1900 quel numero è sceso della metà, al 40%, e oggi è all’1,5%, (incluse famiglie non pagate e lavoratori senza documenti). Essenzialmente, con l’automazione siamo riusciti a spingere fuori dal mercato del lavoro quasi chiunque; eppure la disoccupazione non è esplosa incontrollabilmente, ma vi è stata per le persone una transizione tecnologica che ha offerto loro l’opportunità di destinarsi ad altre attività produttive e redditizie. Secondo l’esempio statunitense negli ultimi due secoli l’economia è stata in grado di assorbire, ogni anno, in media l’1/2% di lavoro agricolo in meno, senza nessun particolare sconvolgimento. Ora immaginate se questo fosse avvenuto nell’arco di due decenni invece di due secoli.
Ma portiamo il discorso ad un livello politico. Com’è ovvio la politica ha sempre subìto le rivoluzioni tecnologiche cercando di gestire le nuove dinamiche sociali ad essa collegate; la sua funzione principale dovrebbe risiedere nell’intercettare le diverse visioni del futuro e guidare la popolazione verso nuovi scenari innovativi sviluppando nella popolazione conoscenza e capacità. Le scoperte tecnologiche però viaggiano sempre più veloci e la politica invece non implementa strumenti altrettanto veloci ed efficienti per regolamentare questi nuovi scenari.
La politica è in affanno (in Italia non si è mai visto un utilizzo così ampio dei decreti legge e di voti di fiducia) perché il sistema politico attuale è troppo farrginoso rispetto alla velocità del mondo reale. Per vari motivi, per l’incompetenza cronica di chi la dirige, per la mancanza di prospettiva che ci fa vivere in un continuo stato di emergenza, per la corruzione a tutti i livelli, per la focalizzazione sul consenso dei leader. Per questo diventa necessario introdurre l’intelligenza artificiale anche in ambito legislativo. Il supporto dell’intelligenza artificiale può sopportare il potere legislativo grazie alla mole di dati che riesce ad elaborare nel giro di qualche secondo, e nello stesso tempo può raccogliere i suggerimenti dei cittadini che vogliono contribuire al processo.
Ma per il principio di autoconservazione purtroppo la politica risulterà l’ultima a rinnovarsi e, come è già avvenuto in passato, quando la classe politica di un paese non intercetta il cambiamento in atto finirà per agire sempre nel solito modo, cercando cioè di inibirlo, osteggiarlo e di proibirlo, o magari eleggendo un uomo (o donna) solo al comando per avere una finta sensazione di efficienza contro l’emergenza. La probabilità che accada è alta e a questo punto ci chiediamo: sarà più veloce il cambiamento climatico a spazzarci via, o la transizione democratica verso un nuovo modello politico/sociale che ci permetta di affrontare i problemi con strumenti più efficaci?
L’AUTORE
Stefano Pedrollo – Veronese, 41 anni, laureato in Scienze della Comunicazione. Lavora in una azienda che si occupa di energia ed efficienza energetica, nell’ambito marketing e comunicazione. Ha pubblicato il libro “Democrazia.Diretta.Ora!”, un manifesto di transizione democratica per l’abbattimento del sistema partitico.