di Marco Improta – Negli ultimi giorni il tema dell’instabilità dei governi italiani sta riacquistando centralità nel dibattito politico e pubblico. Il problema è alla base dei progetti di riforma istituzionale attualmente in discussione. Come numerose ricerche nell’ambito della scienza politica hanno dimostrato, l’instabilità è un ostacolo reale riguardo l’efficacia degli esecutivi italiani (e dei loro capi), soprattutto riguardo la capacità di portare a termine l’intero ciclo delle politiche pubbliche, protagoniste delle campagne elettorali1. Tuttavia, alla luce della rinnovata attenzione rivolta verso tale problema, occorre sottolineare che l’instabilità dei governi non è una patologia che deve preoccupare solo perché mina l’efficacia dell’azione di governo, ma soprattutto perché governi instabili mettono a rischio la capacità dei cittadini di partecipare in maniera efficace alla vita democratica del paese. Quest’ultimo aspetto è spesso dimenticato, favorendo l’attenzione verso la necessità di una stabilità orientata a rafforzare l’esecutivo, rischiando di sbilanciare i poteri di quest’ultimo nei confronti del parlamento.
Il nesso tra stabilità e partecipazione può apparire meno evidente rispetto al legame tra stabilità e forza del governo. In che modo l’instabilità potrebbe provocare effetti negativi sulla partecipazione democratica? La stabilità è desiderabile per un motivo fondamentale. I governi che riescono a rimanere in carica per tutta (o, almeno, buona parte) della durata legale della legislatura facilitano la possibilità dei cittadini di identificare, in modo chiaro, i responsabili dell’azione di governo2. In altre parole, i cittadini potrebbero punire o premiare più facilmente i partiti/leader di governo per quello che hanno (o non hanno) fatto. Si avrebbe, in questo modo, piena accountability (traducibile in “rendicontabilità”) dei governanti nei confronti dei “governati”. Quando gli esecutivi sono instabili, la responsabilità di governo è diluita fra molteplici attori, che in campagna elettorale potranno, più o meno agevolmente, eludere i giudizi negativi. Dunque, governi stabili servono per non diluire la responsabilità di governo tanto desiderata in campagna elettorale.
Conseguentemente, l’aumento di accountability favorita dalla stabilità può incentivare la partecipazione elettorale. Cittadini che sono spettatori inermi, durante una legislatura, di frenetico turnover governativo, dell’incursione di primi ministri tecnici – per definizione “non-accountable” – e di pericolose crisi di governo (anche alla luce del sempre più stretto legame tra politica e mercati) non possono certamente registrare un alto livello di soddisfazione per il funzionamento della democrazia. Quando tutto ciò accade, il sistema politico, fondato secondo il politologo David Easton su input dei cittadini (domande e bisogni) e output dei governi (decisioni), non è – ovviamente – giudicabile come efficiente. L’astensione che osserviamo negli ultimi anni non deve, quindi, sorprendere. Evitando il rischio di diluzione di responsabilità di governo3, la stabilità potrebbe favorire l’affluenza alle urne, perché i cittadini diventerebbero, a loro volta, maggiormente “responsabilizzati” e riotterrebbero il loro scettro.
La stabilità dei governi, dunque, non deve essere ricercata (solo) perché all’Italia servono governi più forti. Non è questa la ragione principale per cui si devono pensare riforme per favorirla. E, sicuramente, non bisogna pensare a riforme sconvolgenti come presidenzialismo e affini. Piuttosto, occorre pensare a correttivi del parlamentarismo come la sfiducia costruttiva4, le leggi anti-defezione, il superamento del bicameralismo perfetto, la fiducia al governo da parte del parlamento in seduta comune. Al nostro paese servono governi stabili perché è necessario avere una maggiore partecipazione dei cittadini, e per ottenere ciò è utile creare nel sistema politico degli strumenti che facilitino quella che gli scienziati politici chiamano blame attribution, pratica sfavorita dalla presenza di linee di accountability sfumate, come sono attualmente in Italia.
L’AUTORE
Marco Improta è dottorando di ricerca in Politics presso il Dipartimento di Scienze Politiche della LUISS e membro del Centro Italiano Studi Elettorali. Si occupa in particolare di instabilità dei governi in Italia e nelle democrazie occidentali studiandone le cause, le conseguenze e le possibili soluzioni.