di Giovanni Fulgoni – Inquinamento acustico, traffico congestionato, inquinamento dell’aria, morti sulle strade, sfruttamento massivo di materie prime, elevate produzioni di CO2 con notevole impatto ambientale e spazi ridotti per le persone. Oltre a tutto questo, comprando l’automobile, paghiamo alti costi di acquisto e di mantenimento.
Se provassimo a guardare la situazione delle nostre città da un punto di vista diverso, come se dovessimo giudicare la vita di qualcun altro, ci sembrerebbe uno spreco. Eppure, l’auto è ancora il mezzo più scelto per spostarsi in città. Ma è giusto ragionare se i vantaggi compensino quanto scritto sopra.
Nel corso degli anni, il mondo ha subito profondi cambiamenti in diversi campi, tra cui la tecnologia, l’ambiente e la mobilità. Ma se c’è una cosa che è rimasta immutata, è la nostra dipendenza dalle auto.
Immaginatevi ora di poter recuperare tutto lo spazio che negli anni è stato assegnato all’uso delle auto in città. I parcheggi a bordo strada potrebbero non servire più e la carreggiata potrebbe essere molto più stretta ed essere dedicata alle piste ciclabili. Il marciapiede sarebbe più largo e fruibile sia ai pedoni che alle mamme con i passeggini. Le città sarebbero più compatte, avremmo più spazio per il verde e per far giocare i bambini a pallone. Il paesaggio urbano non verrebbe modificato dalla presenza delle auto. Non avremmo più morti da incidenti, né da conseguenze indirette legate all’inquinamento acustico e dell’aria.
Alla fine, scopriremo che risparmieremo tempo perché il traffico non esisterà più e saremo certi che, per fare un tragitto di una certa distanza, il tempo che occorrerà dipenderà solo da quanto andremo veloce noi e non da fattori esterni che non possiamo controllare, con un notevole miglioramento della qualità dello spostamento.
Ma c’è ancora molto lavoro da fare. Per far sì che la micromobilità diventi la norma, dobbiamo rivedere radicalmente il modo in cui concepiamo le nostre città. Le città devono essere progettate per le persone, non per le auto. Dovremmo rendere le strade più sicure per i pedoni e i ciclisti, creare più spazi verdi e incentivarli a camminare, pedalare o utilizzare mezzi di trasporto alternativi.
L’auto rimane insostituibile sia per gli appassionati sia anche per chi deve viaggiare fuori dai centri urbani, perché la capillarità che può raggiungere è preziosa soprattutto per il territorio italiano che è abitato in maniera sparsa e poco concentrata, tranne poche aree metropolitane.
Invece per chi pensa che il monopattino sia scomodo e pericoloso? Per chi proprio non può usarlo ma vuole guardare al futuro?
La chiave sta negli investimenti e nella fiducia nella ricerca e nell’innovazione tecnologica. Ci sono eccellenze che hanno bisogno di visibilità e del sostegno di tutti. Genny ZERO è uno di questi. È un veicolo a due ruote che, oltre a affrontare la sfida della micromobilità, sta abbattendo la barriera tra disabilità e normalità. Per capirci: un monopattino non potrebbe essere usato da tutti. Mentre Genny ZERO può essere usata da chiunque, proprio come un’automobile che può essere guidata dal giovane, dall’anziano e dal disabile.
Genny è rivoluzionaria proprio come Paolo Badano, CEO di Genny Factory e del suo team. Genny ZERO è stata ideata come dispositivo di mobilità destinato inizialmente alle persone con disabilità, ma ora è stato ottimizzato per supportare nuovi sistemi di micromobilità urbana.
La vera forza di Genny ZERO sta nella sua storia, che racconta di un uomo che non ha mai smesso di credere nel suo progetto. Nella perseveranza di Paolo, che da oltre 25 anni è seduto su una sedia a rotelle a causa di un incidente stradale e che ha voluto mettere la sua esperienza a disposizione dell’innovazione. Insoddisfatto delle tradizionali sedie a quattro ruote, ha deciso di costruire un dispositivo a due ruote, autobilanciante, che utilizza ridondanze aeronautiche per la sicurezza.
Per sviluppare nuove tecnologie di questo tipo servono investimenti, sia sul prodotto che, come abbiamo capito, nell’urbanizzazione. Per fare questo, l’azienda ha cercato dei capitali, trovando in Svizzera un terreno fertile da cui è nata appunto Genny ZERO. Ma senza il tessuto produttivo dei fornitori presenti in Lombardia e Piemonte non sarebbe stato comunque possibile sviluppare un prodotto.
Inoltre, per la prima volta al mondo è in corso una sperimentazione in Svizzera con la collaborazione tra l’Università SUPSI e la Città di Lugano, sovvenzionata interamente dalla Confederazione per esplorare le potenzialità di un’offerta di mobilità multimodale, inclusiva e sostenibile grazie a Genny ZERO.
Il rammarico di Paolo Badano sta nel fatto di non aver ancora trovato lo stesso entusiasmo e collaborazione sul territorio italiano e la totale assenza di una visione politica chiara ed efficace che impedisce agli innovatori di svilupparsi sul territorio.
Il progetto Genny rappresenta un esempio concreto di innovazione nel campo della mobilità elettrica, con un’attenzione particolare alla sostenibilità, al tessuto produttivo, all’indotto sul territorio e all’inclusione sociale.
Tuttavia, è importante ricordare che i cambiamenti significativi non sono generati da pochi individui, ma da grandi masse che si impegnano affinché ciò che sembra essere limitato a pochi diventi accessibile a tutti, sia in termini di costo che di disponibilità.
Genny ha aperto la strada del cambiamento, ma l’aiuto deve partire dalle persone e da tutta la società.
Maggiori informazioni qui: https://www.gennymobility.com/