Le notizie false infestano innegabilmente l’orizzonte contemporaneo. Negli ultimi anni, la lotta alla disinformazione è diventata uno dei fondamenti del dibattito politico contemporaneo, purtroppo con scarsi risultati.
Secondo un rapporto Censis, 29 milioni di italiani hanno dichiarato che durante la situazione di emergenza sanitaria si sono imbattuti sul web in notizie poi rivelatesi false o sbagliate.
Se l’uso dell’espressione fake news è relativamente recente – reso popolare durante la campagna americana tra Hillary Clinton e Donald Trump – l’uso della disinformazione parte da lontano.
A riguardo, vi consiglio la lettura di un breve saggio dello storico Marc Bloch, uscito nel 1921, dal titolo “La guerra e le false notizie”, in cui Bloch decifrò i meccanismi della psicologia collettiva spiegando il successo delle più improbabili “false notizie” messe in circolazione durante la Prima Guerra Mondiale.
Per Marc Bloch la paralisi o il discredito dei media tradizionali non bastava a spiegare la diffusione delle notizie false. Mentre “il dubbio metodologico è di solito un segno di buona salute mentale”, i soldati in prima linea in lotta erano pronti a credere a ciò di cui avevano bisogno di credere. “Crediamo facilmente a quello in cui dobbiamo credere” : questa è la forza psicologica dietro le fake news.
Un esempio curioso è quello del 1924, presente nel libro di Bloch, quando i tedeschi invasero il Belgio. Dapprima dell’invasione, tra i soldati tedeschi si sparse la voce della preventiva installazione di feritoie su tutte le case belghe, ciò portò a diverse storie sulla brutalità dei belgi, immaginati come spietati franchi tiratori, quando invece quelle fessure erano aperture sul muro che servivano semplicemente per montare le impalcature in caso di lavori sulla facciata.
Il libro di Bloch fotografa un contesto molto diverso, che può comunque fornire un grande spunto di riflessione sulle cosiddette “fake news” del nostro tempo.
Buona lettura e buon discernimento.