C’è molto di più della Belt and Road Initiative
di Fabio Massimo Parenti – Se gli USA e l’Europa stanno perdendo terreno sul piano tecnologico rispetto alla Cina, sul piano culturale solo l’Europa, meglio il Mediterraneo, può competere, costruendo una proficua amicizia. “Guardando il mondo ci troviamo davanti a un cambiamento epocale – ha affermato il Presidente cinese al Quirinale – la Cina e l’Italia sono due importanti forze nel mondo per salvaguardare la pace e promuovere lo sviluppo. La Cina vuole lavorare con l’Italia per rilanciare lo spirito di equità, mutuo rispetto e giustizia”. Nel percorso di avanzamento delle relazioni italo-cinesi, la stabilizzazione mondiale e la pace sono la vera posta in gioco, che ovviamente non può non passare dalla cooperazione economica.
Negli ultimi anni si sono consolidati i collegamenti cooperativi tra Italia e Cina, grazie a scambi ed iniziative pluriennali (abbiamo almeno 4 meccanismi intergovernativi di alto livello tra i due paesi) nel solco di quasi 50 anni di relazioni diplomatiche. I flussi di scambio economico sono a favore di questo progresso. Il deficit italiano verso la Cina sta diminuendo e il commercio bilaterale complessivo sta aumentando, giungendo ad oggi a più di 50 miliardi. Siamo comunque indietro rispetto agli altri grandi paesi europei. Per dare un’idea delle opportunità crescenti sul mercato cinese, che sta aprendo sempre di più, e con più tutele, ad aziende e prodotti stranieri (avendo tra le altre cose la più grande classe media al mondo), si pensi solo che negli ultimi 20 anni le importazioni totali cinesi sono passate da 20 a 200 miliardi (decuplicate!).
Ma torniamo alla cultura. E’ necessario aprire gli occhi, guardare, leggere e cercare di capire come la Cina si avvicina agli “altri”, ai paesi stranieri. Un esempio eloquente si ritrova nell’articolo di Xi Jinping pubblicato sul Corriere della Sera prima della sua visita in Italia. Molto spazio è stato dedicato dal Presidente Xi all’amicizia che lega i nostri popoli, riportando le parole di Alberto Moravia per il quale “le amicizie non si scelgono a caso ma secondo le passioni che ci dominano”. Citando Moravia, Marco Polo, Matteo Ricci, Martino Martini, Pomponio Mela, il presidente Xi dimostra, ancora una volta, che le autorità cinesi studiano sempre la storia degli interlocutori e solo in seguito esprimono la propria prospettiva, basata sulla conoscenza e sul rispetto. Evidentemente, il secondo non può fare a meno della prima. E’ il fattore culturale la chiave per comprendere l’ascesa pacifica della Cina. La Cina non giudica, ma cerca di capire prima di esprimere un’opinione ed avanzare una proposta (proprio oggi, primo giorno della visita di stato, RAI e China Media Group hanno siglato un MoU per creare migliori condizioni di conoscenza reciproca).
Nella mia esperienza personale, con colleghi e autorità cinesi, ho sperimentato costantemente questo sincero interesse alla conoscenza reciproca. Sfortunatamente, non possiamo dire lo stesso per molti commentatori occidentali che hanno proferito, e continuano a farlo, giudizi avventati, mostrando scarsa o nulla conoscenza della storia cinese, le sue peculiarità culturali, politiche ed economiche. Il business coi cinesi si fonda, al meglio, su affiliazioni storiche, come confermato dai Presidenti Mattarella e Xi nei loro messaggi al Quirinale.
Interferenze esterne ed interne contro il multipolarismo
Le interferenze e le critiche statunitensi ed europee contro la volontà italiana di firmare un MoU sulla BRI sono basate su pregiudizi politici e culturali, senza offrire alternative. Su questo fronte, abbiamo dei casi anche in Italia. Se leggete, ad esempio, l’intervista a Germano Dottori pubblicata su formiche.net, troverete una posizione filo-atlantista assolutamente ideologica, i cui riferimenti sono non a caso NYT e punti di vista solo statunitensi; troverete una posizione ammantata di alone “analitico”, ma essenzialmente imbevuta di logica dei blocchi, di mentalità guerresca, di approccio confrontazionista. Non c’è sguardo lungo, non c’è logica di cooperazione. Non a caso il Dottori ha ripreso nei suoi post i messaggi di Bannon, che parla di conquista cinese dell’Occidente, mettendo in guardia il Vaticano dall’accordo con Beijing. Un accordo frutto di una lunga storia di riavvicinamento, considerato dal mondo cattolico un avanzamento epocale nelle relazioni tra Cina e cristianità.
Ma andiamo oltre. I nostri presunti “partner” europei si comportano più come rivali e concorrenti radicali che come partner amici. L’ultima scelta di Macron di aprire l’incontro con Xi, in programma martedì 26, a Merkel e Junker riflette una certa idea di Europa: due paesi centrali e poi il resto. La conferma della firma di un memorandum d’intesa su BRI – speriamo che sia l’inizio di una nuova era di cooperazione – ha alimentato anche “la narrativa della minaccia cinese”, “la natura pericolosa della BRI” e così via. Tuttavia, la presenza della Cina all’estero è pacifica e non impone condizionalità ad altri paesi, non agisce secondo discriminanti politiche. Un paese può accedere o meno, può negoziare e rivedere i contratti, senza implicazioni militari o dover subire pratiche di bullismo internazionale. Possiamo dire lo stesso degli alleati della NATO? Niente affatto. Un’indagine di Gallup in 134 paesi ha rilevato un livello di approvazione della leadership cinese pari al 34%, contro il 31% per gli Stati Uniti. Forse perché concentrarsi sui bisogni materiali e rispettare la sovranità e i diversi sistemi politico-economici delle nazioni del mondo risulta essere più ragionevole e saggio rispetto a guerre, cambi di regime e supporto al terrorismo? (Per semplicità e senza fornire riferimenti specifici, basti ricordare che queste cose vengono oggi denunciate da una potenziale candidata alle elezioni Usa 2020, Tulsi Gabbard).
Tornando alla visita in Italia del presidente Xi. L’Italia e la Cina hanno legami antichi, condividono un rapporto di amicizia anche nei tempi moderni, e hanno molti interessi culturali in comune, come l’arte, la storia, il cibo … Sorprendentemente, uno studioso italiano, Francesco Sisci, che lavora a Pechino alla Renmin University, insiste sul fatto che il governo italiano non abbia discusso questo importante dossier coi principali alleati occidentali. Al contrario, il governo sostiene che non sia affatto vero, avendo più volte ribadito che il dialogo con i paesi alleati è stato costante. Come ho ricordato in precedenza, molti scambi e visite di alto livello avevano anticipato questa volontà del governo italiano di formalizzare in maniera più strutturata il rapporto tra i due paesi. Tuttavia, a causa delle innumerevoli fratture e divisioni all’interno dell’UE, e a causa delle frizioni tra gli USA e la Cina, non è stato possibile trovare una convergenza. L’Italia, pertanto, non poteva permettersi di fermare i propri piani di sviluppo, finalizzati a soddisfare bisogni economici urgenti, alla luce di critiche straniere considerate faziose o preoccupazioni valutate prive di fondamento.
Ovviamente, esistono implicazioni geopolitiche nella BRI, come conseguenza di macro-dinamiche che da anni sostengono l’emergere di una chiara configurazione multipolare dell’economia politica globale. Tuttavia, queste implicazioni non hanno nulla a che fare coi blocchi, almeno dal punto di vista cinese, poiché è una logica che non appartiene alla diplomazia cinese. Se i flussi commerciali globali sono sempre più collegati all’economia cinese, ciò va acquisito come dato di fatto. La geografia del commercio è cambiata.
La Cina è il principale partner commerciale per la maggior parte dei paesi del mondo, mentre la posizione relativa degli Stati Uniti è in costante calo. Il nuovo status conseguito dalla Cina, in modo pacifico ed in virtù del proprio peso demografico ed economico, attiene ai 40 anni di riforme cinesi, all’adattamento della Cina alle regole della globalizzazione e, non in ultimo, alla crisi generalizzata dell’Occidente a seguito della cosiddetta Grande Recessione. Ma si dovrebbe andare ancora più a ritroso per comprendere le nuove strategie cinesi, ideate in primis per controbilanciare la destabilizzazione geopolitica operata, sempre per manu propria dell’Occidente, in svariate regioni del mondo. Non credo sia pura coincidenza che il termine Beijing Consensus sia stato coniato proprio nel 2004, quando imperversava la guerra in Iraq e Afghanistan.
Concludendo, ricordiamo che dal 2000 a oggi l’Italia è stata la terza destinazione degli investimenti cinesi in Europa, dopo Regno Unito e Germania. Vogliamo fare di più, dobbiamo fare meglio, perché non è solo una questione economica, ma un lavoro sul rafforzamento dei legami culturali, sulla promozione del rispetto reciproco al livello internazionale: ovvero, gli ingredienti principali per la stabilizzazione e la pace nel mondo, che ancora non abbiamo conosciuto.
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è professore associato (ASN), insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, e membro di EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance and Geopolitics, Egea. Pubblica “Il mutamento del sistema mondo. Per una geografia del sistema cinese” (Aracne 2009) ; “Il socialismo prospero. Saggi sulla via cinese (Nova Europa 2007). Su twitter @fabiomassimos