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Il sogno cinese e lo Xinjiang

beppegrillo.it - Settembre 26, 2025
di Fabio Massimo Parenti

“La modernizzazione con caratteristiche cinesi” — dimensioni demografiche, principi socialisti, prosperità comune, armonia sociale, alta qualità, sovranità nazionale e rinnovamento culturale — è la via attraverso cui la Cina intende realizzare “il ringiovanimento della comunità nazionale”. In altre parole, lo sviluppo cinese degli ultimi decenni non deve essere interpretato semplicisticamente come un processo, senz’altro lodevole, di miglioramento economico e tecnologico diffuso per far progredire le condizioni materiali di vita di tutto il popolo cinese, bensì come un mezzo per un fine più alto e ambizioso: consolidare l’unità della “comunità nazionale cinese”, armonizzando, le diversità etnico-culturali e religiose esistenti nel Paese.

Tutto ciò è parte del “sogno cinese”, che identifica la prosperità del Paese con la coesione sociale e la vera armonia con la valorizzazione della diversità. In Cina convivono 56 gruppi etnici, considerati parte integrante della Repubblica popolare fin dal 1949 e risorsa imprescindibile per il progresso e la stabilità del Paese.

Un laboratorio di integrazione

Lo Xinjiang, la più vasta regione cinese (1.664.900 km²), è un caso esemplare. É una regione strategica dal punto di vista economico, politico e culturale: snodo fondamentale della via della seta, dotata di una ricchezza archeologica e naturalistica unica, nonché di innumerevoli risorse energetiche, minerarie ed idriche importanti per l’intero Paese.

Lo Xinjiang, come tutte le aree abitate da minoranze etniche, riceve finanziamenti e sostegno dal governo centrale per promuovere, in modo complementare, sia politiche economiche di successo — la crescita del PIL regionale è stata tra il 7-8% negli ultimi 70 anni — sia politiche socio-culturali mirate, come ad esempio quelle nei confronti delle lingue e dei culti locali — il plurilinguismo è adottato diffusamente nelle città e nelle scuole — e quelle rivolte alle attività religiose, coerentemente coi principi costituzionali. Al riguardo, c’è da dire che l’Islam, come il buddismo ed altre religioni praticate in Cina (cristianesimo, protestantesimo, ecc.), è a tutti gli effetti una componente della pluralità culturale cinese e non è trattata in alcun modo come un elemento “straniero”. L’Islam vive nel tessuto nazionale e gode delle politiche nazionali, senza perdere le proprie caratteristiche identitarie (in Xinjiang esistono più di 24mila moschee). Non è un caso che le tradizioni religiose e laiche dello Xinjiang si possono esperire in moltissime città cinesi di altre aree. L’integrazione, quindi, non è solo locale, ma si traduce in un mosaico locale-regionale-nazionale molto dinamico. Essa riguarda, ad esempio, anche la mobilità e le opportunità offerte agli studenti e ai lavoratori dello Xinjiang (o di altre regioni autonome), che possono accedere con più facilità a percorsi di formazione, università o attività professionali in tutta la Cina. Nella mia lunga esperienza di insegnamento a Pechino, ad esempio, ho avuto il privilegio di avere numerosi studenti provenienti dallo Xinjiang, inseriti in programmi nazionali pensati per rafforzare il senso di appartenenza alla “comunità nazionale cinese” e offrire nuove prospettive. L’evoluzione e l’applicazione di questi programmi risponde quindi al soddisfacimento dei principi socialisti (uguaglianza, solidarietà e assistenza reciproca) e allo spirito profondo della società cinese (“la Grande Armonia”).

Il popolo cinese sta dunque perseguendo unità e stabilità della nazione nel pieno rispetto della pluralità culturale, perché non c’è armonia nella uniformità, ma solo nella diversità.

Comunità nazionale e pluralità: la via culturale

Arrivati a questo punto del nostro ragionamento, è importante soffermarci ulteriormente sulla nozione di “comunità nazionale cinese”: essa non è riducibile in alcun modo ad un’identità unica ed omogenea, in quanto la comunità cinese è strutturalmente, nonché storicamente, un insieme pluralistico multietnico che condivide un “destino comune”. È  proprio questa diversità, questa multi-etnicità, ad arricchire la società cinese, a guidare le visioni e le politiche della leadership della Nuova Cina e a rendere le regioni autonome, e lo Xinjiang in particolare, uno specchio fedele del concetto di “comunità nazionale cinese”. L’insegnamento del mandarino e delle lingue locali (uiguro, kazako ed altre) ha creato un duplice canale capace di garantire l’integrazione delle peculiarità culturali locali nella vita nazionale (“pluralità nell’unità”) e, nel contempo, la salvaguardia di queste specificità, dove locale e nazionale si arricchiscono e si potenziano vicendevolmente.

La valorizzazione della diversità culturale e religiosa non è dunque un mero esercizio retorico, bensì la linfa storica di tutto il popolo cinese e delle sue pratiche politiche. Con il suo portato di tradizioni e consuetudini plurime, la multi-etnicità è inclusa a tutti gli effetti nel patrimonio culturale immateriale cinese: musiche e danze locali (ad esempio la musica Muqam uigura, patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO, e la danza kazaka), così come alcune feste culturali come il Noruz, sono parti organiche delle politiche e della vita della Repubblica popolare. Inoltre, potremmo parlare anche della produzione di film e di spettacoli, nonché della letteratura, ove si combinano elementi uiguri, han e di altre etnie regionali, a dimostrazione della costante “attualizzazione” della “comunità nazionale cinese”.

Comunità nazionale e pluralità: la via infrastrutturale

Viaggiando nella regione è possibile sperimentare anche l’imponente crescita della connettività infrastrutturale. A conferma di ciò, facciamo alcuni esempi: la crescita della rete autostradale ha raggiunto circa 12.000 km, attraverso l’ammodernamento e l’ampliamento delle strade nazionali esistenti e la costruzione di nuove autostrade, come la Yuli-Jumo che percorre il deserto del Taklimakan, mentre nel contempo si costruivano ferrovie ad alta velocità, come la Lanzhou-Xinjiang o quelle che collegano le città del sud-ovest con Urumqi, creando moderne connessioni anche verso l’Europa. Degno di nota, inoltre, il progetto inaugurato nel 2023 — China (Xinjiang) Free Trade Zone — che mira a promuovere ulteriormente l’integrazione economica regionale, facilitando gli scambi transfrontalieri e attraendo investimenti in settori innovativi. Per finire, anche il trasporto aereo è stato notevolmente sviluppato: il numero di aeroporti civili operativi nello Xinjiang diventeranno 33 entro la fine del 2025.

In un territorio tanto complesso, un tale sviluppo infrastrutturale ha giocato, pertanto, un ruolo determinante per la crescita dello Xinjiang, che oggi gode di un’economia più diversificata rispetto al recente passato. Ciò ha favorito il miglioramento delle condizioni materiali di vita della popolazione locale e, ancor più importante per il nostro discorso, la valorizzazione della cultura locale da parte di tutta la comunità cinese. Oggigiorno, i cittadini cinesi residenti in altre regioni possono viaggiare più facilmente in Xinjiang, arricchendosi di nuove esperienze culturali, mentre, a loro volta, gli abitanti della Regione autonoma possono spostarsi più agevolmente nel Paese e all’estero: sia per approfondire maggiormente la conoscenza del proprio Paese di appartenenza, sia, come già ricordato, per aumentare le proprie opportunità di studio e professionali.

Il concetto di “Grande Armonia”, sopra citato, è il riferimento più antico che ispira l’ideale di una società in cui gruppi etnici diversi vivono in armonia, perseguono il bene comune e consolidano per questa via l’unità nazionale, mantenendo identità proprie mentre contribuiscono all’insieme (in questo caso alla “rinascita del popolo cinese”). Lo Xinjiang, con la sua pluralità etnico-culturale e i suoi recenti sviluppi socioeconomici, si inserisce esattamente in questa idealità politica. Ѐ la dimostrazione pratica di come la modernizzazione cinese cerchi di coniugare crescita economica, integrazione sociale e valorizzazione delle diversità, trasformando un ideale politico in una realtà tangibile.

Lungi dall’essere riducibile ad un’elargizione/concessione di facciata, gli sforzi economici e le politiche etniche del governo centrale sono radicate invero nel sentimento più profondo ed autentico della civiltà cinese — nella sua processualità storica — il cui cuore è il “destino comune”, unitario, della comunità nazionale delle genti cinesi. A mio avviso, e alla luce di questo quadro empirico-teorico, la popolazione cinese è il risultato di due costruzioni identitarie complementari/integrate: una macro, sovra-etnica, ed un’altra micro, (multi)etnica. Quest’ultima, componente imprescindibile della “comunità nazionale cinese”, opera (o dovrebbe operare), nella sua pluralità, per un bene comune più alto: l’unità, la stabilità e la prosperità di ogni gruppo e persona per un destino comune di pace; dove le differenze non siano ragione di divisione, ma di arricchimento condiviso. In questo senso, filosofico e culturale, i messaggi che la Cina offre al mondo, anche e soprattutto attraverso le sue pratiche, sono indubbiamente i più avanzati dell’epoca contemporanea.

L’AUTORE

Fabio Massimo Parenti è attualmente Foreign Associate Professor di Economia Politica Internazionale alla China Foreign Affairs University, Beijing. Ha insegnato anche in Italia, Messico, Stati Uniti e Marocco ed è membro di vari think tank italiani e stranieri. Il suo ultimo libro è “La via cinese, sfida per un futuro condiviso” (Meltemi 2021). Su twitter: @fabiomassimos

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