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“Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce“. Lao Tzu.
Qualunque sia il suono: un tramestio di grandi fronde, uno schianto improvviso, un’eco di foglie sollevate da rami spezzati, noi sappiamo, prima ancora di comprenderne la direzione e l’intensità, che si tratta di un nuovo scandalo nella foresta. E’ sufficiente leggere in modo distratto il titolo di un quotidiano o ascoltare una mezza frase al bar il mattino. Gli alberi caduti sono bollettino abituale, un brusio di fondo. Il nostro udito è così assuefatto al rumore costante del legno marcio o disseccato che rovina al suolo che ogni altro suono è meraviglia, eccezione, così improbabile da essere, invariabilmente, ignorato. La voce della foresta ci è in realtà sconosciuta. I movimenti, le associazioni di cittadini che sviluppano una nuova idea di società, dall’acqua pubblica, ai rifiuti zero, alle energie rinnovabili, al recupero del territorio e a mille altre idee positive, sono invisibili ai nostri sensi. Coperte dagli inceneritori, dalle centrali nucleari, dalle Grandi Opere Inutili, dai processi senza fine per mafia e per corruzione a membri del Governo e a parlamentari. Un rumore che induce alla sordità, ripetuto e sfibrante come una vuvuzela. I trombettieri degli scandali, i corvi presenti in ogni macchia, hanno il compito di trasformare gli schianti in melodie, il legno marcio in uomini politici, in industriali, in banchieri senza colpa, anche dopo il giudizio della Cassazione. Nella foresta ognuno conta uno. Il piccolo arbusto può diventare una grande quercia. La foresta basta a sé stessa e forse questo disincanto, questa apparente indifferenza verso il degrado dell’Italia è in realtà un distacco dal passato, un lento far da soli, prendere in mano la sorte del proprio Paese dalla Val di Susa, al referendum per l’acqua pubblica, alla nuova industria del riciclaggio dei rifiuti di Vedelago, alla pulizia dei fiumi e dei torrenti, ai gruppi di acquisto solidali (GAS), alla partecipazione ai consigli comunali, all’opposizione a basi militari come al Dal Molin di Vicenza. La foresta cresce, i vecchi tronchi, corrotti e tarlati, cadono. In apparenza il loro rumore sembra coprire ogni cosa. Tendete l’orecchio o, come gli indiani d’America appoggiatelo al terreno, c’è una nuova musica che cresce, onesta e discreta, ma irresistibile. Siete voi.