L. T.
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“Il ristorante del Senato è stato occupato da alcuni dipendenti che fino a 2 giorni fa vi lavoravano, da ieri sono disoccupati. Non sono dipendenti del Senato, ma di una ditta che ha vinto l’appalto e hanno normalissimi contratti e stipendi nella norma. Sono stati licenziati perché dopo le polemiche (giustissime) sul costo irrisorio per i parlamentari di un pasto completo, il Senato ha deciso di tagliare i contributi (soldi nostri) che permettevano loro di fare un pasto completo a 12 euro. I prezzi si sono alzati, e i Senatori hanno cominciato a portare i loro soldi (o forse sarebbe meglio dire i loro buoni pasto pagati da noi) da un’altra parte. A quel punto la Gemeaz (la ditta di cui sopra) ha cominciato a tagliare. Forse 10 euro per un filetto invece che 4 sono troppi per uno che guadagna solo 15000 euro al mese. Sono un cuoco precario, guadagno meno di mille euro al mese, a Maggio mi scade il contratto, e se tanto mi dà tanto non mi rinnovano. Sono anche un precario raccomandato, perchè sono entrato grazie a una conoscenza, e mi vergogno da morire. Ma riesco ancora a guardarmi allo specchio. Capisco quei ragazzi, e non solo perchè sarei potuto essere uno di loro oggi. Li capisco perchè in loro vedo la metafora dell’Italia. Gente comune, con un lavoro qualsiasi e uno stipendio ordinario, che lavora per dare da mangiare a una classe dirigente che vive in un mondo a parte, che ci usa e poi ci scarica quando non gli serviamo più”
L. T.