Quando finisce un’era chi vi è dentro può ritenere di essere alla fine dei tempi e rifiutare l’evento oppure guardare oltre. E’ evidente che il modello capitalista basato sul profitto senza limiti, sulla crescita e sul consumo del pianeta è fallito da tempo, anche se i governi non lo vogliono riconoscere. La guerra del petrolio iniziata almeno con la prima invasione dell’Iraq di Bush padre e proseguita fino ad ad oggi con l’occupazione dell’Afghanistan e l’aggressione alla Libia è solo il più evidente dei sintomi della nostra autodistruzione. Il modello basato sulla mobilità individuale e sui trasporti mondiali delle merci, le pere cilene in Gran Bretagna o i pomodori cinesi in Italia non ha alcuna motivazione logica, né economica. Nessuno si ferma per chiedersi: “Ha senso la crescita? E cosa significa esattamente?“. La crescita è un nuovo tabù, un moloch moderno adorato come un tempo Giove o Apollo, con i suoi moderni sacerdoti: il FMI, il WTO, la BCE e i suoi templi: i palazzi delle Borse, le maestose sedi delle banche (le nuove chiese) nei centri delle città. Siamo così permeati dal mito della crescita che lo diamo per scontato, per ineluttabile e lo viviamo come atto di fede.
Quando però lo specchio si rompe e la verità non si può più rimandare, allora, come scrive Slavoj iek, fliosofo e psicanalista sloveno, nel suo libro “Vivere alla fine dei tempi” vi è l’elaborazione del lutto che avviene in cinque fasi. Per spiegarlo associa la consapevolezza del crollo del nostro modello economico e sociale alla scoperta di una malattia terminale. Il primo stadio è il rifiuto: non esiste la crisi e neppure il buco nell’ozono, i ghiacciai si sono sempre ritirati ciclicamente, il surriscaldamento del pianeta è un’invenzione dei media, le automobili sono necessarie per lo sviluppo della civiltà, il PIL è l’alfa e l’omega delle nazioni. Il secondo passo è la collera: i movimenti no global sono i nuovi barbari alle frontiere, chi non consuma è un pessimista e chi consuma invece un patriota, i governi e le multinazionali che vedono franare le basi del loro potere pensano “Non può succedere, non a me“(*). Il malato cerca quindi di venire a patti per rimandare il triste evento della sua dipartita: nuove manovre economiche, rientro del debito pubblico, tagli ai servizi sociali, aumento di ogni tipo di tassazione, scomparsa delle pensioni. Cobaltoterapia economica. Viene quindi la fase della depressione nella quale per chi è al potere tutto è lecito, comportamenti da basso impero, alleanze con i poteri criminali, corruzione dilagante, nuove guerre. Pensa a godersi la vita che gli rimane. Après moi, le déluge. L’ultimo stadio è l’accettazione in cui il potere si rassegna, si rinchiude in un bunker e aspetta la fine. Il mondo, in generale, si trova tra la prima e la seconda fase, tra il rifiuto e la collera. In Italia ci siamo portati avanti e stiamo transitando dalla terza alla quarta fase, tra il venire a patti con la realtà e la depressione. Tra poco ci sarà l’assalto al bunker. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.
(*) citazione da Slavoj iek