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Renzie presidente del consiglio equivale a un membro della Banda Bassotti a guardia del deposito di zio Paperone. Di fronte alla valanga di corruzione che sta travolgendo l’Italia ha avviato un ddl e non un decreto legge che potrebbe essere attivo in breve tempo. Tutta fuffa del più grande fuffarolo del dopoguerra. Renzie si concentra sull’articolo 18 e sulla sostanziale abolizione del Senato e non sui corrotti. Perché non il contrario? La ragione è semplice. La prima fonte di corruzione sono i partiti e le loro innumerevoli diramazioni, dalle fondazioni alle partecipate, è da autolesionisti andare contro sé stessi… Il deposito dei cittadini italiani è però ormai quasi vuoto e per i Bassotti tira un’aria grama. Quando parla Renzie dà ormai l’idea di cercare con gli occhi la porta di uscita più vicina. Provate a guardarlo senza audio.
Intervento di Antonio Di Pietro sulle cosiddette “misure anticorruzione”
La montagna ha partorito il topolino si dice dalle mia parti. Mi riferisco alla tanto sbandierata nuova legge contro la corruzione emanata proprio ieri sera dal Consiglio dei Ministri per illudere i cittadini che adesso finalmente ci penserà il Governo Renzi a stanare ed assicurare alla giustizia corrotti e corruttori.
Appena ho sentito questennesimo proclama da parte del nostro Presidente del Consiglio, mi son detto: speriamo che non sia lennesima sparata a vuoto del solito piazzista Renzi. Daltronde la cloaca corruttiva che sta venendo fuori a Roma dallinchiesta della magistratura dimostra che quando si devono fare affari, specie con metodi criminali non si guarda al colore del partito né allinteresse della collettività ma anzi si specula pure sopra le sofferenze dei più deboli per sgraffignare soldi, poltrone e incarichi. Quindi cè davvero la necessità e lurgenza di intervenire con un provvedimento di legge immediatamente operativo, nel senso che già da oggi sarebbe dovuto entrare in funzione.
Ed invece Renzi ancora una volta ha barato, ricorrendo al solito doppio gioco di cui è specialista: agli italiani ha fatto credere di aver approvato un durissimo provvedimento di legge in grado di debellare la corruzione, mentre in realtà ha emanato solo un banalissimo disegno di legge, vale a dire solo una proposta da portare in Parlamento (ove già ne giacciono a centinaia in attesa di essere esaminate) su cui ora dovrà iniziare lennesima discussione (a base di emendamenti e subemendamenti a favore di questo o quel potente di turno, discussione che va avanti oramai da oltre ventanni).
Va perciò innanzitutto denunciato con forza la solita furbata renziana del ricorso al disegno di legge e non al decreto legge. Questultimo in quanto immediatamente operativo – avrebbe messo con le spalle al muro i parlamentari recalcitranti e lui avrebbe potuto chiaramente dire a costoro: Signori, la cuccagna è finita, o approvate queste leggi o si va tutti a casa, dando così modo ai cittadini o di avere finalmente una seria legge anticorruzione oppure di tornare a votare per mandare in Parlamento altre persone disponibili a fare ciò che anche questo Parlamento (come tutti quelli precedenti) non ha finora avuto il coraggio di fare e cioè leggi che permettono di fare processi rapidi e mandare davvero in galera i delinquenti.
Ma la cosa che fa più arrabbiare è la pochezza e la superficialità delle nuove norme contenute nel tanto osannato pacchetto anticorruzione approvato ieri sera dal Consiglio dei Ministri.
Certo, è stato previsto laumento della pena per il reato di corruzione (aumentando sia la pena minima che quella massima di ulteriori 2 anni con la conseguenza che anche i tempi per dichiarare la prescrizione si allungheranno di un paio danni, ma chi frequenta tutti i giorni le aule dei Tribunali sa bene che è solo un pannicello caldo. Due anni in più o due anni in meno per dichiarare la prescrizione – con le limitate risorse umane, finanziarie e logistiche a disposizione dei magistrati – non cambia per nulla la strategia processuale di che intende sfruttare il decorso del tempo per non farsi giudicare e rimanere così impunito.
Ma lo sa Renzi quanti giudici vengono impegnati, quante udienze effettuate e di quanti gradi di giudizio effettivi può usufruire un imputato prima di arrivare ad una sentenza definitiva? Già i primi 3 giudici previsti ufficialmente dal codice penale (Tribunale, Corte di Appello, Corte di Cassazione) sono troppi, ora che è stato instaurato anche in Italia il rito accusatorio. Quindi una prima vera riforma dovrebbe eliminare il doppio giudizio di merito (Tribunale Corte di Appello) e lasciarne solo uno di merito (Tribunale) ed uno di legittimità (Cassazione). Immaginate quanti giudici, cancellieri, personale giudiziario e tempo disponibile si potrebbe recuperare con questa semplice norma (peraltro presente in tutti i paesi occidentali dove vige il sistema accusatorio).
Vi sono poi (anzi, cronologicamente, prima) altri due giudici che dovranno valutare le prove nei confronti dellimputato: il Giudice per ludienza preliminare (GUP) ed il Tribunale della Libertà. E siamo a cinque.
Vi sono infine le mille istanze dilatorie che vengono fatte appositamente per rinviare il processo a data da destinarsi e così arrivare a superare anche quel paio di annetti in più previsti dalla odierna riforma per arrivare allagognata prescrizione.
Che fare allora? Semplice: basterebbe prevedere che – dopo il decreto di rinvio a giudizio del GUP la prescrizione si interrompa automaticamente e per sempre. Insomma, se nei confronti di un imputati il primo giudice che deve valutare le prove, le trova degne di verificarle in sede dibattimentale, la soluzione è e deve essere una sola: i processo si deve fare perché lo stato di diritto e il cittadino deve sapere se una persona è colpevole o innocente.
Ben altro si poteva fare ancora (e che il Governo Renzi per ignoranza o per convenienza non importa – non ha fatto) per rompere il patto sodalizio tra corrotti e corruttori? Semplice, ancora una volta (e noi del Pool Mani Pulite lo stiamo dicendo da almeno 20 anni): bisogna introdurre nel reato di corruzione una specifica postilla per rompere il patto di omertà esistente tra corrotto e corruttore. Fino a quando è previsto che – sia chi prende denaro (il corrotto) sia chi lo versa (il corruttore) siano ugualmente condannati se scoperti, è ovvio che ognuno cerca di coprire laltro anche per coprire sé stesso. Se invece si introduce una norma che prevede una specifica causa di non punibilità a chi riferisce alla magistratura il reato commesso dal complice, scatta un clima di diffidenza reciproca fra corrotto e corruttore in quanto nessuno dei due sa più se ha a che fare con un complice o con infiltrato sotto copertura.
E che dire del reato di falso in bilancio, che ancora una volta si sono dimenticati di reinserire nel codice penale anche nel pacchetto di riforme varate ieri? Come si fa a scoprire che fine ha fatto il denaro frutto di corruzione se non si sa da dove proviene?
Infine, unultima chicca: ma lo sanno o non lo sanno – Renzi e il Ministro della Giustizia Orlando – che il vero reato che si consuma tra Pubblico ufficiale e privato (imprenditore o cittadino che sia) è quello che una volta si chiamava reato di concussione per induzione (reato che si realizza quanto il Pubblico ufficiale, pur senza usare violenza o minaccia, mette in condizione il povero cristo che si deve rivolgere a lui per problemi legati al suo ufficio o funzione a dargli denaro altrimenti quanto meno la pratica dorme. Ebbene anche questo reato è stato abolito (con il concorso di destra e sinistra) ed è stato sostituito da un altro che invece prevede la condanna anche di chi deve viene indotto a pagare e non solo del pubblico ufficiale che riceve i soldi. A queste condizioni nessuno mai denuncerà i soprusi che subisce, proprio per non fare, alla fine, la figura del cornuto e mazziato.
Sì, va beh! mi direte: e quindi che facciamo?
Nessun dialogo con questi voltafaccia. Meglio la rivolta. Civile e non violenta, daccordo (ci mancherebbe altro) ma dobbiamo passare alla fase operativa, prima che sia tropo tardi.
A tal fine, è necessario e prioritario chiamare il Presidente della Repubblica Napolitano a rispondere nelle sedi opportune del suo operato per aver impedito per ben tre volte, in violazione del dettato costituzionale di mandare i cittadini a votare, lasciando in Parlamento una classe politica eletta con una legge incostituzionale ed assumendo ruoli e poteri che non gli spettavano”.
Antonio Di Pietro