Il Giappone ha alcune delle più lunghe settimane di lavoro al mondo. Quasi un quarto delle aziende giapponesi richiede ai dipendenti di lavorare oltre 80 ore di straordinario al mese.
E secondo un’indagine governativa del 2016 queste ore extra sono spesso non pagate.
Inoltre i giapponesi non hanno abbastanza tempo libero. Uno studio di Expedia ha rilevato che i lavoratori giapponesi in media non hanno utilizzato i loro 10 giorni di ferie pagate, e il 63% dei giapponesi che ha “osato” prendere una vacanza, si è sentito in colpa per aver preso ferie retribuite.
Ma lunghe ore passate a lavoro non significano necessariamente alta produttività. In effetti, il Giappone ha la produttività più bassa tra le nazioni del G-7, secondo i dati dell’OCSE.
A tutto questo si aggiunge la “Morte da superlavoro”.
Il termine giapponese “karoshi” si traduce in “morte per superlavoro”, ed è un termine legale riconosciuto come causa di morte.
Nel 2015, un dipendente della Dentsu, una delle più grandi società di pubblicità giapponese, è morto. La causa è stata la depressione causata dal superlavoro. Il caso ha generato un’attenzione così alta sull’accaduto che il governo ha sentito il dovere di cambiare gli orari di lavoro e predisporre pene e controlli severi per gli straordinari non retribuiti, che sono illegali, ma molto comuni in Giappone.
L’amministratore delegato di Dentsu si è dimesso per le polemiche e la società è stata multata per aver violato gli standard lavorativi, poiché costringeva a lavorare anche 100 ore di straordinario al mese.
Dopo la morte, la società Dentsu ha apportato modifiche all’interno dell’azienda, tra cui spegnere le luci in ufficio alle 10 di sera nel tentativo di costringere i dipendenti a tornare a casa.
Ma questa è una sfida culturale ancora lunga. Sia il governo giapponese che le sue società affermano che ora stanno attivamente cercando di ridurre l’orario di lavoro in tutto il Giappone. Il governo ha preso in considerazione diverse iniziative volte a contenere il numero di ore trascorse in ufficio, tra cui l’obbligo di prendere almeno cinque giorni di vacanza all’anno e di richiedere un periodo di “riposo” tra la fine di alcuni periodi di lavoro intenso.
Inoltre nel 2016 è stata avviata una nuova festività “Mountain Day” che ha portato a 16 il numero di festività pubbliche in Giappone. In più l’anno scorso, il governo ha lanciato un’iniziativa denominata “Premium Fridays”, in cui incoraggiava le aziende a consentire ai propri dipendenti di lasciare alle 15:00 dell’ultimo venerdì del mese il posto di lavoro. Ma uno studio ha rilevato che nemmeno il 4% dei dipendenti ha usufruito del permesso.
Insomma il Giappone sembra un paese malato di lavoro, di troppo lavoro, ma con una quantità di disoccupati che cresce costantemente. É questo il punto che in qualche modo ricorre in tutto il mondo occidentale.
Il dibattito sul lavoro pare ancora drogato da stereotipi che appartengono al secolo scorso, stereotipi ereditati dall’epoca industriale, in cui “più” si lavorava e “più” si guadagnava, “più” ore, “più” forze si spendevano e “più” introiti si avevano. Appare ovvio come il mondo di oggi non risponda più a quelle leggi.