di Torquato Cardilli – Della tragedia di Crotone si è detto tutto. Gli italiani, già in maggioranza contrari ai sacrifici imposti da una politica squilibrata per l’Ucraina, hanno ascoltato le notizie e visto le immagini della sciagura con il cuore spezzato dal dolore.
Non mi dilungo nella rievocazione della cronaca pietosa; offro alla riflessione due citazioni, di significato diametralmente opposto, senza indicarne gli autori facilmente individuabili, ma lasciando libera facoltà di attribuire all’una o all’altra la qualifica di “profonda umanità” o di “volgare cinismo”.
La prima: “… Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e com’è duro calle lo scendere e il salir per l’altrui scale …”. Evidentemente il tema riguarda la penosa, umiliante vita dell’esiliato, che non è un profugo, ma che è obbligato a vivere lontano, senza risorse, senza gli affetti più cari, bandito dal suolo natio. La seconda: “… La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli. In queste condizioni non dovevano partire …”. Qui si nega la disperazione del profugo, la sofferenza di una vita tra sangue e miseria, la spinta dolorosa a lasciare il proprio paese nella speranza di trovare un rifugio che lo sottragga agli stenti ed alle malattie, ma soprattutto alla morte certa per la guerra o per il cataclisma o per entrambe le minacce e che offra ai figli una prospettiva di vita migliore. Come corollario della seconda citazione ce n’è una terza, che è un pessimo scimmiottamento di una frase di Kennedy: ”Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo chiedere io al luogo in cui vivo ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso.” E’ questo l’orrendo e sgraziato epitaffio pronunciato sui resti mortali degli infelici inghiottiti dalla tempesta a poche centinaia di metri dalla spiaggia e poi respinti dalla risacca e restituiti alla cattiva coscienza di un mondo ipocrita.
Il barcone, rimasto colpevolmente senza soccorso in balìa della furia del mare e spezzato da uno scoglio, era pieno di profughi uomini, donne e bambini, fuggiti dai paesi dell’orrore Afghanistan, Iran, Iraq, Siria, finiti tutti in acqua nel buio. Solo metà di loro è riuscita a salvarsi aggrappata a relitti di legno, gli altri, scomparsi nei flutti.
Chi non ricorda il gravissimo naufragio di dieci anni fa di un barcone di immigranti, in cui si salvarono solo 155 disperati su 386 partiti dalla Libia? Tutti i grandi d’Europa e dell’Onu sembrarono scossi da un’onda emotiva. Dopo aver partecipato in pellegrinaggio a Lampedusa ai funerali, dopo aver assistito al lancio di fiori a mare e alla benedizione delle bare, le loro lacrime di coccodrillo si sono ben presto asciugate quando è cominciato il florilegio delle dichiarazioni pubbliche a vuoto con l’impegno del “mai più”.
Dopo di allora ci sono stati molti altri naufragi, con centinaia di miseri sfortunati finiti in fondo al mare. Anche allora le solite inutili e offensive passerelle di politici italiani ed europei senza che fosse nei fatti varato alcun provvedimento capace di imprimere una svolta nello stroncare la tratta di esseri umani.
Furono varate operazioni di pattugliamento delle acque italiane del Canale di Sicilia. Pura operazione di immagine, costosa ma con risultati scarsi o nulli. Prima con il “Mare nostrum” a nostre spese, sostituita poi da “Triton” e da “Frontex” a carico dell’Europa, ma il risultato è stato risibile.
Il flusso migratorio non si è arrestato, né potrà mai fermarsi, il mercimonio di esseri umani non è stato sconfitto e i mercanti di profughi hanno continuato ad accumulare tesori senza che i flussi finanziari fossero prosciugati, senza che l’Europa, tanto incline a forti dichiarazioni di armamenti, di guerra e di sanzioni, abbia adottato la minima misura obbligatoria di ridistribuzione degli scampati alla morte.
In Italia governanti dall’atteggiamento al limite della cinica incoscienza, alla faccia dei vari comitati di sicurezza parlamentari, regionali e nazionali non riescono a comprendere le dinamiche dirompenti di popolazioni che scappano da paesi devastati e, pur sapendo benissimo come sia articolata la rete degli schiavisti e dei loro supporter all’estero e da noi, non hanno attuato provvedimenti di contenimento e o di smantellamento.
Politici, intellettuali, commentatori, dirigenti sindacali ed economisti si sono cimentati in dibattiti insulsi e a vuoto senza impostare uno scheletro di misure effettive che restituissero dignità al nostro paese e rinfacciassero all’Europa la negazione dei principi della rivoluzione francese.
Il mondo politico è restio a comprendere che non si tratta di una crisi passeggera, di un fatto emergenziale episodico, ma di una tendenza storica inarrestabile che coinvolgerà sempre più milioni di persone.
L’Europa si è trasformata da grande fonte di emigrazione a grande bacino di attrazione di flussi migratori. In prospettiva nel corrente decennio ci sono 15-20 milioni di aspiranti all’immigrazione. Basterebbe una sola, singola, misura: l’abrogazione delle disposizioni della convenzione di Dublino, colpevolmente accettata ab origine dal governo Berlusconi, per ripartire obbligatoriamente il peso dell’accoglienza con equità in rapporto alla popolazione di ciascun paese dell’Unione europea, alla sua estensione territoriale, al suo PIL, al suo debito.
Dall’approvazione di questa proposta o dal suo respingimento si vedrà la caduta delle maschere dell’ipocrisia.
Quanto al nostro Governo vale il principio “ad impossibilia nemo tenetur”. Anziché abbaiare alla luna contro l’Europa matrigna e dimostrare una reiterata incapacità nella gestione del problema farà bene a porre drammaticamente le sue condizioni e “resettare” su ogni decisione il proprio atteggiamento senza subalternità.
L’AUTORE
Torquato Cardilli – Laureato in Lingue e civiltà orientali e in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Ha redatto oltre 300 articoli di carattere politico ed economico pubblicati in Italia e all’estero da varie testate ed agenzie di stampa.