di Fabio Massimo Parenti – Tutti i cambiamenti internazionali enucleati nel precedente articolo sono integrati nel processo di sviluppo della Cina, non accidentalmente dispiegatosi negli ultimi 40 anni.
Va ricordato che nei tre lustri appena passati il commercio e gli investimenti tra la Cina e l’Europa sono cresciuti costantemente in entrambe le direzioni, specialmente dopo gli anni della crisi. Macchinari, trasporti, cibo e materie prime sono i principali prodotti del commercio Cina-UE (raddoppiando in pochi anni) . La Cina è quindi diventata il secondo partner commerciale europeo, mentre l’UE è il primo partner cinese. L’Italia è il terzo partner commerciale europeo della Cina.
Sebbene l’Europa sia in una posizione di deficit commerciale con la Cina, è anche vero che ha registrato notevoli avanzi sia nei servizi che negli stock di investimento. Guardando nel lungo periodo, si può anche notare che, nel complesso, le esportazioni europee sono in costante aumento e c’è una tendenza a riequilibrare le rispettive bilance dei pagamenti.
Se ci concentriamo sull’implementazione della BRI, è chiaro che esiste ancora un potenziale enorme per gli investimenti cinesi in Europa – e viceversa – che sono differenziati geograficamente e per settore (infrastrutture, turismo, calcio, telefonia, ecc.). Ne abbiamo di vari tipi: specializzati (ad esempio, Huawei e Lenovo) e diversificati (come Fosun o Wanda), nelle attività di ricerca e sviluppo e nell’organizzazione di forum accademici, scientifici e culturali. Esiste inoltre una complementarità tra i piani nazionali e europei per la connettività e il trasporto, come dimostrato ad esempio dal confronto BRI-TENT (Wang et al 2017).
Da un punto di vista cinese, gli investimenti in Europa sono generalmente finalizzati alla ricerca di know-how e all’apprendimento di nuove esperienze di gestione. La Cina si coordina per sviluppare accordi al livello di macro-aree ma anche di singoli paesi, come dimostrato dal piano di cooperazione regionale 16 + 1 dell’Europa centro orientale, lanciato dal governo cinese dal 2012, o dal crescente focus strategico sul Mediterraneo. Nel primo caso prevalgono gli investimenti nelle nuove attività produttive (filiali, nuovi impianti, ecc.); mentre nel secondo caso uno degli obiettivi principali è quello di acquisire asset strategici, alla luce delle politiche di privatizzazione portate avanti negli ultimi anni.
Di fronte a questo quadro, è importante porre alcune domande: come è possibile guidare e attuare questa iniziativa mondiale? Chi e come gestire i complessi investimenti pianificati o già realizzati? Secondo la tradizione, le autorità cinesi hanno deciso di sviluppare innanzitutto gli strumenti per sostenere i nuovi piani di investimento, dando origine a un’architettura istituzionale multilaterale strutturata. Ad esempio, vi sono banche statali, fondi e istituti di investimento che lavorano in sinergia: il Silk Road Fund (SRF) è collegato alla PBoC, alla Export-Import Bank of China (EBC) e alla China Development Bank (CDB), che hanno sviluppato sistemi di credito sovvenzionati per la BRI. Queste società lavorano insieme alla Banca europea per gli investimenti (BEI) e rappresentano alcune delle istituzioni finanziarie dietro la Asian Investment Infrastructure Bank (Wang et al. 2017). Queste banche interagiscono con altre istituzioni finanziarie, come la BRICS New Development Bank, ma anche la Banca Mondiale.
Ovviamente più la BRI si sviluppa e maggiore è la necessità di sicurezza, cioè di sistemi di controllo in grado di proteggere le nuove interconnessioni (a questo proposito vediamo già sviluppi in Algeria, Djibouti, Sri Lanka e Pakistan).
È possibile affermare che un maggiore coinvolgimento nelle BRI consentirebbe all’Europa di integrare risorse insufficienti a livello europeo con quelle cinesi; aumentare le esportazioni verso l’Asia; favorire lo sviluppo delle regioni più arretrate; garantire rapporti di reciproco vantaggio e quindi favorevoli a relazioni pacifiche; e offrire un’alternativa alla guerra; un’alternativa complessa, ma promettente. Quando parliamo di BRI, parliamo dunque di un progetto globale in via di definizione che concerne rotte marittime, terrestri, digitali ed aeree.
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è professore associato (ASN), insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, e membro di EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance and Geopolitics, Egea. Su twitter @fabiomassimos