di Fabio Massimo Parenti – Un numero crescente di paesi in America Latina, Africa e Asia ha aderito, o ha chiesto di farlo, ad organizzazioni formatesi negli ultimi venti anni, come la Shanghai Cooperation Organization (SCO) e il gruppo dei BRICS (non a caso rinominato BRICS plus). Quali sono le ragioni di questa tendenza e della sua accelerazione più recente? Si tratta in sostanza di ragioni economiche, di sicurezza e, in ultima istanza, politiche: c’è un sentire comune di molti paesi (tradizionalmente definiti “periferici” o “semiperiferici”) che riguarda la necessità di emanciparsi dalle trappole di dipendenza create dall’imperio occidentale, la cui sintesi è oggi data dal sistema US-Nato ed in precedenza dagli imperi europei. Dal colonialismo schiavista al neocolonialismo, dalle crisi finanziare alle trappole del debito create ad hoc, dallo sfruttamento economico alle sanzioni commerciali, il cosiddetto “Sud del mondo” continua a ricercare vie di uscita dai vincoli dettati dal sistema di potere occidentale. Quest’ultimo, in virtù del proprio dominio, è rimasto troppo a lungo impunito (almeno agli occhi dei popoli sfruttati) di fronte alla distruzione di molteplici paesi ed al loro asservimento.
Dati i cambiamenti della geografia economica mondiale, con l’emergere di nuove potenze regionali, oggigiorno nessuno è più disposto a subire il congelamento delle riserve monetarie, gli embarghi, i boicottaggi o le imposizioni sulla politica interna nazionale (si vedano i piani di aggiustamento strutturale e le politiche di austerità) alla luce delle storiche relazioni di dipendenza economico-politica.
Non è forse il caso di iniziare ad interrogarsi seriamente sul modo in cui concepiamo la cosiddetta “comunità internazionale” che, spesso, viene fraintesa ed interpretata come un riflesso delle volontà e dei desideri occidentali? In realtà, la “comunità internazionale”, come peso demografico, e sempre più economico, è rappresentata soprattutto da ciò che esiste al di fuori dell’occidente. Ne sono un esempio l’evoluzione della SCO e, di converso, l’attuale congiuntura geopolitico-economica in Europa che risulterebbero incomprensibili se ci limitassimo a guardare solo gli eventi più recenti. Deficit di analisi strategica, democratici e di formazione-autonomia politica ci hanno portato, in Europa, ad alimentare e subire dinamiche internazionali che, come scritto in precedenza, stanno colpendo duramente il nostro tessuto produttivo e sociale ed aprendo ad un’ondata recessiva allarmante. Ciò nonostante, ci si continua ad illudere di poter isolare la Russia e, in alcuni casi estremi, la Cina. L’analisi dei processi di lungo termine ci restituisce un quadro opposto rispetto a certe valutazioni superficiali, che, ahinoi, dominano le alte sfere europee. È l’occidente che si sta isolando dal resto del mondo, non viceversa.
Il recente vertice SCO di Samarcanda, così come molti altri eventi e decisioni prese nei paesi emergenti, necessita di essere contestualizzato in modo accurato. Mentre gli Usa sono intenti a contrastare militarmente i propri competitor, il resto del mondo si riorganizza (non da oggi) secondo legittimi interessi nazionali di sviluppo economico ed integrazione regionale. Il summit in terra uzbeka, tenutosi lo scorso settembre, ha confermato una tendenza storica di riorganizzazione degli equilibri di potere al livello regionale e mondiale. Solo per fare un altro esempio di attualità, anche il recente incontro tenutosi ad Astana tra Putin ed Erdoğan, nell’ambito della Conferenza sull’Interazione e le Misure di Costruzione della Fiducia in Asia (CICA), fornisce utili indicazioni al riguardo: la Russia ha offerto alla Turchia la possibilità di raddoppio del Turkish Stream per bypassare i volumi persi con il North Stream e dare alla Turchia un potere negoziale enorme nei confronti dei paesi europei. Allargando lo sguardo, non è un caso che la Turchia, membro Nato dal 1952, nonché secondo esercito di tale organizzazione, sia già un partner di dialogo della SCO ed abbia chiesto di diventarne membro a pieno titolo.
L’interscambio commerciale tra Cina, Russia, India e Asean (quest’ultima primo partner commerciale della Repubblica Popolare), solo per menzionare alcune direttrici di cambiamento della geografia economica, continua a crescere ed accelerare. In questo spazio eurasiatico ci sono anche le nostre (italiane ed europee) opportunità di crescita reale, di prospettive future e di pace duratura. Accade però che qualche forza minoritaria nel quadro politico-culturale occidentale (almeno rispetto al sentire comune) ci stia portando indietro di alcuni decenni, rinfocolando ogni giorno una nuova forma di guerra fredda, insensata, anacronistica e dannosa per i nostri interessi e per l’umanità intera.
L’Eurasia orientale è il fulcro del riequilibrio globale, grazie ad un’integrazione fiorente, che, ad esempio, sta ponendo le basi per una possibile cooperazione tra India-Cina-Pakistan, nonché in virtù di una capacità di connessione intercontinentale ben rappresentata dalle ramificazioni della Belt and Road Initiative.
Samarcanda ha ricordato e confermato processi che si sono dispiegati attraverso gli ultimi due decenni e che, al contempo, sono incardinati nelle dinamiche di sviluppo ineguale di almeno due secoli. L’attivismo della SCO – anche a fronte delle crisi strutturali dell’occidente (finanziarizzazione, indebitamento, spoliticizzazione e delusione egemonica) – è legato all’approccio win-win promosso dalla Cina, alla convergenza di interessi materiali di miliardi di persone e alle necessità di difesa da interferenze militari e politiche, che hanno segnato il destino di molti popoli (dal colonialismo al neocolonialismo).
Stiamo parlando di un processo in fieri che coinvolge, oltre ad otto paesi membri e quattro osservatori, con Iran e Bielorussia in entrata, quasi tutta la macroregione asiatica. In questo contesto estremamente dinamico si opta per gli affari, l’integrazione e la connettività, piuttosto che cedere alla corsa al riarmo, alla logica dei blocchi e al confronto militare. Benché la SCO non si ponga “contro”, incoraggiando apertura ed inclusione, essa non può sfuggire da una dimensione difensiva e di necessario ribilanciamento tra il sistema US-Nato e il resto del mondo. Dentro questo big picture è possibile inquadrare più facilmente i problemi strutturali e le contraddizioni europee e nordatlantiche, nonché l’urgenza di riorganizzare l’architettura di sicurezza e di cooperazione economica nello spazio geografico eurasiatico.
Sorta come organizzazione intergovernativa focalizzata sulla costruzione di relazioni di amicizia tra i sei paesi fondatori, ed in particolare sulla sicurezza confinaria e sulla stabilità politica in Asia Centrale, la SCO ha col tempo esteso il suo raggio d’azione allargando la cooperazione macroregionale alle sfere dell’economia, dell’industria, della tecnologia, delle infrastrutture, del turismo, dell’agricoltura e dell’energia. C’è da ricordare inoltre che la SCO dialoga e si coordina con l’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva (CSTO), l’Organizzazione per la Cooperazione Economica (ECO), la CICA, l’ICRC, l’ONU, la CSI e l’ASEAN.
Pechino e Mosca sono indubbiamente gli attori più imponenti al tavolo dei fondatori, dove siedono anche Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan. Tuttavia, il lavoro diplomatico svolto a partire dal 2004 ha permesso all’Organizzazione di aprirsi a molti altri paesi e organizzazioni internazionali. Il vertice SCO del 2017 sancì infatti l’ingresso a pieno titolo di India e Pakistan, due potenze nucleari storicamente rivali tra loro. Da ultimo, il vertice di Samarcanda ha avviato definitivamente l’iter per l’acquisizione del medesimo status anche da parte dell’Iran e della Bielorussia, che diventeranno a breve il nono e il decimo paese-membro a pieno titolo dell’organizzazione, dopo molti anni trascorsi come membri osservatori assieme a Mongolia ed Afghanistan.
È arrivato il momento per questi attori di unire l’intera Eurasia e provare a costruire un mondo multipolare, più giusto, equilibrato e senza egemonismo di un singolo paese. Gli interessi (materiali e non) per la coesistenza pacifica e la prosperità comune dell’intera umanità sarebbero a portata di mano.
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è attualmente Foreign Associate Professor di Economia Politica Internazionale alla China Foreign Affairs University, Beijing. Ha insegnato anche in Italia, Messico, Stati Uniti e Marocco ed è membro di vari think tank italiani e stranieri. Il suo ultimo libro è “La via cinese, sfida per un futuro condiviso” (Meltemi 2021). Su twitter: @fabiomassimos